I'm the bad guy. La storia di Billie Eilish 100% unofficial
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I'm the bad guy. La storia di Billie Eilish 100% unofficial

  1. 176 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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I'm the bad guy. La storia di Billie Eilish 100% unofficial

Informazioni su questo libro

Billie Eilish aveva quindici anni quando si è affacciata al mondo della musica e le è bastato un singolo per travolgerlo. Oggi che ne ha diciotto, è l'artista femminile più ascoltata in assoluto su Spotify; i suoi concerti sono sempre sold out; ha una fan base di ragazzi e ragazze che la adora; ha una sua linea di abbigliamento; il suo album ha fatto numeri record e non ha intenzione di fermarsi. È travolgente, appassionata, geniale, irriverente e fuori dagli schemi. Ma qual è la sua storia? Chi si nasconde dietro i vestiti oversize? Chi sono i suoi amici? E la sua famiglia? Cosa faceva prima di diventare la star planetaria di oggi? Un racconto emozionante per scoprire tutto del talento più straordinario degli ultimi anni.

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Informazioni

Print ISBN
9788891583864
eBook ISBN
9788865976579
1.

EVERYTHING I WANTED

IL SUCCESSO

26 gennaio 2020

Billie arriva allo Staples Center nel primo pomeriggio, insieme al fratello Finneas e ai loro genitori. Non fa freddo, non fa mai davvero freddo a Los Angeles, nemmeno a gennaio. E lo Staples Center è enorme: è il palazzetto dello sport dove giocano le due squadre di basket della città, i Lakers e i Clippers, e quella di hockey, i Kings. Ma soprattutto è dove si tiene la 62esima edizione dei Grammy Awards.
Billie ci è cresciuta, guardando i Grammy in TV, non se n’è mai persa uno, e adesso che si trova dall’altra parte dello schermo sa che di sicuro, da qualche parte, c’è una bambina incollata al televisore, che sogna.
Camminando sul red carpet, prima di entrare, le sembra tutto incredibile. E surreale. «Mi sento come se fossi in un film» dice ai giornalisti. «It feels like I’m in a movie right now.» Non le pare vero di essere lì, ai premi musicali più importanti degli Stati Uniti, deve esserci un errore, non è possibile: «Nessuno mi vuole qui» aggiunge ridendo. Ma, anche se è impensabile per lei, si sente infinitamente grata. Cosa si aspetta dalla serata? Di non vincere niente, risponde con la sua solita ironia, quella che le permette di non dare troppa importanza alle cose belle che le succedono, di alleggerire la pressione. E di pressione ce n’è tanta ora, visto che Billie ha già stabilito un record: è la prima volta che un’artista così giovane viene candidata ai cinque premi più importanti degli “Oscar della musica”. Una grossa responsabilità. Eppure Billie sorride, scherza, forse anche perché dietro di lei c’è mamma Maggie che non la perde mai di vista, che parla con Rosalia come se fosse un’amica incrociata per strada, che tiene d’occhio sua figlia fino all’ingresso. Andrà tutto bene, sembra dirle con lo sguardo.
Una volta dentro, Billie si siede accanto a lei, a suo padre Patrick e a Finneas. Quasi come se fossero anche quell’anno sul divano di sempre, a casa loro. Quasi. Indossa un completo Gucci del colore dei suoi capelli: nero e verde; quel verde acido che è diventato a poco a poco il suo colore, da quando lo ha mostrato per la prima volta sul suo profilo Instagram nel luglio del 2019, accompagnato dalle parole “che cosa volete da me” (“what do you want from me”, primo verso della canzone bury a friend). Nessun’altra artista donna è vestita come lei, Billie lo sa, lo ha fatto apposta. Le altre portano abiti attillati, tacchi alti, spacchi, scollature. Ognuna deve essere più bella dell’altra, mostrare più pelle possibile, risultare più appariscente. Fa parte dello spettacolo, tanto che la stessa Billie ha sempre guardato i Grammy non solo per la musica, ma anche per giudicare i vestiti. Ora tocca a lei farsi giudicare e le sta benissimo. L’ha spiegato tante volte: «Voglio che la gente guardi». Sono parole sue: «I wanna see heads look up». Per Billie il fatto di coprirsi in modo esagerato, di indossare abiti di taglie più grandi della sua, enormi, è un modo per esporsi allo sguardo della gente. Ma è solo lo stile che vuole venga giudicato, osservato, notato, non il suo corpo. Ecco perché lo tiene lì sotto, al sicuro. Nessuno deve poter fare commenti del tipo: «È grassa», «È magra», «Ha il sedere grosso» o «Ha il sedere piatto». La dimostrazione che fa bene a preoccuparsene l’ha avuta lei stessa, a gennaio del 2020, quando ha postato una serie di foto e video della sua vacanza alle Hawaii in cui è in costume da bagno. Molti commenti, alcuni eliminati successivamente, hanno sottolineato le sue forme in modo aggressivo e sessista. A quanto pare non ci si salva mai dal bodyshaming ed è proprio per questo che, alla prima data del tour 2020, lancia un messaggio fortissimo proiettando un video in cui si sveste accompagnato da queste parole: «Giudichiamo le persone sulla base della loro taglia. Decidiamo chi sono. Decidiamo quanto valgono [...] quanto valgo dipende dalla tua percezione di me? Oppure la tua opinione non è mia responsabilità?».
