STATO
North Carolina
RAGIONE DEL VIAGGIO
tributo a Jim Valvano e la rivalità
IN RADIO
“DOWNTOWN, LET’S GO DOWNTOWN [...] DOWNTOWN AT NIGHT.”
“Downtown”, Neil Young
9 MARZO 2019. DEAN SMITH CENTER. NORTH CAROLINA VS DUKE UNIVERSITY.
Jimmy V
La sagoma di Washington è ormai nello specchietto retrovisore dell’auto.
La sensazione è di non aver completamente esplorato tutto ciò che la capitale della nazione aveva da offrirci, ma siamo comunque soddisfatti e ci rimettiamo in viaggio “rotolando verso sud”.
Nella lotta al titolo di “area geografica con la più alta concentrazione di pallacanestro”, c’è un solo posto in grado di gareggiare con New York City, Washington e Philadelphia, e noi lì stiamo andando.
Ci sono due stati da attraversare e 682 chilometri da percorrere sulla Interstate 95, la principale via di comunicazione della costa atlantica degli Stati Uniti.
Il Maryland e Baltimora sono due luoghi che avrebbero decine di storie da raccontare sul gioco del professor Naismith, ma noi resistiamo alla tentazione e filiamo dritto.
Piede sull’acceleratore e via attraverso la Virginia, meraviglioso Stato affacciato sull’oceano Atlantico, in grado di incantare per la sua bellezza e con uno slogan turistico tra i più riusciti di sempre: «Virginia is for Lovers».
Noi siamo romantici, ma il cuore batte per la palla a spicchi e le sei ore abbondanti che ci separano dalla prossima tappa richiedono uno sforzo importante.
Arrivati a Petersburg abbiamo due opzioni.
Virare e inforcare la 85 per arrivare più rapidamente alla destinazione prevista o proseguire sulla 95.
Avendo un po’ di tempo optiamo per la seconda, perché da Raleigh vogliamo assolutamente passare.
La città delle querce, così soprannominata per la presenza dei grossi alberi un po’ ovunque, è la seconda più popolosa del North Carolina e nel 2011 venne votata come miglior luogo dove vivere negli Stati Uniti.
Ci si arriva attraverso l’Interstate 40, l’arteria che collega le principali città del North Carolina.
Percorrendola per intero incontrereste otto stati lungo un tragitto di oltre quattromila chilometri per un coast to coast con capolinea a Barstow, California.
Ma a noi interessano solo i primi 44 in direzione ovest.
C’è una cosa che vogliamo fare qui a Raleigh.
La città è la sede dell’Università di North Carolina State che, con Duke e North Carolina University (UNC), oggi rappresenta uno dei tre vertici del triangolo della ricerca scientifica o più semplicemente “The Triangle”.
In questa area geografica ci sono tre cose che potete trovare facilmente: ricercatori geniali, futuri giocatori di pallacanestro e grandi allenatori.
Quello che stiamo cercando è un luogo che non incoraggia la visita, l’Historic Oakwood Cemetery.
Fondato nel 1869, il cimitero è noto per custodire i resti di 137 soldati protagonisti della battaglia di Gettysburg, considerata una delle più importanti della guerra di Secessione americana del 1863.
IN QUESTA AREA GEOGRAFICA CI SONO TRE COSE CHE POTETE TROVARE FACILMENTE. RICERCATORI GENIALI, FUTURI GIOCATORI DI PALLACANESTRO E GRANDI ALLENATORI.
Superato l’ingresso ad arco caratterizzato dalle grosse pietre, incontriamo un cartello che ci ricorda il centocinquantesimo anniversario del cimitero.
Stiamo cercando una lapide in marmo nero. La troviamo in cima a una collinetta, adiacente a una scala che collega due livelli. Sul lato destro la scritta è ben visibile: “VALVANO”.
I nostri occhi si soffermano su una delle numerose frasi lasciateci in eredità dal coach campione NCAA nel 1983 con North Carolina State.
«Ogni giorno, prendetevi del tempo per ridere, pensare e piangere.»
Fermi davanti alla sua tomba, accettiamo il consiglio e cominciamo a pensare.
Pensiamo a come riuscirono a vincere quel titolo, un vero e proprio miracolo sportivo.
A come quell’allenatore fu capace di ispirare, motivare e guidare i suoi giocatori come nessun altro prima.
Valvano nacque il 10 marzo 1946 a New York.
Era il secondo di tre figli frutto del matrimonio tra Rocco e Angelina Valvano.
Arrivò a Raleigh nel 1980, con uno stipendio inferiore all’incarico precedente.
Ma i Wolfpack che avevano vinto il titolo nel 1974 rappresentavano comunque un upgrade.
Il nuovo coach non aveva un gran curriculum. Era reduce da una discreta stagione chiusa col record di 29 vittorie e 5 sconfitte a Iona, l’ultima squadra capace di battere Louisville University, campione NCAA pochi mesi dopo.
