Quando l’abbiamo conosciuta a Toronto nel 2008, Lia Grimanis aveva un casco da motociclista sotto il braccio e indossava un giubbotto di pelle fucsia abbinato alla BMW F650 GS dello stesso colore. La responsabile delle vendite di tecnologia ad alta efficienza era un personaggio che lasciava come minimo a bocca aperta. Tuttavia, non era per parlare di tecnologia che eravamo lì. Lia era entusiasta all’idea di creare un’organizzazione che aiutasse le donne senzatetto a riprendere il controllo della loro vita e del loro futuro. Perché era così entusiasta? Perché lei per prima era riuscita a emergere dall’indigenza e dalla condizione di senzatetto raggiungendo sicurezza e stabilità, e adesso voleva aiutare altre donne a compiere un percorso di trasformazione come il suo.
Per comprendere in che modo Lia abbia compiuto questa notevole impresa, dobbiamo prima esaminare le dinamiche del potere: in cosa consiste e come funziona. Il potere, come abbiamo detto, è la capacità di influenzare il comportamento altrui, che sia con la persuasione o con la coercizione.1 Ma da cosa dipende questa capacità? La risposta è sorprendentemente semplice: controllare l’accesso alle risorse che una persona considera preziose consente d’influenzarla. Tale controllo è la chiave per comprendere le dinamiche di potere in qualsiasi situazione, che siate voi ad avere potere su qualcun altro, o che si tratti del contrario.
Di cosa è fatto il potere?
Per avere potere su qualcuno, dovete prima possedere una o più cose che l’altra persona considera importanti. Tutto ciò che rientra tra i desideri o i bisogni di una persona ha i requisiti per essere una risorsa preziosa. La risorsa può essere materiale, come il denaro o l’acqua pulita, acri di terreno fertile, una casa o un’auto veloce; oppure può essere psicologica, come i sentimenti di stima, appartenenza e realizzazione. Come vedremo, le risorse materiali e quelle psicologiche non si escludono a vicenda.
Qualsiasi cosa abbiate da offrire – competenza, vigore, denaro, curriculum, serietà, conoscenze – essa vi darà potere su qualcun altro solo se questi la vuole. Pensate a un genitore che promette al figlio un biscotto perché rimetta in ordine la stanza: controllare l’accesso alla scatola dei biscotti non sarà di grande utilità se al bambino non piacciono i biscotti. Inoltre, la risorsa che avete da offrire deve essere qualcosa che l’altra persona non può ottenere facilmente da altri. Siete tra i pochi in grado di fornire quella risorsa preziosa, oppure ce ne sono tanti? Controllate, cioè, l’accesso dell’altra persona alle risorse che ritiene preziose, o si tratta di risorse ampiamente disponibili? Se al bambino piacciono i biscotti ma può sempre averne da un vicino condiscendente, è improbabile che l’offerta del genitore faccia molta presa.
Sapere cos’è che l’altra parte ha a cuore e se ha alternative per ottenerlo vi dice quanto potere avete, ma ciò non è sufficiente per comprendere appieno il rapporto di forza tra voi: dovete anche tenere conto dell’eventualità che l’altra parte possieda qualcosa che per voi è prezioso e che possa controllare il vostro accesso a essa. Le conseguenze dell’avere potere su qualcuno variano in maniera drastica a seconda che la controparte abbia, a sua volta, potere su di voi.
Il potere è sempre relativo. Se, in una determinata situazione, l’altra parte ha potere su di voi mentre voi ne avete su di lei, siete reciprocamente dipendenti. A questo punto dovete capire se la relazione è bilanciata, cioè se il vostro potere è reciprocamente scarso o elevato, oppure se è sbilanciata, cioè se dipendete dall’altra parte più di quanto l’altra parte non dipenda da voi (o viceversa). Il potere non deve per forza essere un gioco a somma zero. L’equilibrio può cambiare nel tempo e, come vedrete, la vittoria di una parte non coincide necessariamente con la sconfitta dell’altra. Indipendentemente da chi siete, dove vivete o che tipo di lavoro svolgete, gli elementi fondamentali del potere, mostrati nella figura in basso, sono gli stessi. Per essere potenti dovete offrire risorse apprezzate sulle quali avete un controllo esclusivo (o che siano per lo meno difficili da ottenere dagli altri). A quel punto la presa sul potere dipenderà dai vostri bisogni e da quanto controllo l’altra parte esercita su ciò che vi sta a cuore. Per illustrare questi elementi fondamentali, torniamo alla storia di Lia.
