«Perché non mi prendi mai sul serio?»
«Perché ti conosco troppo bene.»
«Ti sto dicendo che potrei essermi innamorata.»
«Signore, pietà.»
«Guarda che dico davvero.»
«Potresti?»
«Potrei.»
«Questo è il momento in cui ti ricordo che non puoi essere innamorata di un uomo che vive a mille chilometri da te e che hai visto, sì e no, cinque volte.»
«A parte che l’ho visto molto di più, e poi passiamo giornate intere a scriverci.»
«A scrivervi…»
«Sì, scriverci.»
«Capisci perché ho smesso di prenderti sul serio?»
«Ci sentiamo su WhatsApp, Messenger…»
«Fra un po’ smetterò anche di ascoltarti.»
«Anche su Instagram.»
«Su Instagram non si pubblicavano foto?»
«Puoi anche inviare messaggi privati. Sei l’unica a non saperlo.»
«Io con le persone ci parlo.»
«Ti assicuro che parlo più io con lui scrivendo che tu con la maggior parte delle persone che frequenti.»
«Ma tu lo sai, vero, che scrivere “Vorrei fare l’amore con te” non è esattamente come farlo?»
«Lo so, è tutto un gran casino, ma lui mi dice che sono bella, che sono una donna pazzesca. Che sono splendida, speciale.»
«E quando ti viene voglia di baciarlo cosa fai, baci il cellulare?»
«Se sono da sola piango, altrimenti glielo scrivo. Quand’è stata l’ultima volta che è successo, con Gabriele?»
«Io quando ho voglia di baciarlo, vado dal mio uomo e lo faccio.»
«Quindi per te le storie a distanza che miliardi di persone vivono ogni giorno, da secoli, in realtà non sono niente di serio?»
Giulia si pizzicò il sopracciglio sinistro, quello tagliato in due dalla cicatrice, e si assicurò che fosse ben coperto dalla frangia. Seduta di fronte, Irene, la sua amica, le stava ricordando quanto la sua vita sentimentale le stesse ancora una volta sfuggendo di mano mentre lei, fidanzata con lo stesso uomo da più di dieci anni, sembrava non perdere mai il controllo sulla sua relazione.
«Giulia, tu sei sposata.»
«E cosa c’entra? Una non può essere sposata e innamorarsi di un altro? Succede. Ti innamori, ti sposi pensando che quella sia la persona perfetta per te, che sarà fantastico dividere la vita con lui e invecchiare insieme. Poi scopri che è un maniaco del controllo, che la sua tendenza alla misantropia è diventata cronica e che, in buona sostanza, non avete più niente da dirvi.»
«Tu davvero, prima di sposarlo, non ti eri accorta che Mattia è un solitario, scontroso e asociale?»
«Non è stato sempre così. La gente cambia. E poi, quando l’ho conosciuto, ancora non sapevo che l’unico modo per avere una relazione duratura con qualcuno è quello di abbinare il Maalox alla psicoterapia.»
«Succederà anche con l’altro. Lui cambierà e tu ti stancherai.»
«Magari sì, ma magari io morirò prima che succeda. Ho trentasette anni, cazzo, e la vita sessuale di una sessantenne. Con mio marito, intendo. Per lui sono diventata trasparente.»
Mattia e Giulia si erano incontrati cinque anni prima e avevano deciso di sposarsi sei mesi dopo essersi conosciuti. Il giorno del loro matrimonio erano in trenta, solo gli amici più intimi e qualche parente e, nonostante quella giornata al mare non avesse niente a che vedere con le cerimonie più tradizionali, la loro festa fu una delle più divertenti di sempre. Mentre Mattia la stringeva e la baciava nel suo abitino corto in pizzo, ordinato su internet e pagato meno di duecento euro, Giulia aveva la certezza di essersi sentita, almeno in quel momento, in pace col mondo e con i suoi demoni, come se, per una volta, fosse riuscita ad arrendersi alla felicità e all’amore che le avevano sempre trasmesso tanta paura.
