La regina delle nevi e altri racconti (Deluxe)
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La regina delle nevi e altri racconti (Deluxe)

  1. 192 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La regina delle nevi e altri racconti (Deluxe)

Informazioni su questo libro

Un reame di ghiaccio dove non esiste la tristezza ma nemmeno la gioia, governato da una regina a cui una delusione d'amore ha spezzato il cuore. Un imperatore della lontana Cina che si allontana dalla natura perché preferisce inquietanti oggetti artificiali. Una sirena che per amore è disposta a rinunciare a tutto, e il bambino che insegna agli adulti ad ammettere che il re è nudo. Dalla Regina delle nevi alla Sirenetta, dall'Usignolo a I vestiti nuovi dell'imperatore, c'è qualcosa di ancestrale e allo stesso tempo sempre moderno nelle fiabe di Hans Christian Andersen, che uniscono elementi del folklore nordico a fini rappresentazioni dei moti dell'animo presenti in ogni essere umano. In un'edizione di grande fascino, Edmund Dulac ricrea con la delicatezza e l'eleganza delle sue illustrazioni i personaggi immortali e i mondi incantati delle fiabe di Andersen, accompagnando il lettore nella riscoperta delle storie più belle di sempre.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2020
Print ISBN
9788817090674
eBook ISBN
9788831800655

LA REGINA DELLE NEVI

UNA FIABA IN SETTE STORIE

PRIMA STORIA CHE PARLA DI UNO SPECCHIO E DEI SUOI FRAMMENTI

Si inizia! State bene attenti, e quando la storia sarà finita avrete scoperto molte cose… be’, se non altro ne saprete di più sul folletto cattivo di cui vi voglio parlare. No, non ci siamo, “folletto” non rende l’idea: pensate a una creatura davvero malvagia, un vero e proprio demonio, e ci sarete quasi!
Il giorno in cui la nostra fiaba inizia, questo folletto era proprio contento, perché aveva inventato uno specchio molto particolare: rifletteva solo la parte brutta delle cose. Tutto il buono che c’era in un volto, o in un oggetto, non si vedeva quasi. Tutto ciò che c’era di inutile, di deforme o di orrendo diventava ancora più inutile, deforme e orrendo.
Un bel paesaggio? Nello specchio sembrava una distesa di verdure bollite. Se una bella ragazza ci si rimirava il riflesso mostrava una miriade di pustole, o mancava il naso, oppure era tutto a testa in giù. E se la ragazza aveva un neo, povera lei! Nello specchio diventava grande come tutta la faccia. Il folletto malvagio lo trovava divertentissimo. Se una persona pensava a qualcosa di bello e giusto lo specchio restituiva un ghigno malvagio, e questo per il piccolo demonio era ancora meglio. Tutti gli studenti della sua scuola infernale (perché il folletto era rettore di una scuola di quel genere) gridarono al miracolo: per la prima volta si poteva vedere la vera natura del mondo e degli esseri umani. Allora partirono con lo specchio per rivelare il male nascosto in ogni Paese, e il loro infernale manufatto rifletteva ovunque volti deformi, in cui i più piccoli difetti si amplificavano a dismisura. Quando ebbero finito con la terra si librarono alla volta del cielo, per ridere anche degli angeli e di Dio: ma più volavano in alto, più lo specchio ghignante si contorceva tentando di sfuggire al loro controllo, e alla fine esplose in miliardi e miliardi di pezzi che precipitarono come un fuoco d’artificio sul mondo.
Un vero disastro! Alcuni frammenti erano così piccoli che si mischiarono alla polvere soffiata dal vento e finirono negli occhi della gente: e da quel momento in poi queste persone vedevano solo ciò che di brutto c’era nel mondo, e il bello lo ignoravano, perché anche un granello di quello specchio malvagio ne conservava tutto il potere. Ancora peggio, alcuni pezzetti erano così acuminati che finirono nel cuore degli uomini, e il cuore diventava gelido come il ghiaccio e diffidava di tutto, anche di se stesso. C’erano frammenti grandi come finestre, e vennero infatti destinati a quest’uso: la vita in quelle case diventava cupa e infelice, e gli inquilini non si arrischiavano più a uscire. Altri erano delle dimensioni giuste e diventarono lenti per gli occhiali: gli uomini li inforcavano per vederci meglio e finivano per aver davanti agli occhi il peggio del peggio. Il piccolo demonio rideva fino a rotolarsi per terra, come se tutto il dolore causato gli facesse un gradevole solletico. Ma mille e mille frammenti vorticavano ancora nel cielo, pronti a far del male, e ora ne leggerete la storia.

