Immaginate la meraviglia e lo stupore negli occhi dei primi umani arrivati nelle Americhe davanti a paesaggi mai visti prima pieni di montagne, foreste e distese di piante nuove tutte da scoprire e conoscere, fiori dagli odori mai sentiti, animali così strani e unici che l’intero vocabolario non sarebbe bastato per descriverli! Nel nostro attuale mondo di conoscenza enciclopedica, in cui abbiamo nel palmo della mano informazioni sull’intero pianeta, è quasi impossibile immedesimarsi in quei primi esploratori temerari, nelle loro avventure in luoghi sconosciuti nel corso delle quali non avevano la più pallida idea di che cosa si sarebbero trovati davanti, orientandosi a vista e cercando cautamente risorse, ascoltando con fascino e paura suoni sconosciuti in lontananza di creature di cui non sapevano nulla, e che potevano benissimo avere proprio loro sul menu della cena. E chissà lo stupore – reciproco – nello scoprire la presenza di esseri umani con usanze e culture completamente diverse.
Il nostro pensiero eurocentrico ritorna subito a Cristoforo Colombo e alla sua ciurma, ma i nostri antenati abitavano lì da migliaia di anni: sentivano la terra tremare durante il passaggio di gruppi di giganteschi mastodonti nella neve, udivano i versi di smilodonti (denti a sciabola) nella notte, vedevano muovere tra gli alberi bradipi più grandi di orsi ed enormi gliptodonti (cugini giganti degli armadilli).
Tutte le novità che gli esseri umani incontrarono durante la lunga storia di migrazioni ed esplorazioni del pianeta presentarono senza dubbio numerosissime sfide, ma ce n’è una che viene spesso dimenticata: come catalogare e classificare le nuove scoperte?
So che può sembrare una cosa da poco, ma pensateci… se la vostra sopravvivenza dipendesse dal riuscire a distinguere tipi diversi di piante, alberi, funghi e animali, sia per materie prime sia per mangiarli o per non essere mangiati, e persino per navigare e orientarsi, quanto stareste attenti a come catalogarli? Sapere quale tra due piante molto simili è quella commestibile e quale quella velenosa può fare tutta la differenza del mondo.
Con il passare dei secoli siamo diventati veramente bravi a farlo, imparando a creare sempre più categorie e sotto-categorie e poi ancora ulteriori divisioni interne, e la cosa affascinante è che troviamo una chiara traccia di questo percorso nella nostra produzione artistica e culturale, dagli albori a oggi.
Ok, forse “veramente bravi” è un’esagerazione, ma diciamo che ce la siamo cavata abbastanza da sopravvivere e distinguere che cosa volevamo mangiare da che cosa voleva mangiarci, anche se forse ci abbiamo preso un po’ troppo la mano creando categorie anche quando non ce n’era bisogno (sto guardando voi, generi musicali) o lasciando che queste categorie ci limitassero nel giudizio (è il vostro turno, pregiudizi di genere o per il colore della pelle).
Ma c’è un ambito in cui la classificazione ci è venuta benissimo: le forme di vita! Anche lì, però, i problemi non sono tardati ad arrivare, specialmente prima di avere la possibilità di usare gli esami genetici; capitava di continuo di scoprire che molti animali all’apparenza simili, in realtà erano completamente distinti e appartenenti a categorie distinte. Pensate al fossa, meraviglioso animale endemico del Madagascar, che sembra un felino ma non lo è per nulla! Sembra un po’ anche un furetto, ma non è nemmeno quello. Oppure il crisocione, endemico del Sud America, che assomiglia a un lupo o a una volpe, ma che non è imparentato direttamente con nessuno dei due, se non molto alla lontana come canide. Davvero, se non avete mai visto questi animali andate a cercare delle foto, ne vale la pena!
Il problema stava nell’uso della vista e dell’aspetto esteriore come metodo principale per catalogare le forme di vita. Negli ultimi decenni, grazie a studi genetici sempre più raffinati, abbiamo scoperto che molti animali non erano della specie che pensavamo basandoci solo sulle apparenze, mentre altri che sembravano di specie diverse non lo erano affatto. Non solo, ma abbiamo avuto anche modo di capire molto meglio quanto la vita è davvero tutta imparentata, al di là delle categorie. Un esempio buffo: pensate alle banane… Ecco, una buona fetta del nostro dna è uguale al loro, perché andando indietro nell’albero della vita abbiamo un antenato in comune da cui entrambi discendiamo.