«PENSO CHE NON SI SIA PARLATO ABBASTANZA DEI FAN STASERA, MA LORO SONO L’UNICA RAGIONE PER CUI NOI SIAMO QUI ADESSO.»
La mente di Billie, in ogni caso, è molto lontana da questi pensieri. È rivolta al momento presente, all’adesso, ai Grammy Awards. Durante la pre-cerimonia che si è svolta nel pomeriggio ha già vinto il premio per il Best Pop Vocal Album e suo fratello ne ha vinti due come produttore. Ma ci sono altre cinque categorie in cui è candidata e sono quelle che contano di più.
Essere seduti in quella sala non è come stare davanti alla TV, Billie se ne rende conto. Le telecamere sono puntate su di lei costantemente ed è difficile dimenticarsene. Ma non è solo quello. Intorno ci sono gli artisti più famosi degli Stati Uniti e forse del mondo. Alicia Keys, che presenta la serata, Ariana Grande, John Legend, Demi Lovato, Rosalia, Usher, Gwen Stefani, Jessie Reyez, Tyler the Creator e molti, moltissimi altri. Gente che ha fatto la storia della musica, performer che hanno cantato davanti a milioni di persone. Billie ha diciotto anni, è più giovane di praticamente tutti i presenti, ha ascoltato i loro dischi, ha cantato le loro canzoni, li ammira, li segue sui social ed è stata ispirata da loro. Con alcuni si scambia messaggi, provando ancora un po’ di timore reverenziale.
L’emozione è davvero enorme.
Alle nove e mezzo, tocca a lei e Finneas: entrano in scena e interpretano una when the party’s over davvero speciale. Lui al piano, lei seduta su uno sgabello alto. Potrebbe essere l’occasione perfetta per mettersi in mostra, per fare uno show spettacolare, per dimostrare a tutti che sono i migliori. Invece a lei questo non importa, come ha candidamente confessato a Jimmy Kimmel quando è stata ospite al suo Jimmy Kimmel Live!. Non si sente in competizione con gli altri musicisti, ma solo con se stessa. «I go up there to be better than myself.» Mettersi in competizione, artista contro artista, per lei non ha senso. Forse anche per questo l’esibizione di questa sera è così eccezionale. Billie non salta come fa sempre ai suoi live, resta ferma. Il pubblico sente l’intensità con cui canta i versi scritti assieme a suo fratello. Lontana dalle solite performance, nel tempio della musica, concentrata soltanto su se stessa, dimostra di essere all’altezza di tutti gli altri. O forse al di sopra.
In rapida successione, Billie Eilish vince i premi per Song of the Year, Best New Artist, Album of the Year e Record of the Year. È l’artista più giovane della storia ad averli incassati tutti e quattro. E anche la prima donna. Soltanto Best Solo Performance le sfugge a favore di Lizzo, ma Billie nemmeno se ne accorge. Di solito non prende mai niente sul serio e scherza su tutto o quasi. Ma quando sale sul palco per ritirare il premio per il miglior album dell’anno è talmente emozionata che fatica a parlare e ripete che avrebbe dovuto vincere Ariana Grande. Ariana Grande è seduta proprio lì davanti e le sorride: “Questo è il tuo momento” le fa capire a gesti. Finneas aggiunge scherzando che non si sono preparati un discorso perché non hanno scritto le canzoni del disco pensando di vincere un Grammy, anzi: «Non ci aspettavamo di vincere assolutamente niente, abbiamo scritto un album su depressione, pensieri suicidi e cambiamento climatico. Tutto qui. Sul fatto di essere “a bad guy”, qualunque cosa questo significhi». Ma se sei un’adolescente lo sai che cosa significa.
«VOGLIO DIRE GRAZIE AL MIO TEAM, A MIA MAMMA, A MIO PAPÀ, ALLE MIE MIGLIORI AMICHE DREW E ZOE CHE MI HANNO FATTA ARRIVARE VIVA FINO A OGGI.»
Più tardi, in un’intervista a fine serata, Billie ha gli occhi lucidi, piange e ride insieme. Continua a dire che non si è mai immaginata di arrivare fino a lì. Di portarsi a casa cinque Grammy. Lei e suo fratello hanno fatto un disco che prima di tutto piacesse a loro, e poi che sarebbero stati felici di suonare dal vivo, perché alla fine è questo che significa fare musica: scrivere, suonare e cantare. Il resto è capitato da sé. «È tutto surreale» conclude. «This is just unreal.» Poi Finneas aggiunge una frase importantissima. Per coloro che sono nella propria cameretta adesso, a comporre musica solo per se stessi, cercando di realizzare qualcosa, be’... sappiano che tutto è possibile. Che un giorno potranno avere il loro Grammy.
Dopo una serata come quella, cerca solo di godersi il momento. Di non lasciare che la mente le si riempia di pensieri, di ansie. È tutto talmente incredibile e veloce, pieno di esagerata emozione, che non può fare diversamente. Altrimenti quella sera, prima di addormentarsi, le sarebbe impossibile anche solo chiudere gli occhi.
La mattina dopo, comunque, riesce a postare una foto di se stessa con in braccio i cinque premi. Una sola frase sotto: «FIVE ARE YOU KIDDING» cioè: «CINQUE STATE SCHERZANDO» tutto in maiuscolo. Poi alcune foto della serata e un paio di video. E subito dopo un’altra notizia pazzesca. Suonerà agli Oscar 2020.