Al termine di quella partita giocata al Madison Square Garden di New York, Valvano fece tagliare le retine dei canestri ai suoi giocatori.
Un’abitudine che avrebbe conservato: il primo allenamento di ogni anno si svolgeva senza palloni. Nessun esercizio, un giocatore sulle spalle dell’altro. L’unica cosa che allenava era il taglio della retina.
«Prima o poi riusciremo a vincere e quando si vince si taglia la retina, quindi dobbiamo allenarci per questo.»
L’allenamento al taglio della retina non era che uno dei numerosi giochi psicologici con cui riusciva a far credere loro che avrebbero potuto raggiungere traguardi eccezionali.
Tutti i giocatori credevano in lui, si fidavano anche quando le proposte apparivano bizzarre.
Il suo storico assistente Tom Abatemarco parlando di quella stagione disse: «Se quell’anno Valvano avesse chiesto alla squadra di giocare a testa in giù, probabilmente i giocatori lo avrebbero fatto».
Tecnicamente non era un grande allenatore, ma pochi riuscivano a motivare la squadra come lui.
«Ogni singolo giorno in ogni ambito della vita, persone normali compiono cose eccezionali. Persone normali raggiungono traguardi eccezionali!»
Questa frase, che aveva sentito quando aveva sedici anni dall’ex campione di salto con l’asta Bob Richard, lo aveva colpito fino a convincerlo che tutto era possibile, che “i limiti erano solo illusioni”.
Aveva tempi teatrali nella comunicazione: sapeva sempre quali parole usare e come variare il tono della sua voce. Una voce incredibile, profonda.
Un intrattenitore straordinario prestato alla Pallacanestro.
Mike Krzyzewski, assunto da Duke il 18 marzo 1980, nove giorni prima che Valvano prendesse la panchina di North Carolina State, ricorda come le riunioni tra gli allenatori della ACC in realtà si trasformassero sempre in show personali di Valvano.
«Quando Jim entrava in una stanza, ogni persona veniva attratta dalla sua presenza. Letteralmente. Si spostavano verso di lui, Valvano diventava la stanza.»
Terry Gannon, uno dei protagonisti della squadra del 1983, ricordando il giorno in cui Valvano si presentò nel tentativo di convincerlo a giocare per lui, disse: «Dieci minuti dopo che varcò la porta di casa era già diventato il miglior amico di mio padre».
Quell’impresa fu considerata leggendaria per le modalità con cui avvenne, ma quella squadra non era così scarsa come molti vogliono far credere. Non era la più forte, ma era una buona squadra.
Un gruppo che tra l’11 marzo e il 4 aprile del 1983 raggiunse il più improbabile traguardo nella storia del college basketball, vincendo le ultime nove gare della stagione.
Per sette volte rimontarono in maniera miracolosa. In quel mese scarso i Wolfpack erano per tutti diventati i “Cardiac-Pack”, sconsigliati ai tifosi deboli di cuore.
«Survive and advance» disse a un certo punto Valvano dopo l’ennesima vittoria insperata.
Quella frase diventò il motto della squadra fino alla finalissima di Albuquerque, giocata contro l’Università di Houston, la squadra più forte quell’anno.
Il pronostico era talmente scontato che alla vigilia della partita anche Angelina, la mamma di Jim Valvano, scommise sulla vittoria di Houston!
Una squadra che non avrebbe mai potuto perdere ma che invece venne sconfitta, grazie a un incredibile canestro allo scadere di Lorenzo Charles.
Quel motto, qualche anno dopo diventò il titolo di un meraviglioso documentario targato ESPN.
«Survive and advance.»
Sopravvivere e avanzare.
Se ne è andato troppo presto Jim Valvano, un tumore se l’è portato via nel 1993.
Proprio quell’anno, poco prima di andarsene, cominciò la partita più importante della sua vita, lasciando a noi il compito di terminarla. Una partita che ancora si sta giocando.
Valvano fondò la Jimmy V Foundation. Nei ventisei anni dalla sua nascita la fondazione ha raccolto centinaia di milioni di dollari per la ricerca contro il cancro. Probabilmente ha aiutato a salvare delle vite. Non la sua, perché oggi Jim Valvano non c’è più, ma quel discorso che il 4 marzo 1993 fece in diretta televisiva è più vivo che mai.
“SURVIVE AND ADVANCE” DISSE A UN CERTO PUNTO VALVANO DOPO L’ENNESIMA VITTORIA INSPERATA. QUELLA FRASE DIVENTÒ IL MOTTO DELLA SQUADRA.
Fu un discorso di speranza.
Quella sera sul palco del Madison Square Garden nacque il suo meraviglioso motto «Don’t give up, don’t ever give up», non mollare, non mollare mai, un grido di speranza nella lotta contro il canc...