Come siamo finiti a parlare di banane in un libro su asteroidi e comete? Bella domanda…
In realtà era tutta una scusa per parlarvi di quanto sono adorabili i fossa e crisocioni (che continuo a chiamare crescioni per sbaglio)! Più seriamente, il punto è che catalogare cose è sempre stato un processo tanto affascinante quanto complesso e, in un modo o nell’altro, sempre necessario. E così come lo è stato durante la storia dell’esplorazione della Terra, lo è anche ora che stiamo iniziando a esplorare il nostro angolo di universo. In particolare, il problema è estremamente evidente quando si parla dei corpi minori del Sistema Solare, perché all’apparenza si somigliano tanto, e in fondo sono tutti piccoli pezzi di ghiacci, rocce e metalli, rimasti dalla formazione dei pianeti. Ma le apparenze ingannano e più li studiamo più scopriamo che ogni gruppo ha delle proprietà uniche e delle storie speciali da raccontare su come il Sistema Solare è cambiato nel tempo. Il problema è poi che molti oggetti sono parti di tante diverse categorie contemporaneamente, e ogni ambito dell’astronomia che studia questi mondi ha inventato nel tempo dei propri sistemi di catalogazione, complicando ancora di più il tutto.
Quindi, prima di avventurarci alla scoperta di questi mondi e prima di cominciare a parlare di meteoroidi, proto-pianeti, centauri, troiani, plutini, comete a corto e lungo periodo e altre parole che sembrano servire per evocare demoni su Marte come in Doom, ho pensato che potesse essere utile un’introduzione veloce a tutto questo mondo e alle parole chiave che troverete più avanti. Prendetelo come il livello tutorial di un videogioco.
Dare un nome alle cose
Lo so che la spiegazione della tassonomia degli oggetti del Sistema Solare non è particolarmente in alto sulla lista di cose divertenti da leggere, ma prometto che farò del mio meglio per farla breve e piena di spunti intriganti. Dal canto vostro, però, vi chiedo un esercizio di fantasia: immaginatevi come quei primi intrepidi esploratori alla scoperta di nuovi continenti. Invece di vedere i piccoli oggetti là fuori come “sassi spaziali” come spesso purtroppo vengono mostrati, immaginateli ognuno come una creatura diversa con una storia unica e una superficie mai vista tutta da conoscere!
Pronti? Partiamo!
Visto che ci stiamo immaginando come esploratori in nuove terre, partiamo dalle cose semplici. Se vogliamo catalogare le cose intorno a noi, il metodo più efficace e immediato sarebbe ovviamente osservarne le caratteristiche e il comportamento. Lo stesso vale per il Sistema Solare. Guardandoci intorno vediamo una grande stella, il Sole, con otto grandi pianeti divisibili in due categorie: vicino al Sole abbiamo i pianeti rocciosi e relativamente piccoli: Mercurio, Venere, Terra e Marte. Nelle regioni esterne invece abbiamo pianeti giganti fatti di gas e ghiaccio: Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Intorno a molti dei pianeti troviamo le lune, piccole e irregolari, oppure grandi abbastanza da essere sferiche sotto la propria forza gravitazionale, come i pianeti, oppure troppo piccole e con forme irregolari.
Intorno ai giganti troviamo anche anelli, che a loro volta sono di due tipi: fatti principalmente di ghiaccio, come quelli di Saturno, oppure di roccia e polvere, come quelli di Giove, Urano e Nettuno.
Altra cosa intrigante che notiamo è che più ci si allontana dal Sole più troviamo oggetti freddi e ghiacciati, mentre nella parte interna c’è in generale meno ghiaccio e acqua.
Fin qui tutto facile! Abbiamo organizzato tutti gli oggetti più grossi in vista in categorie più o meno intuitive, e tutto sembra filare.
Prima di continuare, però, come tutti i bravi avventurieri, ci servirà un kit di strumenti per la sopravvivenza. Se dovessimo addentrarci in una foresta, ci porteremmo bussola, scarponi, coltello, sciarpa della nonna eccetera. In questo caso, però, il kit è composto da alcuni semplici concetti astronomici e parole chiave che usiamo per capirci meglio e orientarci.
Innanzitutto ci serve un modo per misurare le distanze, visto che nello spazio interplanetario si parla di solito in milioni o miliardi di chilometri, quindi distanze che sfuggono alla comprensione immediata per noi umani. Abbiamo quindi questa misura speciale, inventata dagli astronomi e chiamata Unità Astronomica (UA), scelta per convenzione per semplificarci la vita quando si parla di distanze planetarie. 1 UA è la distanza media tra Terra e Sole e corrisponde molto grossomodo a 150 milioni di chilometri (149.597.870,700 km, per i più puntigliosi tra di voi).