SECONDA STORIA UN BAMBINO E UNA BAMBINA

Nella grande città c’erano così tante case e così tante persone che non tutti potevano avere un giardino, e gli abitanti dovevano accontentarsi di un vaso e di una piantina. Ma c’erano due bambini fortunati che potevano giocare in un vero e proprio orto, ben più grosso di un vaso da fiori. I due non erano fratelli, ma si volevano così bene che non faceva differenza; e non vivevano nella stessa casa, ma erano così vicini che anche in questo caso non faceva differenza: i loro genitori abitavano in due mansarde da una parte all’altra della via, e la strada era così stretta che gli abbaini, separati solo da una grondaia, quasi si toccavano. Quando volevano stare insieme, il bambino e la bambina facevano un piccolo salto ed erano nella casa dell’altro.
In entrambe le abitazioni i genitori avevano delle grandi casse di legno, in cui coltivavano le verdure da mangiare e un piccolo cespuglio di rose per bellezza: uno per ogni cassa. Ma le casse erano grosse e in casa intralciavano, e allora ebbero l’idea di sistemarle di traverso fra i due abbaini, formando una specie di corridoio vegetale. I tralci dei piselli pendevano nel vuoto, e i rami delle rose si allungavano fino a incontrarsi sopra gli abbaini: un vero e proprio arco di trionfo tutto verde. I bambini sapevano che non dovevano arrampicarsi sulle casse, che erano alte e pericolose sistemate com’erano proprio sopra la strada, ma spesso avevano il permesso di mettere uno sgabello sotto l’arco di rose, e passavano ore a giocare tra i fiori.
Ovviamente, giocare durante l’inverno era impossibile. Le finestre si coprivano di brina, perché in quella città faceva un gran freddo, ma bastava riscaldare delle monete di rame sulla stufa e appoggiarle ai vetri per creare un piccolo spioncino tondo. E in quei giorni, a guardare le finestre dall’esterno, si potevano vedere due occhi fissi l’uno nell’altro che si osservavano attraverso l’aria gelata: erano il bambino e la bambina. Lui si chiamava Kay, lei Gerda, e nei giorni più freddi era l’unico modo per stare insieme senza scendere le scale e poi risalirle per raggiungere la casa dell’altro. Il gelo azzannava la città e la neve turbinava nelle strade.
«Sono tante piccole api bianche che volano!» disse un giorno la vecchia nonna.
«E hanno anche una regina?» chiese Kay, che aveva letto un libro sugli animali e sapeva che dove c’era un’ape da qualche parte c’era anche una regina.
«Oh, certo che ce l’hanno!» disse la nonna. «La regina delle nevi vola sempre dove lo sciame è più fitto. È più grande di tutti gli altri fiocchi e non tocca mai terra, anzi! Appena si abbassa un po’ torna subito a rifugiarsi fra le nuvole più nere. Ma ogni tanto visita la città e le sue strade, e allora i vetri si brinano in forme mai viste, e sembrano fiori di ghiaccio.»
«Come oggi, come oggi!» dissero insieme Gerda e Kay. Quel giorno la brina aveva disegnato degli eleganti giardini sul vetro, e i due bambini la considerarono come una conferma che la storia era vera.
«E la regina delle nevi può volare fin dentro casa?» chiese Gerda.
«Venga, venga pure! Le dirò di sedersi sulla stufa, così si scioglierà!» rispose Kay.
Ma la nonna gli carezzò dolcemente i capelli, e raccontò un’altra storia.
Quella sera il bambino, dopo essersi vestito per la notte, si arrampicò sullo sgabello e guardò fuori attraverso lo spioncino. Alcuni fiocchi di neve volteggiavano pigramente nell’aria, e il più grosso andò a finire proprio sul bordo di una delle casse di fiori. E una volta caduto iniziò a crescere di dimensione, sempre più grande, sempre più grande… e alla fine prese l’aspetto di una donna alta e snella, vestita di un velo bianco tessuto con cristalli di neve. Era bella e delicata, anche se era tutta di ghiaccio abbagliante: ma non c’era dubbio che fosse viva, e i suoi occhi brillavano come due stelle nel cielo terso. Fece un cenno verso la finestra e sollevò una mano come per salutare, ma nel suo sguardo non c’era calma né serenità. Kay si spaventò e si gettò giù dallo sgabello, e subito ebbe la sensazione che l’ombra di un grande uccello fosse appena passata davanti alla finestra.
