È martedì 27 febbraio 2007. Il cielo su Roma è invernale. Il cardinale Giacomo Biffi sta tenendo gli esercizi spirituali alla Curia romana. Benedetto XVI, che lo ha scelto per questo compito, lo ascolta attentamente.
Il cardinale introduce un filosofo a lui caro, peraltro citato con stima anche da Giovanni Paolo II nella Fides et ratio come uno dei grandi pensatori cristiani: si tratta del russo Vladimir Sergeevič Solov’ëv (1853-1900). Autore de Il racconto dell’Anticristo, che è appunto il libro di cui Biffi intende parlare.
Solov’ëv viene solitamente considerato «il massimo filosofo russo» e il teologo Hans Urs von Balthasar ha giudicato il suo pensiero «la più universale creazione speculativa dell’epoca moderna», «la giustificazione più profonda e la filosofia più vasta del cristianesimo totale dei nuovi tempi». Lo equipara a san Tommaso d’Aquino come «il più grande artefice di ordine e di organizzazione nella storia del pensiero».1
Addirittura Biffi pone come titolo a questa meditazione L’ammonimento profetico di Solov’ëv, riconoscendo dunque un valore fortissimo al suo insegnamento.
È sensato attribuire a Il racconto dell’Anticristo di Solov’ëv un valore profetico – come esplicitamente hanno fatto il cardinale Biffi e Benedetto XVI – non solo perché certi fatti storici hanno confermato quella sua narrazione distopica (come vedremo), ma anche perché lo scrittore russo, nella prefazione, ha spiegato che gli elementi essenziali della sua storia dell’Anticristo vengono proprio dalla Sacra Scrittura, quindi dalla sicura profezia biblica: «Questo racconto […] ha suscitato nella società e sulla stampa non poche perplessità […] la cui causa principale è molto semplice: l’insufficiente conoscenza da parte nostra della rivelazione della Parola di Dio e delle tradizioni della Chiesa circa l’Anticristo».
Infatti, ciò che attiene alla figura dell’Imperatore (Anti- cristo) in questa narrazione, seppure attualizzata dal XX-XXI secolo, «si può trovare nella Parola di Dio e nella più antica tradizione».2
A questo, Solov’ëv aggiunge la sua intuizione geniale sul mondo del Novecento. Le vicende della sua epoca gli facevano prevedere che i tempi stavano maturando.
Sempre nella prefazione, datata «Pasqua 1900», scriveva: «In complesso questa storia consiste in una serie di considerazioni basate su dati di fatto, circa eventi probabili. Personalmente ritengo che questa probabilità sia prossima alla realtà e questa opinione non appartiene solo a me, ma è condivisa da personaggi di me più autorevoli».3
Ma in che cosa consiste la profezia relativa alle intuizioni personali di Solov’ëv? Il cardinale Biffi ricorda che alla fine dell’Ottocento dominava un euforico ottimismo: si «prevedeva per il secolo che stava per iniziare un avvenire di progresso, di prosperità, di pace».4
Lo scrittore russo, invece, per la Pasqua del 1900, pochi mesi prima di morire, pubblica I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, in cui «prevede che il secolo XX sarà contrassegnato da grandi guerre, da grandi rivoluzioni cruen- te, da grandi lotte civili».
È esattamente ciò che è avvenuto e questo dimostra la geniale intelligenza del pensatore russo.
Ma lo scrittore in quell’opera va oltre e centra perfettamente anche un’altra «profezia». Infatti – spiega il cardinale Biffi – vi si legge che «sul finire del secolo, i popoli europei – persuasi dei gravi danni derivati dalle loro rivalità – daranno origine, egli dice, agli Stati Uniti d’Europa. “Ma […] i problemi della vita e della morte, del destino finale del mondo e dell’uomo, resi più complicati e intricati da una valanga di ricerche e di scoperte nuove nel campo fisiologico e psicologico, rimangono come per l’addietro senza soluzione. Viene in luce soltanto un unico risultato importante, ma di carattere negativo: il completo fallimento del materialismo teoretico.” Ciò non comporterà però l’estendersi e l’irrobustirsi della fede. Al contrario, l’incredulità sarà dilagante. Sicché, alla fine si profila per la civiltà europea una situazione che potremmo definire di vuoto. In questo vuoto appunto emerge e si afferma la presenza e l’azione dell’Anticristo».