Di seguito ecco un elenco delle distanze medie, contate in UA, dei principali corpi del Sistema Solare rispetto al Sole. Usatele come termini di paragone: è più intuitivo pensare, per esempio, che una cometa arriva più vicina di Mercurio al Sole, oppure che orbita tre volte più distante di Nettuno, che è il più esterno tra i pianeti.
Eccoli qui:
- Mercurio: 0,4 UA
- Venere: 0,7 UA
- Terra: 1,0 UA
- Marte: 1,5 UA
- Giove: 5,2 UA
- Saturno: 9,6 UA
- Urano: 19,2 UA
- Nettuno: 30,0 UA
- Plutone: 39,5 UA
Ultima cosa veloce: quando parlo di orbita di un oggetto mi riferisco, per esempio, al giro che fa la Terra intorno al Sole o la Luna intorno alla Terra o asteroidi e comete intorno al Sole e così via. Questo è chiamato in astronomia moto di rivoluzione, mentre quello che crea l’alternanza tra il giorno e la notte è il moto di rotazione intorno all’asse dell’oggetto in causa (la Terra, per esempio, ma vale anche per asteroidi e comete). L’orbita solitamente la immaginiamo come un cerchio, ma è più un’ellissi e ci sono dei punti in cui l’oggetto in causa può essere più vicino o più lontano da quello intorno a cui orbita.
Se prendiamo la Terra come esempio, la sua distanza dal Sole è in media 1 UA, ma questa è la media, appunto. Ci sono momenti in cui la Terra è più vicina e altri in cui è più lontana.
Il momento di massima vicinanza viene chiamato perielio, mentre quello di massima distanza si chiama afelio. Lo stesso discorso vale per tutti gli oggetti in orbita, inclusi i corpi minori di cui tratteremo in questo libro. Quindi, quando vi dirò con tanto entusiasmo che è incredibile l’afelio di una certa cometa, quello che voglio dire è che nel punto della sua orbita più lontano dal Sole, arriva incredibilmente lontano. Come vedremo, alcune arrivano decine di volte più lontano dal Sole rispetto a Plutone, per esempio.
Ora complichiamo un po’ le cose (ma sempre un passettino alla volta).
Se guardiamo più da vicino, spulciando per bene il Sistema Solare, vediamo che tra i pianeti di cui abbiamo già parlato ci sono tantissimi altri piccoli oggetti che ci sono sfuggiti e che orbitano intorno al Sole. Non sono lune perché non orbitano attorno ai pianeti, ma non sono nemmeno pianeti, perché sono piccoli e hanno orbite instabili che tendono a cambiare molto nel tempo. Spesso durante il loro anno intersecano le orbite di altri pianeti, si avvicinano al Sole più di Mercurio o, al contrario, si avventurano nelle regioni più remote del Sistema Solare, laddove il Sole diventa poco più di una stella luminosa nel cielo. Più l’orbita si allontana dalla forma di un cerchio perfetto, più diciamo che è eccentrica. Ricordate perielio e afelio? Più l’orbita è eccentrica, più la differenza tra perielio e afelio è grande.
Infine, parlando delle loro orbite, notiamo che alcuni di questi oggetti girano intorno al Sole su piani molto inclinati rispetto al piano su cui si trovano i pianeti (circa intorno all’equatore del Sole). Per farvi un esempio facile, se il Sistema Solare fosse disegnato su un tavolo, con le orbite dei pianeti sul piano del tavolo, questi oggetti piccoli sarebbero come i gatti che saltano continuamente sopra e sotto.
Per iniziare a classificarli chiamiamo tutti questi oggetti corpi minori, per distinguerli dai corpi maggiori nominati prima (pianeti e lune).
Corpi pelati o con folte chiome
Fatto questo, vediamo come possiamo dividerli in modo facile e intuitivo.
Come prima cosa notiamo che alcuni, quando si avvicinano al Sole e di conseguenza si riscaldano, creano intorno delle chiome puffosissime (termine tecnico astronomico), e si lasciano dietro una o più lunghe code colorate (l’avevo detto io di immaginarli come gatti!). Molti altri oggetti di simili dimensioni non fanno nulla di tutto questo e quindi un primo modo per dividere i corpi minori è in base alla loro attività. Gli antichi chiamavano la struttura puffosissima intorno agli oggetti attivi coma (oggi chioma); in pratica, per loro erano stelle pelose! Oppure, se vi sentite più romantici, stelle vaganti con lunghe chiome di capelli sciolti sulle spalle. Oggi le conosciamo come comete. Quando dico che sono attive, come vedremo più in dettaglio successivamente, intendo che questi oggetti hanno letteralmente spettacolari geyser esplosivi di ghiaccio, fratture e terremoti, eruzioni e pezzi della loro superficie che vengono fratturati e lanciati nello spazio. Anche la Terra è un pianeta attivo, ma in confronto a una cometa che sfiora il Sole, il nostro mondo è pigro e dormiglione. Insomma, quand’è l’ultima volta che avete visto pezzi di continenti lanciati nello spazio?