Dalla mancanza di potere al potenziare gli altri
A sedici anni Lia era una senzatetto, fuggita da una casa che dopo la morte della nonna, matriarca della famiglia, era diventata violenta. Affrontare i pericoli dell’essere senza fissa dimora è stato ancora più difficile per Lia a causa del suo autismo (diagnosticato solo in una fase successiva della vita) che si manifesta come incapacità di interpretare le espressioni facciali e i segnali sociali. «È come un punto cieco» ha spiegato. «Non vedi il treno che arriva fino a quando non ti travolge.» Dopo periodi passati a dormire sui divani altrui e un traumatico episodio di violenza sessuale, è approdata, a pezzi, a un rifugio per donne. Ad appena diciannove anni non pensava di sopravvivere fino ai ventuno. «Per un po’,» ha detto «l’unica domanda che avevo in mente è stata: “Vivo? Oppure muoio?”».2 Aveva l’impressione che le donne che lasciavano il ricovero non facessero che tornarvi. Non c’era niente a farle capire che la condizione di senza fissa dimora era tutt’altro che un vicolo cieco, nessuna figura di riferimento che le desse motivo di sperare che la vita non sarebbe stata sempre una lotta costante.
Lia trovò una nuova motivazione quando decise di diventare quella figura di riferimento. Giurò a se stessa che avrebbe lasciato il ricovero e vi sarebbe tornata con una storia in grado di ispirare altre donne che, come lei, si erano perdute. Dopo dieci anni di precarietà economica e lavori strani – compreso guidare un risciò per le strade di Toronto, giorno dopo giorno, con la pioggia o con il sole, per quattro anni –, Lia conobbe per caso «un tipo che aveva fatto novecentomila dollari vendendo software».3 Decise che quella era la strada da seguire e fece domanda per ogni lavoro di venditore di software che riuscisse a trovare, malgrado tutte le posizioni richiedessero una laurea e privilegiassero chi aveva un master in Economia. Per una volta, l’autismo fu un vantaggio nell’affrontare i rifiuti, ha ricordato. «Se non sei in grado di interpretare il modo in cui la gente sta pensando, non ti passa nemmeno per la mente di sentirti imbarazzata o di dubitare di te stessa. Non avevo idea che queste persone mi stessero dicendo in maniera tacita e gentile di levarmi dai piedi, così continuavo a candidarmi. Alla fine devo aver stremato qualcuno perché mi è stata data una possibilità.»4
Da quel momento in poi, Lia prese a fare orari assurdi, spinta dalla promessa che si era fatta lasciando il ricovero. Tempo qualche anno e stava facendo guadagnare alla sua azienda così tanto denaro che non esitarono ad assumere un executive coach per lei e a investire cinquecento dollari l’ora per lo sviluppo della sua carriera. L’esperienza con il coach fu una rivelazione; riflettere su quanto sarebbe stata preziosa all’epoca in cui viveva per strada gettò le basi per quello che è poi diventato Up With Women: avrebbe trovato un’organizzazione benefica che mettesse a disposizione delle donne senzatetto l’intensivo e personalizzato coaching mentale di cui lei aveva goduto. Per riuscirci, tuttavia, avrebbe avuto bisogno di convincere coach certificati5 a offrire la propria consulenza pro bono per un anno e questo, non tardò a capire Lia, significava dover offrire loro qualcosa che ritenevano prezioso.
