Esprimi un desiderio
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Esprimi un desiderio

  1. 304 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Esprimi un desiderio

Informazioni su questo libro

Francesca ha quarant'anni, un (quasi) ex marito arrogante e meschino, due figli che stanno lasciando il nido e una madre anaffettiva. La sua è un'esistenza in gabbia, in cui il vuoto è ormai diventato una presenza dolorosa e costante. Quando si guarda allo specchio prova un senso di smarrimento da togliere il fiato, ma è proprio nel momento in cui la vita sembra averle già svelato tutto che il vento inizia a cambiare. Un vento toscano, che la porta a trascorrere l'estate da sola in Maremma allontanandosi dalla quotidianità e da ciò che conosce. A contatto con la natura e con passioni che credeva dimenticate, Francesca farà i conti con i sensi di colpa, con ciò che gli altri si aspettano da lei e con ciò che lei desidera veramente. E imparerà che prima di prendersi cura degli altri, deve imparare a prendersi cura di se stessa.

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Informazioni

Print ISBN
9788891583246
eBook ISBN
9788865976432

1

Una cascata di luce scendeva delicata dal soffitto, accarezzava silenziosa la pelle scoperta delle spalle e scivolava sul parquet di legno. La disposizione dei faretti, così come la tonalità del colore, era studiata apposta per nascondere ogni imperfezione. Attenuava le occhiaie, ammorbidiva le rughe e rendeva la figura riflessa nello specchio quasi fatata.
Era da tempo che Francesca non si lasciava più ingannare da questi sotterfugi. Al suo occhio critico e stanco non sfuggiva il fatto che gli ingranaggi della vita perfetta che si era impegnata a costruire e mantenere avessero smesso di funzionare. In quel momento più che mai.
Era il giorno del suo compleanno. I quarant’anni avevano portato in dono una sensazione di vuoto e un carico di domande a cui non era preparata a rispondere. Le risposte avrebbero richiesto un’analisi troppo scoraggiante di quegli anni, e la responsabilità del vuoto sarebbe stata pesante da sopportare in quel momento. Era sempre stata critica e severa nei propri confronti: se da una parte questo le aveva permesso di migliorarsi, dall’altra non le aveva concesso tregua. Tutta quella durezza era diventata una prigione, in cui era allo stesso tempo ostaggio e secondino.
Non era la prima volta che si ritrovava sola nel giorno del suo compleanno. Gli impegni della famiglia erano sempre venuti prima di ogni altra cosa e non le era mai importato troppo festeggiare quell’anniversario in un altro momento. O non festeggiarlo affatto. Possibile che fosse vera la diceria che i quarant’anni avessero un peso e un significato diversi?
Passò i pollici sotto le spalline dell’impalpabile abito di seta e le fece scivolare lungo le braccia. Appoggiò una mano al petto per fermare il tessuto, che altrimenti sarebbe caduto a terra. Non aveva voglia di osservare il proprio corpo nudo. I seni piccoli, le ossa del bacino sporgenti e le lunghe gambe magre non avrebbero fatto altro che sottolineare la domanda che leggeva negli occhi riflessi nello specchio: chi sei?
Era figlia, sorella, madre e moglie. Ex moglie, in realtà. Ma, tolto questo corollario, chi era veramente?
Esmeralda aveva insistito fino allo sfinimento affinché si affrancasse dal puzzle di regole che si era costruita attorno e uscisse a cena per festeggiare il suo compleanno. Da sola.
«Non posso» aveva protestato.
«E perché? Alla fine sei sola anche a casa, o no?»
Era difficile avere l’ultima parola con lei. Esmeralda De Vittis era da sempre considerata la spina fastidiosa nel fianco della famiglia Capecchi, ricca casata fiorentina di cui la madre di Francesca era, al contrario, una impeccabile rappresentante. Un’infanzia ribelle in un’epoca in cui le donne avevano precisi confini da rispettare, una passione scandalosa per il teatro, due matrimoni e un’intelligenza tagliente: era la prozia scomoda, la sorella della nonna dalla quale tenere le distanze. A settantasette anni aveva ancora la grinta di una classe di adolescenti. Ma sulla cena non l’aveva spuntata. Le aveva regalato però un biglietto per un concerto di pianoforte al quale teneva moltissimo e, nonostante i mille dubbi, alla fine si era decisa. Ed era andata da sola. Aveva ammirato fin da bambina le scelte coraggiose di Esmeralda: il lavoro, i viaggi, le frequentazioni e l’abbigliamento eccentrico. Francesca non poteva essere più diversa. Non amava le luci dei riflettori e l’idea di uscire da sola non l’aveva mai sfiorata. C’era sempre Giulio al suo fianco. Il marito era la metà socievole e carismatica della coppia e lei si era sempre considerata una donna molto fortunata, non aveva bisogno di altro. A volte cenava con qualche amica ma, negli ultimi tempi, complici anche i reciproci impegni, non sentiva più nessuna di loro. Quand’è che aveva iniziato ad accorgersi che qualcosa era andato storto?
