Difficoltà: alta
Strade: asfaltate, attenzione al fondo irregolare e rovinato tra Castelsantangelo sul Nera e Norcia (soprattutto dopo il sisma dell’ottobre 2016, riapertura recente)
Distanza: 107 km
Dislivello: 2200 m
Altitudine massima: 1517 m (valico dopo il Piano Grande)
Città di riferimento: Spoleto, Perugia
Percorso: Triponzo – Ponte Chiusita – Visso – Castelsantangelo sul Nera – Forca di Gualdo – Castelluccio – Norcia – Sant’Angelo – Campi – Piedivalle – Preci – Pontechiusita – Triponzo
Quando farlo: da aprile a ottobre
Cosa vedere: la natura selvaggia in Valnerina – il Parco dei Monti Sibillini – Castelluccio di Norcia e il suo castello “cinematografico” – il Pian Grande, nella piana di Castelluccio, durante la “Fiorita” a tarda primavera – Norcia (uno dei “borghi più belli d’Italia”) e le rovine dell’abbazia di San Benedetto, pesantemente danneggiata dal sisma del 2016 – la basilica di Sant’Eutizio a Preci – i resti della basilica di San Salvatore a Campi di Norcia (anch’essa vittima del terremoto, ma oggi al centro di un innovativo progetto di recupero) – la tenuta Castelbuono a Bevagna, opera di Arnaldo Pomodoro
Cosa assaggiare: le lenticchie di Castelluccio – la salsiccia di cinghiale e il tartufo nero di Norcia – i vini Sagrantino e Rosso di Montefalco in una delle numerose tenute (come la tenuta Castelbuono o Arnaldo Caprai)
L’Umbria è una Toscana ancora vergine: meno turistica, meno affollata, con zone ancora selvagge e tuttora da scoprire. La zona dei Monti Sibillini, per esempio, spartiacque appenninico tra Marche e Umbria, è sicuramente tra queste. Pedalare qui, risalendo la selvaggia Valnerina, così chiamata per via del fiume che la percorre, il Nera, è subito un tuffarsi into the wild. Natura boschiva, profumo di macchia mediterranea, cespugli di ginepri. Inerpicarsi poi, dopo Santangelo sul Nera, lungo una vecchia provinciale dalle pendenze severe che pare portare nel nulla e che invece conduce alla incantata piana di Castelluccio, diventa un viaggio nel viaggio.
Natura e cultura, arte e vegetazione, flora e fauna. Ma anche cicatrici, di quelle indelebili, e ferite, profonde e non del tutto rimarginabili. L’Appennino centrale, dopo il violento sisma del 2016, porta i segni del dolore.
La stessa strada che da Castelluccio percorre il Pian Grande per poi raggiungere Norcia è stata riaperta al transito soltanto di recente, dopo i lavori, a tempo di record, per la sua messa in sicurezza. Apprezzare e scoprire, pedalando, queste bellezze ferite diventa allora anche un viaggio simbolico. Un omaggio doveroso a una terra meravigliosa e sfortunata.
Punto di partenza: Triponzo (dal latino Tripontium: “luogo con tre ponti”), piccola frazione di Cerreto di Spoleto, dove le acque del Corno e del Nera confluiscono. Parcheggiate e non cedete alla tentazione di gettare le chiavi nel fiume. Anche se il luogo, solitario e selvaggio, invita a farlo.
Vi attende mezza giornata almeno, in compagnia del solo silenzio, disturbato al massimo, talvolta, dal dolce rumore della catena che rimbomba sulle rocce.
Vi aspetta un’uscita impegnativa, dove a un chilometraggio di discreta lunghezza (107 chilometri) si abbina un dislivello di 2200 metri. Servono gamba, voglia e un buon allenamento in salita, se non si vuole soffrire troppo.
Ma è questo ciò che cerchiamo dopo tutto. Un viaggio che sappia riempire il cuore e ripagare dello sforzo profuso. Oltre alle bellezze naturali, ci attendono capolavori dell’arte, prelibatezze enogastronomiche e momenti di meditazione. Fatta esclusione per i mesi estivi, quelli della “fiorita” – la fioritura dei campi di lenticchie che rende celebre i piani di Castelluccio –, pedalerete quasi sempre senza traffico, in perfetta solitudine. Del resto queste sono le strade di san Benedetto e di san Francesco: non lontano da qui ci sono Assisi e l’Eremo delle Carceri. Silenzio, meditazione, fatica.
Una raccomandazione: il fondo stradale, dopo il terremoto, non sempre è in ottime condizioni e spesso presenta irregolarità piuttosto marcate: prestate attenzione, e portatevi dietro, nel borsino sottosella, una o due camere d’aria di scorta, oltre al kit antiforature, come sempre.
Il resto sarà solo piacere e bellezza pura. Quella che soltanto l’Italia, quando ci si mette, sa regalare.
Godetevi così lo spettacolo del Pian Grande, a 1500 metri di quota: la strada, perfettamente dritta, lo taglia in due come un coltello. Ed è qui che, tra fine maggio e metà luglio, i prati si trasformano in un tripudio di colori: giallo, rosso, viola. Sono i petali dei fiori che sbocciano nei campi di lenticchie. Ma la fiorita non è che uno degli infiniti motivi per venire a pedalare nel Parco Naturale dei Monti Sibillini.