Febbraio 2020

La data è il 9 febbraio e Billie, di nuovo su un red carpet – questa volta con una tuta Chanel bianca e unghie nerissime – si sente ancora più fuori posto. E terrorizzata.
Se vivi a Los Angeles (in qualsiasi parte di Los Angeles) prima o poi ti capita di andare a mangiare al ristorante e di trovarti un’attrice famosa seduta al tavolo accanto. Oppure di incrociare per strada, fuori da un negozio qualsiasi, un attore e chiedergli una foto. Ma essere ospiti alla cerimonia ufficiale degli Oscar è tutta un’altra cosa. I Grammy sono pieni di persone che fanno lo stesso mestiere di Billie, vivono nello stesso mondo, compongono musica, girano in tour, a volte si conoscono di persona, a volte solo perché in fondo sono colleghi. Gli Oscar sono l’evento delle star del cinema, le star per eccellenza, e qui Billie non ha mai messo piede prima. Forse anche per questo, quando i giornalisti la fermano, si tira vicino Finneas, suo fratello, il suo migliore amico, il suo punto di riferimento in mezzo al delirio della fama. Da sola, sovrastata dalle urla dei fotografi che chiamano le celebrità per farle voltare, c’è da perdere la testa.
«QUANDO VEDRAI IL FILM CON LA TUA CANZONE COME TI SENTIRAI?» «ODDIO, ME LA FARÒ ADDOSSO!»
Ancora una volta, però, Billie ha solo se stessa in mente quando sale sul palco insieme a Finneas per cantare la cover di Yesterday dei Beatles. Il momento è particolarmente commovente perché sullo schermo, alle loro spalle, vengono proiettate le immagini di tutte le persone del settore scomparse nell’ultimo anno. Ma è per l’insieme che viene da commuoversi. Per le parole della canzone, scritta nel lontanissimo 1965 ma che scalda ancora il cuore, per l’arrangiamento etereo di Finneas e per la voce bassa e dolce di Billie Eilish. Canta come se la canzone fosse sua, Billie, la trasforma. Era già successo nel 2018 con la cover di Bad di Michael Jackson.
Il tempo va veloce, velocissimo, e arriva il 13 febbraio. Quel giorno, sul suo account Instagram, viene postata l’anteprima di no time to die, la canzone che Billie ha composto insieme al fratello per la colonna sonora del nuovo film di James Bond. Erano settimane che i fan di tutto il mondo la stavano aspettando, da quando lei stessa l’aveva annunciata. A neanche ventiquattro ore dall’uscita del brano, le visualizzazioni sono a quindici milioni, in continua salita.
Non è la prima volta che una canzone di Billie Eilish viene usata per una colonna sonora. Nel 2017 c’è stata bored, inclusa nella colonna sonora della prima stagione della serie Netflix Tredici. A produrla era Selena Gomez, di cui Billie è sempre stata una grandissima fan, e quando una dei tuoi idoli ti chiama per fare una canzone non puoi certo dire di no. Anche nella seconda stagione di Tredici c’è un pezzo di Billie: lovely, per il quale ha collaborato con il cantante Khalid. Era il 2018. Poi, nel 2019, when i was older viene inclusa nelle musiche ispirate dal film Netflix Roma, del regista due volte premio Oscar Alfonso Cuarón. Ma no time to die è qualcosa di completamente diverso.
Perché questo è il venticinquesimo film dell’agente 007. Perché è con tutta probabilità l’ultima volta che viene interpretato dall’attore Daniel Craig. Perché a scriverlo, tra gli altri, è stata la sceneggiatrice e attrice rivelazione Phoebe Waller-Bridge (la sua serie Fleabag ha fatto incetta di Golden Globe e anche lei, come Billie, è una tipa tostissima). Perché Billie Eilish è la più giovane cantante a comporre una canzone per un film di James Bond. Perché prima di lei lo hanno fatto artisti del calibro di Moby, Paul McCartney e i Wings, Tina Turner, Sam Smith, Madonna e Adele. Perché due di loro, Adele e Sam Smith, ci hanno vinto l’Oscar per la migliore colonna sonora. E qualcuno dice che ora tocca a Billie. Ma bisogna aspettare il 2021 e in mezzo la vita della giovane cantante di Los Angeles scorre a una velocità tale che nessun boomer può starle dietro. Probabilmente, nemmeno nessuno della sua generazione.