La prima piccola schiera dei coach fu attratta da ciò che ancora oggi richiama i volontari e i donatori di Up With Women: la stessa Lia (la sua passione, la determinazione, oltre che l’incredibile storia di traumi, sopravvivenza e successo) e l’impatto trasformativo a cui la sua missione mirava, con il coaching come fulcro. È possibile che diversi enti benefici offrano il coaching accanto ad altri servizi, ma in Up With Women i coach sono i collaboratori più preziosi; la promessa di Lia fu che il loro lavoro avrebbe contribuito a trasformare la vita di qualcuno.
All’inizio fu difficile per tutti. I coach, abituati a lavorare con i dirigenti, non possedevano gli strumenti né l’esperienza per stabilire un contatto con donne che avevano vissuti traumatici e di emarginazione. Allo stesso tempo, Lia non aveva ancora individuato il modo per identificare candidate che fossero pronte ad accettare il coaching e a trarne beneficio. Di conseguenza, le assistite non stavano trovando utile l’esperienza di coaching; e i coach, malgrado il sincero desiderio di aiutare, non vedevano l’impatto trasformativo che Lia aveva promesso loro. Perciò «i primi anni è stato davvero complicato reclutare [i coach]» ci ha detto. «Dolorosamente complicato.»6
Anche i soldi furono una sfida. Nel 2012 aveva lasciato il lavoro in azienda per dedicarsi totalmente a Up With Women, ma ben presto i risparmi personali usati per mantenere in attività l’ente benefico cominciarono a esaurirsi. E senza abbastanza coach, assistite e risultati, non riusciva ad attrarre nuovi finanziatori. «Fissavo gli ultimi cinquemila dollari sul mio conto e dicevo ai nostri rifugi partner che avrebbero dovuto trovare un posto per me! Pensavo seriamente che sarei tornata una senzatetto. Per salvare Up With Women sono andata in bancarotta.» Ma gli anni che Lia aveva passato a guidare risciò, trasportando anche otto persone alla volta, le avevano donato «una forza pazzesca» e così escogitò una soluzione per rafforzare economicamente Up With Women in un modo che non sarebbe venuto in mente a nessun altro: entrò due volte nel Guinnes mondiale dei primati, stabilendo il record femminile per il «veicolo più pesante trainato per trenta metri» e per il «veicolo più pesante trainato in tacchi alti». La pubblicità derivante da questi exploit richiamò l’attenzione di media, potenziali donatori e partner aziendali, e le donazioni cominciarono a fioccare. Inoltre, con la sua impresa, Lia inviò un potente segnale alle donne in difficoltà: «Siete più forti di quanto pensiate».7
Lia doveva ancora trovare un modo per dare ai suoi coach ciò di cui avevano bisogno, e voleva che fossero «coinvolti». Sebbene avesse usufruito lei stessa del coaching, sapeva ben poco del metodo o di come dovesse essere un rapporto affinché un coach lo considerasse riuscito. Per fortuna, però, c’erano tre coach dediti alla sua vision che desideravano aiutarla affinché imparasse a reclutarne altri. Le spiegarono in cosa consisteva un programma efficace e poi si assunsero la responsabilità di crearlo insieme a lei. Dal punto di vista dei potenziali coach, il programma prevedeva che si fornissero anche le competenze specialistiche richieste da questa clientela non facile, come l’esperienza nel trattamento dei traumi, un campo in cui molti volontari avevano una formazione scarsa o inesistente. Sul piano delle potenziali assistite era contemplato lo sviluppo di criteri di screening per individuare donne pronte a intraprendere il passo successivo. Uno dei criteri era concentrarsi su donne che si erano lasciate da poco alle spalle la condizione di senzatetto e si stavano impegnando a ritrovare la stabilità. Guidata da questo nuovo approccio, Lia iniziò a girare per i ricoveri confrontandosi con gli staff, che avrebbero potuto identificare meglio di chiunque altro le potenziali candidate.