«E allora lascialo.»
«Ci sto lavorando.»
«Per poi scappare dall’altro e stancarti anche di lui?»
«Ti dico che è diverso, lui mi vuole, vuole me, mi desidera e, soprattutto, me lo dice. È divertente, è folle. Con lui è come se mi sentissi sempre viva ed euforica, e con Mattia non ricordo da quant’è che non mi sento così.»
«Con lui quando chattate, intendi. Chilometri di messaggi pieni di aspettative e desiderio, ma quante volte vi siete visti? Quante volte vi siete baciati?»
«C’è: è presente. Fa parte della mia vita.»
«Vive nel tuo telefono, Giulia, nel tuo computer. Hai un amante… ma solo per iscritto. Chilometri di messaggi e nessun contatto, magari ci scrivono pure un libro, su di te.»
Giulia scrollò il cellulare che era appoggiato sul tavolo e vide che non c’era segnale.
«Cosa sta succedendo?»
«Evviva, magari è la volta buona che inizi a guardarmi in faccia quando ti parlo.»
«Io ti guardo mentre ti parlo e adesso, guardandoti in faccia, ti dico che siamo il grande amore l’uno dell’altra. E che mi pensa. E sta male. E ci vediamo, poco ma ci vediamo.»
«Perché alzi la voce?»
«Perché, forse, ho torto.»
Giulia, per un attimo, valutò davvero l’ipotesi di essere dalla parte del torto. Aveva sempre il timore, a posteriori, di aver scelto la strada sbagliata e di avere torto su tutto. Torto sulla decisione di essersi sposata troppo presto. Torto sulla sua voglia di essere altrove, sui continui, a volte estenuanti, esercizi di fantasia a cui sottoponeva ogni giorno il suo cervello e che le restituivano immagini della sua vita, come fosse in una serie tv, possibilmente americana, mainstream e rumorosa, o in uno di quei romanzi per ragazze che lei definiva “semplici” e che leggeva di nascosto da se stessa. Torto sul taglio di capelli, sempre lo stesso caschetto dai tempi dell’università. Torto sulla marca di biscotti da usare nel tiramisù, perché chi lo ha detto che ad aver ragione non fossero gli altri: quelli che seguivano la ricetta con i savoiardi. Torto sulla perseveranza che metteva intorno all’idea che un giorno avrebbe scritto una grande storia che sarebbe diventata un libro di successo, dato che di quella storia aveva scritto poco più che l’incipit. Torto sull’amore, perché non era mai riuscita ad ammettere quanto per lei fosse vitale sentirsi innamorata, quanto tutta la sua vita fosse una continua tensione verso la ricerca di chi l’apprezzasse e valorizzasse, soprattutto attraverso il sesso, che era anche l’unico motivo per cui più di qualcuno, nel corso della sua vita, l’aveva frequentata. Non si era mai sentita bella, anzi, sapeva di essere piuttosto sgraziata nei movimenti, ma sapeva che gli uomini la trovavano eccitante, probabilmente per la sua capacità di farli ridere. Si ripeteva che per vivere bene era sufficiente il resto, che poteva accontentarsi di quello che aveva anche senza bruciare di passione, di un marito insieme al quale non stava poi così male, di una routine, di amici in comune e del loro amore stanco e non più intimo, pieno di premure meccaniche e di litigi che non avevano l’intenzione di fare mai davvero male. Di qualcosa che forse era meglio di niente, si diceva, anche se poi la sua vera attitudine era quella di perdersi con il pensiero dietro a storie d’amore che non erano le sue.
«Sai quando ho capito che con Mattia era finita?»
«Quando lo hai tradito per la prima volta?» Irene si lasciò sfuggire una nota giudicante che Giulia ignorò. La guardava attraverso i suoi occhialoni da sole tondi e neri che non toglieva mai e che le coprivano metà viso.