Aveva cominciato presto i preparativi per la serata. Si era concessa un lungo bagno caldo per allentare la tensione, poi si era vestita con cura. Arrivato il momento di uscire, aveva aperto e chiuso la porta diverse volte prima di decidersi a varcarla. L’ingresso a teatro era stato altrettanto impegnativo. Una folla di persone eleganti chiacchierava e rideva nella hall; le maschere, ai piedi delle scale, indicavano i corridoi da seguire per raggiungere il proprio posto. Francesca aveva la sensazione che tutti gli occhi fossero puntati su di lei, e non era piacevole. A nulla serviva rimproverarsi tanta agitazione: nel ventunesimo secolo non interessava più a nessuno se uscivi da sola, ma non riusciva a liberarsi del disagio. Aveva raggiunto in fretta il suo posto e solo dopo le prime note si era finalmente rilassata. Amava il pianoforte, l’unico strumento i cui accordi riuscivano a spingersi sottopelle fino ad arrivare a scorrerle nel sangue. Aveva chiuso gli occhi e lasciato che la magia della musica la trascinasse via con sé. Poi si era accorta delle lacrime, che le avevano bagnato le guance e macchiato di gocce rotonde la seta blu dell’abito. Si commuoveva sempre, al suono del pianoforte. Ma detestava farlo in pubblico. Aveva stretto i pugni e si era guardata attorno, preoccupata all’idea che qualcuno si accorgesse della sua solitudine e inadeguatezza. Poi si era alzata ed era uscita quasi di corsa, incespicando sui tacchi mentre raggiungeva l’uscita del teatro.
Distolse gli occhi da quelli severi nello specchio di fronte a lei, e li abbassò sull’abito stropicciato.
Ci aveva provato, a bastarsi. Ciò che per Esmeralda era semplice e naturale, per lei rasentava il masochismo. Doveva prendere le redini della propria vita tra le mani, lo sapeva, e sapeva che non sarebbe stato semplice. L’esordio di sicuro non era stato incoraggiante. Mentre lasciava cadere l’abito a terra, Francesca pensò che probabilmente non ce l’avrebbe fatta. Quarant’anni di compromessi, di accettazione, di regole prima imposte e poi assimilate avevano creato un edificio a prova di terremoto.
Il matrimonio con Giulio era finito già da tempo, anche se le carte della separazione erano state firmate solo pochi mesi prima. Permettere al marito di restare nella loro casa finché non avesse trovato un’altra sistemazione creava solo confusione, rimandando il momento di affrontare la realtà.
I ragazzi erano cresciuti e reclamavano la loro autonomia: avrebbero trascorso l’intera estate lontani da casa, Gaia in un college in Gran Bretagna e Matteo in ritiro con la squadra di canottaggio e poi in vacanza in compagnia degli amici.
La solitudine che fino a quel momento poteva nascondere dietro le necessità della famiglia ora era uscita allo scoperto, più cruda e profonda che mai. Colmarla sembrava un’utopia.
Voltò le spalle allo specchio, frustrata e stanca. Il silenzio della grande casa vuota era opprimente, tanto denso che nemmeno i rumori fuori riuscivano a penetrare.
Spense le luci della cabina armadio e raggiunse il letto a piedi nudi. Avere finalmente del tempo a disposizione per se stessa non era stato quel traguardo di cui tanto si parla: si sentiva sbattuta fuori dalla realtà rassicurante che l’aveva sempre protetta. E che non dava tempo e spazio a domande scomode e brutali.
Indossò la camicia da notte e si raggomitolò sotto le lenzuola. L’abatjour illuminava la confezione nuova di sonniferi appoggiata sul comodino: li aveva acquistati sotto prescrizione del suo medico, preoccupato per la sua magrezza eccessiva e i frequenti mal di testa. Ma non voleva usarli. Dormiva poche ore, di un sonno intenso e senza sogni. Quando si svegliava, se i pensieri erano troppo pesanti, si alzava e scendeva in cucina, a sperimentare ricette che Giulio non le avrebbe mai permesso di realizzare nel suo ristorante. E, quando il giorno faceva capolino attenuando il nero all’orizzonte, si vestiva e usciva a correre.
Avrebbe fatto così anche questa volta. Come tutti i giorni. La routine era la sua ancora di salvezza.
Mentre si allungava per spegnere la luce, i numeri sulla radiosveglia cambiarono: quattro perfetti zero le annunciarono la fine della giornata. Aveva compiuto quarant’anni e nulla era cambiato.

