
- 208 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Tornando a casa
Informazioni su questo libro
Suona la campanella. Dieci ragazzi di prima media escono da scuola e tornano a casa. Jasmine e il suo amico TJ discutono di caccole. Le Teste Rasate rubano spiccioli. Pia sfreccia sullo skate. Fatima scrive quello che vede. Bryson è un campione distrutto di Call of Duty. Simeon festeggia il compleanno dell'amico Kenzi a suo modo. Satchmo ha paura dei cani. Cynthia fa ridere. Gregory puzza. Canton odia gli scuolabus. Alcuni hanno una vita difficile, altri più lieve. Alcuni usano i pugni, altri l'ironia. Con la forza ipnotica e seducente della sua scrittura, Jason Reynolds tratteggia storie uniche ed emozionanti di ragazzi che senza neppure saperlo stanno cercando la propria strada.
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Informazioni
Print ISBN
9788817145008eBook ISBN
9788831800235NESTLE ST.
IL PIANO GENERALE DI SATCHMO
Oggi, dopo la scuola, Satchmo Jenkins ha escogitato un piano generale per salvarsi la vita.
Un piano che avrebbe voluto gli fosse venuto in mente tanto tempo prima.
La cosa risale a quando Satchmo era piccolo. Satchmo aveva sette anni e il rottweiler trentadue, in anni umani, abbastanza vecchio da essere dotato di un po’ di buon senso, aveva pensato Satchmo. Il cane gli aveva staccato a morsi un pezzo di gamba, lasciandogli un segno con i denti a forma di faccina triste. Era stato un incidente assurdo, un caso impossibile da prevedere, perché Satchmo non mancava mai una presa. Tutte le volte che qualcuno gli lanciava una palla, era sicuro che l’avrebbe afferrata al volo. Era il suo marchio di fabbrica. Ma quando Clancy gli aveva detto di allontanarsi e gli aveva lanciato il pallone, Satchmo ci aveva provato ad allungarsi, a distendersi il più possibile, ma non ci era arrivato. Il lancio era troppo lungo. E quando aveva toccato terra, il pallone era rimbalzato come peggio non poteva ed era finito dritto nel giardino di Ms. Adams, dove, incatenato a un albero, viveva Brutus il Rottweiler. Il pallone era rimbalzato verso di lui e Brutus era schizzato in piedi, agitando la coda tozza a forma di dito così forte da perdere quasi l’equilibrio. Aveva annusato il pallone da football e poi aveva cercato di prenderlo tutto in bocca, chiudendolo tra i denti. Ma la sua eccitazione lo aveva sopraffatto e a furia di provarci aveva finito per spingere il pallone oltre la portata della catena che lo tratteneva. Perfetto per Satchmo.
«Ehi, Satch» aveva urlato Clancy. «Datti una mossa prima che Ms. Adams ti veda.»
Ms. Adams era la padrona di Brutus. Una vecchia signora che passava il tempo seduta alla finestra a controllare il vicinato, assicurandosi che nessuno mettesse piede nel suo giardino, quasi che la sua erba fosse un’erba diversa. E lei l’avesse fatta arrivare in aereo dal posto in cui le persone cattive si procurano l’erba. A volte teneva la finestra spalancata, anche quando si gelava dal freddo, e se ne stava seduta lì, a guardare, con la bocca ammosciata per colpa di tutto il tabacco che si infilava sotto al labbro. Di tanto in tanto, lanciava uno sputo nero e sugoso che si fermava a metà del giardino. Begli sputi grandi come pallottole, veri proiettili sparati dalla bocca. Altrimenti, sputava in un barattolo. Qualcuno diceva che nel cibo di Brutus ci mescolasse anche quella poltiglia di tabacco. Per rendere il cane ancora più feroce. E assicurarsi che chiunque entrasse nel suo giardino sapesse che avrebbe dovuto vedersela con una bestia che solo una grossa catena da tori avvolta attorno a un albero dal tronco spesso poteva trattenere. Quando vedeva passare Satchmo, invece del solito gesto con la mano degli anziani e del classico “Ciao, come sta tua mamma?”, come facevano gli altri vicini di casa, Ms. Adams si limitava a un leggero cenno del capo.