«Basta fare la diva» la punzecchiò Giulia, «siamo in un bar, al chiuso, te ne sei accorta?» Irene si sistemò meglio gli occhiali sul naso e non disse nulla, attendendo che l’amica le rispondesse.
«Sul traghetto a Civitavecchia, di ritorno dalla Sardegna. C’era una coppia che si stava salutando in un modo che ho trovato struggente. Mi ricordo di averli notati perché lei, al bar, rideva da scoppiare, poi li ho rivisti al porto, a piedi, mentre noi eravamo già in auto. Lei piangeva con la faccia tra le mani e lui le baciava la testa.»
«Magari erano amanti» disse Irene.
«Certo che erano amanti: io, quando saluto mio marito, un attimo dopo ti chiamo per chiederti di andare a bere.»
«Infatti tu non sei un campione rappresentativo dell’amore.»
«Infatti vorrei diventarlo, e per la prima volta non ho paura di dire che sono innamorata.»
«Sarebbe circa la duecentesima volta che te lo sento dire, in più di vent’anni che ti conosco.»
«Magari tutte le storie d’amore hanno una data di scadenza.»
«Magari sì, ma ha senso cercarla ancor prima di godere del contenuto?»
«Non lo so…»
Giulia pensò che in fondo si sentiva in pace con la propria coscienza, perché per una volta non aveva cercato la fine di una storia prima ancora di viverla: aveva sposato Mattia e aveva dato una possibilità all’amore, che adesso, però, si era trasformato in quieto affetto e lei non sapeva quando fosse successo. Giulia sognava Jane Austen da sempre, ma viveva Moravia, e proprio per questo, da qualche mese, si era incastrata in quella “conversazione” amorosa con Carlo. La ragazza controllò di nuovo il telefono, che non sembrava dare segni di vita.
«Oh, ma mi ascolti? Devo sequestrartelo per ricevere un po’ di attenzione?» Irene, seduta di fronte a lei, stava indicando il cellulare che Giulia stringeva tra le dita sottili e colorate da uno smalto rosso scuro, leggermente grattato via dalle estremità del pollice e dell’indice.
«Non ho connessione. Tu?» rispose, mentre nel frattempo aveva preso a grattare via anche lo smalto dell’altra mano.
«Controllo, ma smettila di massacrarti le unghie. Non riesco a guardarti.»
«Hai ragione, scusa… sono nervosa.» Giulia buttò a terra i pezzettini di smalto che aveva minuziosamente raccolto sul tavolo. Quando alzò la testa dal telefono percepì il crescere di una sorta di psicosi collettiva. Ai tavoli del bar la gente seduta stava controllando i propri cellulari con insistenza.
«A te prende?» Giulia si rivolse a Mario, il barista giovane e carino, anche un po’ troppo palestrato per i suoi gusti, che sorrideva sempre alle ragazze. Quel bar accanto alla piazza centrale di Perugia, lungo e stretto, con un bancone che per via dei cassetti ciechi sul davanti assomigliava a quello di una vecchia farmacia, e che occupava praticamente tutto lo spazio, era il luogo dove lei e Irene si ritrovavano ogni volta che uscivano.
Mario lo gestiva insieme a un suo amico e Giulia si sorprendeva per come, nonostante la fatica di quel lavoro, entrambi sembrassero sempre divertirsi: da quando avevano aperto non li aveva mai sorpresi, nemmeno una volta, in gesti scortesi o poco accoglienti, cosa parecchio rara per essere a Perugia.
«Non lo so, quando lavoro non lo tengo mai con me» rispose continuando a sistemare le tazze ancora calde di lavastoviglie.
«WhatsApp è in down» disse qualcuno seduto al tavolo dietro.
«Non è solo WhatsApp. Non c’è rete e il telefono non prende» disse Giulia senza nascondere il tono allarmato.
«Ho provato a chiamare Gabriele: solo chiamate d’emergenza» ribatté Irene.
«Cazz… ma cosa sta succedendo?»