2

Il ristorante era silenzioso e profumava di bucato e cera per pavimenti. La luce entrava di sbieco dalle vetrate che davano sul vicolo, filtrava attraverso le tende di organza e scivolava morbida sui tavoli e le sedie disposti con cura.
Francesca si aggirava nel locale passando le mani sulle tovaglie candide, sistemando i centrotavola e raccogliendo briciole invisibili dalle sedute.
Arrivava sempre con un po’ di anticipo, per godersi il silenzio prima dell’arrivo dei cuochi, dei camerieri e dei fattorini delle consegne. Era un’abitudine che la confortava, momenti di quiete in cui poteva organizzare gli impegni della giornata e assicurarsi che ogni cosa procedesse senza intoppi.
Fuori le strade brulicavano di vita, ma i rumori arrivavano attutiti e rassicuranti. Le prime ventate di estate scendevano dalle colline attorno alla città portando energia e, se possibile, ancor più gente nelle vie di Firenze.
Quella mattina era uscita di casa alle sei, quando ancora la luce fredda dei lampioni tentava di scacciare i primi barlumi del giorno. Era scesa di corsa verso l’Arno, aveva superato il ponte e si era diretta lungo il fiume verso le Cascine. L’aveva costeggiato fino al monumento all’Indiano, era tornata indietro e aveva di nuovo superato il fiume lungo un ponte pedonale. La stanchezza le aveva svuotato la mente, in quel momento concentrata solo sul respiro e l’andatura regolare. L’elegante villetta in cui viveva si trovava a ovest della città, a pochi chilometri dal centro ma già immersa nel verde delle colline e degli ulivi toscani. Quando l’aveva raggiunta, aveva percorso quindici chilometri.
Mentre l’acqua bollente della doccia le rilassava i muscoli, Francesca pensava che sarebbe stato bello fermarsi nella bottega del verduraio e comprare qualcosa di insolito da provare in cucina. Da quando il ristorante aveva conosciuto il successo, non era più lei a occuparsi degli acquisti, e così sfogava il proprio estro culinario tra le mura domestiche. I figli erano i critici più spietati, ma ormai tra loro era un gioco e si divertivano a punzecchiarsi a vicenda. La verità era che spesso l’avevano aiutata a capire dove migliorare.
Ora che i ragazzi non c’erano, anche la voglia di sperimentare si era affievolita. Inoltre Giulio sarebbe rientrato la sera stessa dal suo viaggio a Milano, ed era impensabile fare esperimenti nella sua cucina, per i suoi ospiti.
La sua cucina. Quanti anni erano passati da quando aveva smesso di considerare quell’ambiente la “loro” cucina? C’erano momenti in cui dubitava perfino che fosse accaduto davvero. Aveva conosciuto Giulio quando frequentava la scuola alberghiera. Lui aveva sette anni più di lei, ed era stato invitato dalla scuola per parlare della sua esperienza come chef. Giulio lavorava in un ristorante rinomato e stava facendo carriera in fretta, e Francesca era rimasta affascinata dalla sua abilità, dai modi gentili ma autorevoli e soprattutto dalla sicurezza che mostrava. Era un giovane uomo che aveva le idee chiare su se stesso e le proprie capacità. Tutto il contrario di come si sentiva lei, che aveva dovuto ingaggiare una battaglia epocale con la famiglia per poter frequentare una scuola che gli illustri genitori consideravano “roba da sguatteri”. Gli sbocchi nel settore alberghiero non erano all’altezza del nome della famiglia. La madre, Delia, non perdeva occasione per sminuire lei e le sue scelte, e l’insicurezza era ormai una compagna di vita implacabile. Se non fosse stato per Esmeralda, che era stata caparbia nel sostenerla e dura nei litigi con Delia, Francesca avrebbe seguito le imposizioni di famiglia: un liceo rinomato e un’università come si deve.