Satchmo si era sempre immaginato l’interno della casa come una vecchia palestra di boxe. Spoglia, fredda, fumosa, con i sacchi che pendevano dal soffitto. Ms. Adams doveva colpirli a mani nude con diretti e ganci destri. Forse anche con calci. Ginocchiate. E qualche volta anche gomitate. A volte a Satchmo veniva anche il dubbio di sbagliarsi e che in realtà non fosse Brutus a fare la guardia a Ms. Adams, ma Ms. Adams a fare la guardia a Brutus. Era lei a proteggere il cane. E a mordere, con quei suoi denti macchiati di nero, chiunque provasse ad avvicinarglisi.
Satchmo aveva sbirciato per controllare se Ms. Adams fosse seduta alla finestra. E poi si era girato a dare un’occhiata a Clancy. Lui gli aveva fatto cenno di no con la testa, come a dire: “No, non c’è”. E: “Sì, fallo”. E ancora: “Sbrigati”. E così Satchmo si era spostato in punta di piedi dalla strada al marciapiede e dal marciapiede al giardino di Brutus Adams, un rottweiler dalla testa grande come un pallone da basket, nero, e con un profilo marrone intorno alla bocca.
«Buono, Brutus» aveva sussurrato Satchmo, avvicinandosi al pallone con cautela. Non c’era niente di cui avere paura, perché il pallone era fuori dalla portata di Brutus e non c’era modo per cui il cane potesse arrivare a Satchmo. Ma a ogni passo che faceva, la coda di Brutus si agitava sempre più forte. Si agitava come per dire “sì, sì, sì” e “no, no, no” allo stesso tempo. Come per dire: “Sono felice di vederti e voglio giocare, ma noi giochiamo a giochi diversi. Tu non manchi mai una presa. Io nemmeno”. Si agitava come…
Satchmo aveva raccolto il pallone. Se l’era passato sui jeans per ripulirlo dalla bava.
… chi trova tiene…
Aveva sollevato il pallone per mostrarlo a Clancy, come un segno di vittoria. Clancy aveva alzato le braccia come se Satchmo avesse appena recuperato un fumble. Vittoria.
La coda si agita. Si agita. Si agita, si agita, si agita, si agita. E Brutus ansima. Salta. Salta. Abbaia.
… e chi perde piange!
Satchmo si era dato un’occhiata alle spalle. Brutus, ormai al colmo dell’eccitazione, lo stava puntando. La catena lo aveva ricacciato indietro, ma solo per un attimo. Brutus ci aveva riprovato, sollevandosi sulle zampe posteriori e svettando su Satchmo, che intanto si era messo a correre di nuovo verso la strada.
Troppo tardi, però. Il gioco era iniziato. E pochi secondi dopo la catena si era spezzata e Brutus si era lanciato come un fulmine verso Satchmo.
Satchmo doveva il suo nome a Louis Armstrong, un famoso musicista jazz che sua nonna adorava. La storia racconta che Louis era stato soprannominato Satchmo da satchel mouth, “bocca a tracolla”, perché aveva una bocca enorme, proprio come una borsa. La bocca di Satchmo Jenkins non era per nulla grande, ma quel giorno Satchmo aveva capito che in caso di necessità poteva diventare una vera e propria tromba. Poteva squillare e tuonare e correre su e giù su una scala di note, se c’era un cane a far correre lui su e giù per una strada.
Quattro anni dopo, Satchmo aveva lasciato il suo vecchio quartiere per t...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Uno scuolabus caduto dal cielo
- Le teste rasate colpiscono ancora
- Skitter Hitter
- Guarda a destra e a sinistra prima di attraversare
- Call of Duty
- Cinque cose più facili da fare della stretta di mano…
- Il piano generale di Satchmo
- Ookabooka Land
- Come si brucia d’amore
- Il cane di scopa
- Ringraziamenti
- Note
- Copyright