Gli altri ve li lasciamo scoprire da voi, strada facendo. Non vi roviniamo la sorpresa.
107 chilometri, 2200 metri di dislivello. Abbiamo detto tutto. Se anche andate forte ci impiegherete almeno quattro ore per coprire questo percorso, a meno che non vi chiamiate Chris Froome o Vincenzo Nibali. Se invece siete ciclisti della domenica, andate piano, fate numerose soste e considerate tranquillamente mezza giornata. Ne varrà la pena.
I primi chilometri sono facili, in falsopiano: ideali per scaldare la gamba. Leggera pendenza, quasi non ve ne accorgerete. Del resto, qui, la pianura non la troverete proprio. Dove non c’è salita, infatti vi farà compagnia il più classico dei “mangia e bevi”. Da Triponzo a Castelsantangelo sul Nera, senza accorgervene, avrete coperto circa 300 metri di dislivello.
A Castelsantangelo, in territorio marchigiano, la musica però cambia. Comincia la salita vera e propria. 10 chilometri, con pendenza media del 7% e punte del 12%, che conducono alla misteriosa e affascinante Forca di Gualdo. 1496 metri di altezza, nel cuore del Parco Naturale dei Monti Sibillini. Siamo partiti da 400 metri di quota, e ora, dopo appena 40 chilometri abbiamo già più 1000 metri di dislivello nelle gambe. È una salita dura, la Forca di Gualdo. Trovate un ritmo che vi consenta di arrivare con regolarità in cima: ci sono pochi tratti per rifiatare. E le pendenze maggiori si trovano tutte dopo metà salita, il tratto finale, invece, torna a essere più clemente. Portatevi due borracce, una con i sali e l’altra con l’acqua. Potrebbe fare caldo, anche a primavera, e i punti di rifornimento scarseggiano: prima di Castelluccio sono praticamente assenti. Una volta raggiunta la Forca di Gualdo, si scende dolcemente, per qualche chilometro verso Castelluccio di Norcia, la strada disegna ampi tornanti e invita alla piega. Si torna a salire brevemente, fino al paese, arroccato su un colle. Guardatevi attorno, mentre comprate magari un sacchetto di lenticchie da uno dei numerosi container che, dopo il sisma, ospitano i venditori di prodotti locali. La piana di Castelluccio è un’area appenninica assolutamente particolare, e rara nel suo genere: di simile c’è solo Campo Imperatore, sul Gran Sasso, in Abruzzo. Entrambe zone appeniniche che non hanno nulla da invidiare agli altipiani alpini. Salite comprese. A proposito, una volta giunti al secondo valico, quello alla fine di Campo Maggiore (e Cima Coppi della nostra uscita, con i suoi 1517 metri), indossate la mantellina, e preparatevi alla lunga discesa verso Norcia: sono circa 20 chilometri, per rifiatare e recuperare le energie spese.
Il consiglio però qui – come, del resto, in tutte le discese lunghe – è quello di non smettere mai di pedalare completamente. Appena la strada riprende a salire infatti, potrebbero sopraggiungere, sgraditi, i crampi.
Entrati in Norcia, è il momento per una seconda – meritata – pausa. Fatevi preparare un panino con salsiccia di cinghiale in una delle salumerie di cui è disseminato il borgo. E poi prendetevi un minuto per contemplare, seppure da fuori, le rovine della meravigliosa basilica di San Benedetto. La scossa più forte, quella del 30 ottobre 2016, ha fatto crollare il campanile e gran parte della struttura portante. Eppure il fascino e la bellezza di questa chiesa sono rimasti intatti.
Usciti da Norcia, si prosegue verso nord, seguendo le indicazioni per Visso e Preci. Si torna a pedalare in salita, anche se questa è decisamente più dolce e soprattutto più corta: 6 chilometri che conducono alla Forca di Ancarano a quasi 1000 metri di altezza: bellissima da qui la vista su Norcia, appena lasciata. La discesa verso Preci è facile e piacevole: 10 chilometri nuovamente a tu per tu con natura e piccoli borghi. Ancora un breve strappetto di circa due chilometri e mezzo e poi, dopo una rapida discesa rieccoci al bivio che immette nuovamente nella Valnerina, in direzione Visso. L’anello è concluso e il cuore è colmo di emozioni e sentimenti, che occorre lasciare decantare davanti a un caffè e a una fetta di torta nel bar del centro di Triponzo.