Ben presto, Up With Women crebbe rigoglioso, così come i coach e le loro assistite. Con l’aiuto dei professionisti, le donne stavano imparando a individuare le proprie motivazioni e i punti di forza e a trovare la propria agentività. I coach non solo avevano acquisito nuove competenze ma stavano anche diventando partner attivi in una comunità di apprendimento per loro inedita. Come ci ha detto uno di essi: «Questa clientela mette davvero alla prova la forza di un coach, la sua elasticità mentale, la sua ampiezza di vedute, la sua capacità emotiva». Parlando con altri coach, Lia si rese conto che anche loro ritenevano importante l’opportunità di crescere professionalmente in una comunità di colleghi dalle stesse vedute, con i quali potevano relazionarsi e dai quali imparare. Perciò rese la formazione più accessibile fissando incontri regolari con i coach e ruoli mentore-coach per offrire a tutti i volontari un senso sempre maggiore di conoscenza e di appartenenza. Si affidò anche a esperti di valutazione per sviluppare misure di impatto che consentissero ai coach di vedere i risultati concreti del loro lavoro – un livello di rigore che di norma non si riscontra nel mondo aziendale, dove di rado si accerta sistematicamente il ROI (il ritorno di investimento) del coaching aziendale.8 Tuttavia, ciò che più contava per i coach non si poteva quantificare. Come ha detto uno di essi: «Una cosa è vedere un vicepresidente ottenere una promozione nel settore aziendale, un’altra è veder fiorire una donna che ha toccato il fondo. Come si fa a misurare questo?!».
Lia, che dipendeva in tutto dai coach certificati per raggiungere il suo obiettivo, aveva finalmente scoperto quello che i coach avevano a cuore: uno scopo stimolante, un impatto trasformativo, un apprendimento approfondito e una comunità di colleghi affini. Con il tempo aveva reso Up With Women insostituibile per i coach che volevano accesso simultaneo a quelle risorse per loro preziose. Non c’è da stupirsi se, anche cercandolo, non riusciste a trovare un gruppo di volontari più leali. Comprendendo ciò che i coach volevano e di cui avevano bisogno, e trovando poi il modo di offrire loro accesso a quelle risorse, Lia introdusse un livello di reciproca dipendenza nella relazione. Si potrebbe osservare che il potere era ancora sbilanciato a favore dei coach: dopo tutto, Lia non poteva attuare il programma che aveva concepito senza di loro. Ma adesso anche lei aveva un certo potere. Tuttavia, non lo usava per forzare i coach; lo usava per metterli nella posizione di aiutare le donne a cui facevano da coach. Lia aveva sviluppato il genere di rapporto di potere che la pioniera delle scienze sociali Mary Parker Follett definiva «potere-con», «potere sviluppato congiuntamente» usato per promuovere «l’arricchimento e il progresso di ogni animo umano».9
Di proposito, nel dare inizio al nostro viaggio, non abbiamo fatto ricorso all’esempio di un Cesare o di un Napoleone, perché vogliamo aiutarvi a vedere il potere in maniera diversa. Ecco perché vi abbiamo portato in un posto dove di rado la gente va a cercarlo: un ricovero per donne senzatetto. Lia era potente? Assolutamente! Contro ogni previsione è riuscita a riprendere in mano la propria vita e poi a incanalare potere sufficiente per convincere coach certificati a unirsi ad Up With Women, con l’obiettivo di aiutare altre donne a ricostruirsi una vita e una carriera. E Lia, pur non essendo nata in una posizione già potente, non ha conquistato potere per tenerlo per sé, ma l’ha usato per darne agli altri. Il suo cammino illustra alla perfezione l’insegnamento che Toni Morrison, la scrittrice premio Nobel, ha dato ai suoi studenti: «Se avete potere, allora il vostro compito è dare potere a qualcun altro».10
Riequilibrare il potere
La storia di Lia mostra sia l’interazione tra gli elementi fondamentali del potere sia come, nel tempo, tali elementi possano essere riequilibrati. Proprio come quattro sono gli elementi che definiscono la distribuzione del potere in una relazione bilaterale (le risorse che ciascuna delle due parti ritiene preziose e le alternative che le parti hanno per accedere a quelle risorse), anche le strategie per spostare l’equilibrio del potere sono quattro, come mostra la figura a pagina 28:11 attrazione, consolidamento, espansione e distacco. Sono strategie attuali, ma in uso sin dall’antichità, e sono applicab...