Per Billie, intanto, scrivere no time to die è un sogno che si avvera. Sia lei sia Finneas lo volevano fare da anni, probabilmente immaginandola come una cosa impossibile. Non può succedere davvero, dai. E invece.
Decisi a comporre un pezzo che fosse perfetto per il film, hanno chiesto di poter conoscere la storia e hanno ricevuto lo script della prima scena dalla produttrice Barbara Broccoli. Già questa è un’occasione assolutamente unica, ma le cose sono andate ben oltre. Mentre Billie e Finneas lavoravano a musica e parole, hanno ricevuto una proposta dal compositore della colonna sonora: Hans Zimmer – leggendario autore di soundtrack come Il cavaliere oscuro, Interstellar, Il gladiatore e Pirati dei Caraibi – ha chiesto ai due se andava loro di salire su un aereo e volare in Inghilterra. È lì che ha sede la produzione delle pellicole di James Bond, agente segreto di Sua Maestà. Così è stato ed ecco che, qualche giorno dopo, nel mezzo della notte, Billie si è ritrovata in una piccola stanza insieme a suo fratello a guardare l’anteprima di un film che ancora doveva essere finito. Adesso lei e Finneas avevano in mano tutto per far sì che la canzone fosse un successo. Era ora di mettersi a scrivere e suonare.
Si potrebbe immaginare che a questo punto, dopo aver scalato tutte le classifiche, aver vinto cinque Grammy ed essere diventata la nuova grande artista del momento, comporre una canzone le venga piuttosto facile. Forse, a volte, lo pensano anche Billie e Finneas. Ma non è così, non è mai così. Scrivere una canzone, una buona canzone, farla funzionare, è sempre difficile e serve un sacco di duro lavoro. E no time to die non fa eccezione.
All’inizio hanno affittato una sala prove per un giorno. “Così si fanno le cose” devono aver pensato. Ma quando hanno cominciato a lavorarci non è venuto fuori niente di buono. Il blocco dello scrittore. O forse quelle stanze senza finestre, silenziose e puzzolenti, come le ha descritte Billie, sono troppo diverse dalla camera di Finneas dove tutto è cominciato.
«IN NO TIME TO DIE CI SONO COSE CHE NON ABBIAMO MAI TENTATO PRIMA. NON VEDEVO L’ORA CHE LA GENTE SCOPRISSE CHE LE SAPPIAMO FARE.»
Senza abbandonarsi alla disperazione, anche perché sapevano che il mondo intero stava aspettando quella canzone, i due hanno continuato a lavorarci: il pezzo è nato in tre giorni, sul tour bus in Texas. Chi lo avrebbe detto.
Il risultato? Molte riviste del settore dichiarano che no time to die è una delle migliori canzoni di 007 mai composte. Per la rivista Esquire, che le ha classificate, è la numero quattro, dietro solo a Paul McCartney, Carly Simon e Shirley Bassey. Le parole di Johnny Marr, ex chitarrista del celebre gruppo The Smiths, che suona il riff di chitarra nella canzone, sono state: «So riconoscere una grande musicista quando la vedo». «I know a great musician when I see one.» Già.
Ma come altre volte, non è tanto il successo che Billie cerca. Per lei conta essere so...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. I’m the bad guy
  4. 1. EVERYTHING I WANTED. IL SUCCESSO
  5. 2. WHEN I WAS OLDER. LA STORIA
  6. 3. EVERYBODY KNOWS MY NAME. LE CANZONI
  7. Inserto fotografico
  8. Copyright