Il giorno dopo era limpido e freddo, e quello ancora dopo limpido ma un po’ meno freddo, e infine venne la primavera: il sole tornò a scaldare la città, i fiori sbocciarono, le rondini tornarono dai loro viaggi invernali. I genitori di Kay e Gerda diedero il permesso di aprire le finestre e i due bambini tornarono a giocare nel loro giardino fra i tetti.
Quell’anno le rose prosperarono in un modo che non si era mai visto, e dato che la bambina aveva nel frattempo imparato un inno che parlava proprio di quei fiori lo cantò al bambino:
Dove crescono le rose nella valle fiorita, là in fondo,
Troveremo Gesù Bambino, ridisceso nel mondo
I due si presero per mano, baciarono una rosa e guardarono il sole del Signore parlandogli come se lì con loro ci fosse Gesù Bambino. Erano belli quei giorni d’estate, era bello star lì fra quelle rose che sembravano non stancarsi mai di sbocciare!
Quel pomeriggio Kay e Gerda guardarono un libro pieno di illustrazioni di animali e uccelli esotici, ma proprio mentre il campanile batteva le cinque Kay disse: «Ahi! Ho sentito come una puntura nel cuore! E mi è anche entrato qualcosa nell’occhio!».
Gerda corse da lui e gli fece rovesciare la testa all’indietro per guardare meglio, ma non vide niente.
Kay sbatteva le palpebre a più non posso. «È uscito, è uscito, sto bene!» disse un po’ infastidito, ma non era vero. Era uno dei frammenti più minuti dello specchio del folletto malvagio, ricordate? Quello specchio che non rifletteva il bene e ingigantiva il male delle cose. Anzi: due frammenti, perché un altro gli si era infilato nel cuore, che presto si sarebbe fatto di ghiaccio. Il dolore era durato solo un istante, ma le schegge erano lì.
«Perché continui a piangere?» sbuffò Kay. «Se piangi diventi brutta e non mi piaci più. Sto bene, non vedi?» E si girò dall’altra parte per non veder frignare l’amica. Dall’altra parte c’erano le rose. «Che schifo, c’è un petalo mangiato dai vermi! E i rami sono pieni di spine. Come sono brutte le rose, perché non me n’ero mai accorto? E guarda il legno delle casse, com’è marcio!» E senza esitare prese a calci la cassa e strappò via alcune rose che gli sembravano peggio delle altre.
«Cosa fai?» gridò Gerda turbata. Per tutta risposta Kay strappò un’altra rosa e rientrò a casa sua scavalcando la grondaia senza salutarla.
Quando il giorno dopo la bambina andò da lui per riprendere la lettura, Kay allontanò il libro con un gesto sprezzante, dicendole che era roba da bambini. E da quella sera, tutte le volte che la nonna raccontava loro delle storie, prese a interromperla con ogni sorta di critica, e senza farsi vedere si alzava dal suo posto e si piazzava dietro di lei, imitando le sue espressioni e il suo modo di parlare. Tutti ridevano, perché era in grado di trovare ogni difetto e di metterlo in evidenza facendolo sembrare ridicolo. E non si limitò a prendere in giro la nonna, anzi: nel giro di qualche settimana non c’era nessuno nel quartiere che Kay non sapesse imitare alla perfezione. Bastava un niente, un difetto nel linguaggio, una smorfia buffa… il bambino la ingigantiva, ed era così bravo che nessuno pensava più ai pregi delle sue vittime, ma solo alle loro brutture. «È sveglio quel ragazzo, farà strada» dicevano gli adulti. Ma era tutta colpa del frammento di specchio nell’occhio e della scheggia infilata nel cuore, che non se ne andavano più. E col passare del tempo il bambino iniziò a prendersi gioco anche di Gerda, che pure gli voleva un bene dell’anima.