Questo succede alle comete per via della loro composizione: essendo ricche di ghiacci, sono molto soggette all’influenza del Sole, che le riscalda e fa sublimare i ghiacci (passando direttamente da solido a gas), creando le premesse perfette per l’attività che vediamo.
Le chiome e code intorno possono arrivare anche a decine di milioni di chilometri, abbastanza per coprire la distanza da un pianeta all’altro, per esempio!
L’altra categoria osservata, quella delle stelle “pelate”, per rimanere in tema, fu scoperta relativamente da poco nella nostra storia. Soltanto nei primi dell’Ottocento gli astronomi iniziarono ad avere a disposizione telescopi sufficientemente potenti da scoprire questi mondi e, quando li trovarono, furono oggetto di non pochi dibattiti circa la loro vera natura e possibile classificazione.
Che cosa li teneva svegli la notte? Il fatto che orbitavano come se fossero dei pianeti, in una zona vuota tra Marte e Giove, ma erano molto, molto più piccoli, tanto da non vedersi come pallini – come succedeva con i pianeti – ma come puntini di luce, simili a stelle. Non erano però nemmeno comete, perché non davano alcun segno di attività. Quindi come chiamarli?
Nel dubbio, furono chiamati inizialmente pianeti, visto che orbitavano come questi e non erano palesemente comete, ma diventò presto chiaro che erano un’intera nuova famiglia di oggetti unici, e più passava il tempo, più ne venivano scoperti. Tutti piccoli rispetto ai pianeti, simili per caratteristiche e raggruppati più o meno nella stessa zona del Sistema Solare. Dato il loro aspetto puntiforme nel cielo, e la somiglianza quindi alle stelle, furono chiamati ufficialmente asteroidi, da aster, stella.
La maggior parte degli asteroidi scoperti aveva orbite tra due e quattro volte la distanza tra Terra e Sole, coprendo una regione larga circa 225 milioni di chilometri, iniziando poco dopo l’orbita di Marte e finendo prima di incontrare Giove. Dato che sembrava una fascia o una cintura di asteroidi, con pochissima immaginazione gli astronomi la chiamarono Fascia/Cintura di asteroidi.
Per darvi un’idea di quanto è grande questa distanza, per percorrere il raggio di questa Fascia, dal bordo interno al bordo esterno, dovreste fare l’equivalente di 180.578 viaggi tra Milano e Reggio Calabria! E probabilmente con lo stesso pericolo di incontrare crateri per la strada!
Con una durata tipica (secondo le stime del navigatore) di 13 ore per ogni tratta, il tempo impiegato è di oltre 2,3 milioni di ore, o 97.813 giorni, che sono circa 268 anni. Ovviamente dipende dall’ora in cui si parte e dal traffico che si trova, oltre che dalla velocità a cui si va. Fortunatamente, nello spazio possiamo andare molto più veloci. Ma si tratta di distanze talmente grandi da sfuggire spesso persino alla nostra immaginazione.
Siamo cresciuti tutti con l’idea che questa Fascia sia piena di pericolosi asteroidi da schivare con la propria navicella spaziale, un po’ come Han Solo con il Millennium Falcon in Star Wars. In realtà, assomiglia più al corridoio di una scuola in un giorno di agosto, e se c’è qualcuno probabilmente è rimasto chiuso dentro da giugno e non riesce più a uscire. Non solo gli asteroidi sono, per la maggior parte, molto scuri e piccoli (quindi già di loro difficili da vedere bene), ma si trovano solitamente a milioni di chilometri di distanza l’uno dall’altro. Di sicuro sarebbe meno avventuroso di un film d’azione a tema spaziale, ma il vantaggio è che le missioni spaziali possono attraversare questa regione senza rischi! In altre parole, se foste sulla superficie di un asteroide qualsiasi, difficilmente riuscireste a vederne altri intorno a voi. Se volete compagnia, però, abbiamo scoperto che tanti asteroidi hanno delle proprie lune e alcuni persino anelli...