Durante uno stage nel ristorante dove lavorava Giulio, i due ragazzi si erano innamorati e avevano coltivato il sogno di aprire un posto tutto loro. Non ricordava più quando era stato il momento in cui lei aveva smesso di essere la sua socia in cucina ed era diventata moglie e madre. Avevano anzi deciso che Francesca avrebbe fatto il corso Ais per diventare sommelier, ma dopo aver conseguito il diploma non aveva mai esercitato la professione. Erano anni che Giulio non le permetteva nemmeno di avvicinarsi ai fornelli.
Aveva chiuso con stizza il rubinetto della doccia ed era uscita gocciolante dal box. Non avrebbe permesso che la sensazione di tregua che le aveva concesso la corsa venisse polverizzata dopo nemmeno un’ora. Si era vestita in fretta ed era uscita.
Lo squillo del telefono del ristorante la richiamò alla realtà. Si avvicinò alla reception e sollevò la cornetta.
«Perché non rispondi al cellulare?»
«Non l’ho sentito» sospirò di fronte al tono brusco di Giulio.
«Non rientro questa sera» la informò. «Ho un incontro con alcuni finanziatori per cena e faremo tardi.»
«Come sta andando?»
Giulio era a Milano perché sognava da tempo di aprire un altro ristorante in quella città. Il primo tentativo non era andato a buon fine, e lui incolpava i suoi vecchi soci del fallimento. Con diplomazia Francesca aveva cercato di fargli capire che non era tagliato per mettersi in società con altre persone, ma lui non aveva ascoltato. Come sempre.
«Un sacco di chiacchiere» brontolò. «Ma questa sera dovranno darmi una risposta.»
Francesca tacque. L’uomo al quale aveva dedicato gli anni migliori della sua vita aveva perso il fascino magnetico che l’aveva portata a seguire e supportare tutte le sue scelte. Quando avevano aperto il ristorante, con i soldi prestati da Esmeralda, la sua carriera aveva subito un’impennata prodigiosa. Anche se molti dei piatti più originali erano stati un’invenzione di Francesca, Giulio era riuscito a prendersene tutti i meriti. Era stato anche ospite in un programma televisivo sulla cucina, e questo lo aveva portato a sognare in grande. Il desiderio di espandersi era diventato il suo chiodo fisso.
«Ti mando per mail le prenotazioni per stasera» proseguì Giulio. «Mi raccomando, metti Nejrotti e la sua ultima fiamma nel privée. Il tavolo migliore per il sindaco: è il compleanno della moglie. E…»
Francesca sospirò, lasciando che le parole del marito diventassero un brusio di sottofondo. Sapeva esattamente cosa doveva fare. Lo aveva fatto per anni, stemperando l’irruenza di Giulio e creandogli un’importante rete di contatti e conoscenze. Perché lui si ostinava a ripeterglielo? Anche adesso che avevano assunto un direttore di sala, un altro chef che sapeva farsi da parte quando lui aveva voglia di tornare in cucina e una commercialista per l’amministrazione, lei si preoccupava che tutto fosse oliato alla perfezione come quando era la sola a occuparsene. La sufficienza con cui la trattava era esasperante.
«Mi hai sentito?» sbottò l’uomo di fronte al suo silenzio.
«Naturalmente» replicò drizzando le spalle. «Andrà tutto bene. Ci vediamo domani.»
Negli ultimi tempi ci stava prendendo g...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Esprimi un desiderio
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
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  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. 20
  24. 21
  25. 22
  26. 23
  27. 24
  28. 25
  29. 26
  30. 27
  31. 28
  32. 29
  33. 30
  34. 31
  35. 32
  36. 33
  37. 34
  38. 35
  39. 36
  40. 37
  41. 38
  42. 39
  43. 40
  44. 41
  45. 42
  46. 43
  47. 44
  48. 45
  49. 46
  50. 47
  51. 48
  52. 49
  53. 50
  54. 51
  55. 52
  56. Ringraziamenti
  57. Copyright