Anche i suoi giochi erano diversi, ora: sembrava più adulto di quanto non fosse. Quando arrivò l’inverno e per la prima volta iniziò a nevicare, corse a prendere una lente d’ingrandimento. Sporse il braccio fuori dalla finestra e aspettò che i fiocchi si posassero sulla manica della giacca.
«Guarda attraverso la lente, Gerda!» le ordinò. La bambina eseguì: fiocchi di neve grandi come persone, simili a fiori appuntiti o a stelle a sei punte. «Li ha senz’altro creati una persona intelligente, sono molto meglio dei fiori. Non hanno un solo difetto, se solo non si sciogliessero sarebbero perfetti!»
E se ne andò. Tornò qualche minuto dopo, con un paio di guanti spessi e lo slittino in spalla. «Ho il permesso di andare in piazza, dove giocano tutti gli altri bambini!» urlò all’orecchio di Gerda senza invitarla: un istante dopo era già fuori casa.
Nella grande piazza, i ragazzini più grandi e più coraggiosi attaccavano i loro slittini ai carri dei contadini di passaggio facendosi trascinare fin dove potevano, e sembravano non stancarsi mai di quel gioco. Ma quel giorno comparve la slitta più grande che si fosse mai vista in città, tutta dipinta di bianco. Il conducente era così intabarrato sotto due strati di candida pelliccia che non si vedeva il suo volto e non si capiva chi fosse. La slitta fece due giri intorno alla piazza, come a voler sfidare i bambini a giocare con lei, ma Kay fu il più veloce ad attaccarci lo slittino e a farsi trainare. Lo sconosciuto impellicciato aumentò la velocità, imboccò la strada che portava verso nord e si voltò verso il bambino rivolgendogli un cenno amichevole, come se si conoscessero da sempre. Il volto era ancora nascosto dal cappello di pelliccia bianca. Ogni volta che Kay cercava di slegare il suo slittino la figura bianca si voltava e gli faceva un cenno; e allora il ragazzino desisteva dai suoi tentativi. Superarono infine le porte della città. La neve prese a cadere sempre più fitta, come una candida tempesta; il paesaggio scomparve intorno a loro, e Kay a malapena riusciva a vedere le sue mani in quel turbinare di fiocchi. Andavano sempre più veloci lungo la strada deserta, e il bambino cercò per un’ultima volta di liberare lo slittino: ma sembrava legato indissolubilmente al grande veicolo bianco. Urlò a squarciagola, ma nessuno sentì e nessuno rispose. Via, via, sempre più veloce, sempre più lontano! Ogni tanto sembrava che la slitta facesse un balzo, come volesse spiccare il volo: saltavano recinti e fossati. Kay era spaventato e avrebbe voluto recitare una preghiera al Signore, ma non riusciva a ricordare altro che le tabelline.
I fiocchi di neve si erano fatti sempre più grandi e ora avevano l’aspetto di grassi polli bianchi. La slitta fece un balzo di lato e si fermò, il conducente si alzò e all’improvviso Kay capì chi era. La pelliccia bianca era coperta di brina, e sotto la brina c’era una donna alta e snella, pallida come la nebbia d’inverno. Era la regina delle nevi.
«Bene, siamo arrivati!» disse lei con la sua voce di ghiaccio. «Fa proprio freddo, vero? Vieni, copriti con la mia pelliccia d’orso.» Lo prese e lo sistemò accanto a sé, avvolgendolo in quella nuvola candida. A Kay sembrò di sprofondare nella neve. «Hai ancora freddo?» chies...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. LA REGINA DELLE NEVI E ALTRI RACCONTI
  4. La regina delle nevi. Una fiaba in sette storie
  5. L’usignolo
  6. La principessa sul pisello
  7. Il paradiso terrestre
  8. La sirenetta
  9. I vestiti nuovi dell’imperatore
  10. Il vento racconta la storia di Valdemar Daae e delle sue figlie
  11. Copyright