Farsi del bene, pedalando, in solitudine. Non certo un itinerario adatto a chi cerca una pedalata rumorosa, in gruppo, magari a ritmo gara, non è proprio il terreno ideale. Diciamolo subito. Non tanto e non solo per la sua continua ondulatezza e irregolarità del fondo stradale, che sconsiglia di tirare a tutta, perché martoriato dal terremoto. Quanto piuttosto perché questi sono luoghi consacrati al silenzio, dove si è naturalmente spinti a meditare e a cercare il confronto con se stessi. Cose che la vita cittadina e lo stress quotidiano ci hanno fatto disimparare. Tra paesi minuti e torturati ma mai vinti e chiese pericolanti ma ancora vive e ricche di sorprese, c’è da perderci la testa. E le parole, dopo tutto, diventano superflue. Un’aggiunta inutile all’atmosfera spirituale che questo percorso emana, dal dolce fluire in discesa delle acque del Nera, che noi invece risaliamo controcorrente, ai giochi cromatici del Pian Grande quando a giugno fioriscono i campi di lenticchie. Il viola, il rosso, l’ocra la fanno da padroni, ma se ci si avvicina si scoprono infinite sfumature. Questa fioritura che si ripete ininterrotta ogni anno, tra maggio e luglio, con minime oscillazioni a seconda del clima e delle temperature, è come un miracolo di san Gennaro: si rinnova ogni volta. E stupisce, andando oltre i dolori recenti di questa terra e indicando una direzione. Un segnale che dona euforia e che riempie di energia. Dopo la dura salita alla Forca di Gualdo, la piana di Castelluccio saprà infondervi ben più che semplice conforto.
Fermatevi a Castelluccio, miracolo nel miracolo: borgo uscito dal tempo, cucito a mano in cima al suo cucuzzolo spelacchiato. L’unico in mezzo a questo mare piatto d’altura. Un ossimoro: mare e altura. Dove c’è il primo non può esserci la seconda per definizione. Non in questa radura incantata dell’Appenino centrale: un altopiano in quota che combina colori, umori, talvolta increspature, come il mare.
Lo strappo prima del valico del Pian Grande (seconda ascesa di giornata) è una fatica che non è fatica. E la discesa conseguente, lunga e a perdifiato, verso Norcia, ha il sapore del vento nei capelli e della meraviglia negli occhi. Benessere allo stato puro. Coccolati dal vento e dai brividi per il paesaggio.
Già, Norcia. La vittima simbolo del sisma del 2016. La chiesa di San Benedetto stremata e mutilata, fotografata in tutte le salse. Sì, ha perso il corpo. Ma non l’anima e, soprattutto, non il cuore. Quest’ultimo pulsa ancora: resta in piedi la facciata, monumento alla forza e alla resilienza della bellezza italiana. Meno grandiose ma non meno belle, le storie di altre basiliche minori, nascoste tra colli e fiori che profumano. Una su tutte, quella del santuario di San Salvatore a Campi, a pochi chilometri da Norcia. Anticamente nota come pieve di Santa Maria, oggi ne restano soltanto brandelli, addossati al cimitero del paese. Praticamente un’ombra di quello che fu il muro perimetrale. Eppure, San Salvatore, prima del 2016, era la chiesa dei due rosoni e dei due portali. Rallentate la pedalata ora. Ascoltate il rumore inconfondibile del vento che fa frusciare i rami dei faggi, una leggera bava, qui, c’è sempre. E poi laggiù, dietro gli alberi, ecco un gorgogliare discreto di acque. Sono quelle del torrente Campiano: sgorga proprio qui, prima di affluire lesto nel Nera.
Difficoltà: bassa
Strade: asfaltate, in buone condizioni, tranne un breve tratto (1 km) di strada vecchia, piuttosto dissestata. Pista ciclabile tra Capo Reamol e Limone sul Garda (2,5 km: pochi, ma vale assolutamente la pena farli tutti, a sbalzo sul lago). Traffico scarso o assente lungo la Strada della forra, maggiore lungo la SS45bis, soprattutto nei mesi estivi
Distanza: 43 km
Dislivello: 800 m
Altitudine massima: 589 m (Vesio)
Città di riferimento: Trento, Brescia
Percorso: Riva del Garda – Capo Reamol – Limone sul Garda – Tremosine Porto – Pieve di Tremosine – Vesio – Voltino – Ustecchio – Bassanega – Limone del Garda– Capo Reamol – Riva del Garda
Quando farlo: da marzo a novembre
Cosa vedere: la spettacolare ciclabile a sbalzo di Limone del Garda, tra Capo Reamol e Limone – la forra scavata dal torrente Brasa e che dà il nome alla strada – la Terrazza del brivido, a Pieve di Tremosine, sospesa nel vuoto a 350 metri d’altezza – il MAG (Museo Alto Garda) nella Rocca di Riva del Garda
Nei dintorni: la chiesa della Madonna di Montecastello, a Tignale, abbarbicata su un cucuzzolo panoramico – Campione del Garda, il “paese fantasma” – il suggestivo passo Tremalzo (1694 metri), raggiungibile da Vesio attraverso il passo Nota (1200 metri) e poi lungo un’antica strada militare sterrata, adatta solo a mountain bike o bici gravel – le palafitte in riva al lago di Ledro
Cosa assaggiare: la formaggella di Tremosine nel caseificio Cooperativa Alpe del Garda a Polzone (Tremosine) – un bicchiere di Picco Rosso, liquore superalcolico “vigorosamente aromatico” inventato nell’antica Farmacia Folletto di Pieve ...