Un’Europa unita, scristianizzata e nichilista, dopo il crollo del materialismo, diventa dunque il trampolino di lancio dell’Anticristo per Solov’ëv che parla espressamente di abbattimento degli Stati nazionali e delle identità nazionali (le «vecchie tradizionali strutture del mondo in nazioni separate»),5 a vantaggio di una «organizzazione internazionale […] di tutta la popolazione europea» chiamata «Stati Uniti d’Europa»,6 e poi prospetta vagamente un’analoga «unificazione» del mondo intero (potremmo chiamarla «globalizzazione»).
Infatti, il cardinale Biffi sintetizza così il racconto di Solov’ëv: «L’Anticristo prima viene eletto presidente degli Stati Uniti d’Europa, poi è acclamato imperatore romano, si impadronisce del mondo intero, e alla fine si impone anche alla vita e all’organizzazione delle Chiese».
Le caratteristiche dell’Anticristo di Solov’ëv sono sorprendenti (ma, come si è detto, rimandano alla profezia biblica). Potremmo definirlo oggi un campione dell’umanitarismo progressista, un messia dell’ecumenismo politically correct, un perfetto simbolo dell’ideologia attualmente dominante: «Il nuovo padrone della Terra era anzitutto un filantropo, pieno di compassione e non solo amico degli uomini, ma anche amico degli animali. Personalmente era vegetariano, proibì la vivisezione e sottopose i mattatoi a una severa sorveglianza. […] La più importante di queste sue opere fu la solida instaurazione in tutta l’umanità dell’uguaglianza che risulta essere la più essenziale: l’uguaglianza della sazietà generale».7
Era anche «un convinto spiritualista» con «altissime dimostrazioni di moderazione, di disinteresse e di attiva beneficienza».8 E il suo spirito ecumenico lo porterà a voler unire tutte le diverse confessioni.
Ciò che, per ora, è interessante notare è il contesto in cui viene rievocata – con grande considerazione – questa «profezia» letteraria-filosofica d’inizio Novecento. Ripeto: a riproporla è uno dei più autorevoli cardinali della Chiesa cattolica che accredita questo scenario nella sua meditazione, tenendo gli esercizi spirituali per la Curia romana, davanti a Benedetto XVI, nel febbraio 2007.
Questo episodio ha anche – come sfondo storico – la «battaglia culturale» che Giovanni Paolo II prima e Benedetto XVI poi hanno combattuto dagli anni Novanta del XX secolo attorno al tema delle «radici cristiane» dell’Europa. Che non è affatto solo una «battaglia culturale» per una menzione nella Costituzione europea, ma un’epocale questione spirituale e politica.
Infatti, con il crollo del Muro di Berlino e del comunismo, quella che era la Comunità economica europea, nata dai Trattati di Roma del 1957, nata peraltro su spinta americana in contrapposizione al blocco dell’Est europeo,9 con un’identità cristiana legata alle diverse Dc che governavano l’Europa occidentale e con la limitazione a una cooperazione economica fra Stati (nel rispetto della sovranità e dell’identità di ogni singolo Stato), si trasforma radicalmente.
La svolta è realizzata con il Trattato di Maastricht del 1992, quando nasce l’Unione europea. Una struttura tecnocratica – a egemonia franco-tedesca – che svuota progressivamente le sovranità degli Stati, sottraendo a essi anche la sovranità monetaria (con la nascita dell’euro) e la politica economica.10
L’impronta ideologica della Ue è per un verso mercatista – in quanto sottomette gli Stati alla sovranità assoluta dei mercati –, per altro verso fortemente laicista, rispecchiando così le due corsie della globalizzazione: deregulation finanziaria e deregulation antropologica.
Così l’Europa, di cui la Chiesa si sentiva da sempre madre – sia per la sua nascita storica nel Medioevo, sia per la sua nascita politica, nel 1957, da politici e partiti cristiani come Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schuman –, diventa di colpo non solo irriconoscibile, ma addirittura ostile al cristianesimo e alla Chiesa (così com’è ostile alla ...