
- 288 pagine
- Italian
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Le lettere di Esther
Informazioni su questo libro
"Le lettere mi mancavano. Ormai non ne scriviamo più, le consideriamo una perdita di tempo che ci priva di immagini e suoni." È per colmare la nostalgia che Esther, libraia di Lille, decide di organizzare un laboratorio di scrittura epistolare. Per lei, che con il padre ha intrattenuto una corrispondenza durata vent'anni, è come riportare in vita un rituale antico: accantonare per un po' l'immediatezza delle mail e l'infinita catena di messaggi WhatsApp che ogni giorno ci scambiamo, per sedersi a un tavolo, prendere carta e penna, darsi tempo, nel silenzio di una stanza tutta per noi, e raccontarsi. Trovare le parole giuste per qualcuno che ci leggerà , non ora e nemmeno domani. E riassaporare il gusto perduto di una comunicazione più ricca, più sensata.
"Da che cosa ti difendi?" è la prima, spiazzante domanda di Esther per i cinque sconosciuti che, rispondendo al suo annuncio, hanno scelto di mettersi in gioco. Attraverso piccoli quadri della loro vita quotidiana e l'intenso scambio epistolare si delineerà poco per volta il ritratto di una classe eterogenea e sorprendente: Samuel, il più giovane, che non riesce a piangere per la morte del fratello; Jeanne, ex insegnante di pianoforte, vedova, che si difende dalla solitudine accudendo animali maltrattati; Jean, un uomo d'affari disilluso che vive per il lavoro e ha perso contatto con le gioie più autentiche; Nicolas e Juliette, una coppia in crisi sulla quale il passato getta ombre soffocanti. Esponendo dubbi e debolezze all'ascolto e alle domande, la scrittura sarà , per loro, lo strumento per rivelarsi l'uno all'altro con sincerità , alleggerendo il cuore.
Intriso di tenerezza e umanità , Le lettere di Esther è un elogio alla lentezza, una celebrazione della forza delle parole, un resoconto travolgente delle fragilità umane.
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Informazioni
DIALOGHI
Jeanne a JulietteVerjus-sur-Saône,6 aprileCara Juliette,c’è anche il mio dialogo.Quindi ci è voluta tua figlia perché la tua nascita ti tornasse indietro dritta in faccia, come un boomerang. Avresti potuto vivere la gravidanza e la nascita della piccola come se niente fosse, continuando a occultare il tuo passato. È questo che sarebbe stato strano e inquietante, per l’avvenire di entrambe. Non credi? Nella tua depressione c’è come un effetto a specchio tra due madri, la tua e quella che sei diventata, e tra due figlie, tu e Adèle. Per Adèle hai infranto questo specchio. Non sono una psicologa, ovvio, mi limito a scriverti un presentimento, un’emozione.Mi piace il tuo Nicolas. Quando vedo i miei vicini rientrare dal supermercato con il bagagliaio pieno zeppo di cibo spazzatura, mi arrabbio anche io. L’indignazione ha la meglio. Immagina: in paese abbiamo un forno buonissimo gestito da una coppia molto simpatica, ma tanti miei concittadini preferiscono comprare il pane industriale della grande distribuzione. Un giorno ho visto la mia vicina Nathalie portare dentro la spesa, così sono uscita di casa e mi sono offerta di aiutarla. Un pretesto per attaccare bottone. Dato che andava di fretta e aveva comprato come se si stesse preparando alla terza guerra mondiale ha accettato. Mentre dalla macchina spuntavano le bistecche sottovuoto e i nuggets di pollo ho digrignato i denti. Per le uova però aveva fatto un piccolo sforzo, così ho iniziato da lì.– Non conosco questa marca, polli allevati all’aria aperta, bio… Poi dimmi come sono.– Ah, sì, con le uova bisogna stare attenti. Ho visto delle foto di polli in batteria, è proprio disgustoso. Ma tu lo sai meglio di me. Non ti dico quanta gente c’era al supermercato, guarda, sembrava un’invasione!– Che carine queste tovagliette di carta.– Sì, hanno un sacco di cose carine. Mi devo trattenere per non comprarle tutte.– È buono questo pane?– Mah, è un pane.– Sai che quello che vendono in paese è proprio buono? Se vuoi te ne prendo un po’ quando ci vado.– Gentile da parte tua, Jeanne, ma vedi, io ne compro tanto e lo congelo per la settimana.– Te ne darò un pezzo per fare il confronto. E poi, bisogna aiutare i giovani, pensa se il forno dovesse chiudere i battenti!– Hai ragione, ogni volta mi dico che lo prendo quando torno, solo che magari non passo dal paese e ho paura di dimenticarmelo, e al super faccio prima. Smettila di guardare così il prosciutto! Da quando hai portato Sacha a vedere i tuoi maiali non lo mangia più. Sarai contenta, visto che ne compro di meno. Adesso gli prendo le bistecche.– Vorrà dire che gli presenterò le mie mucche…– Dai, Jeanne, ha bisogno di calcio. Me lo farai diventare un veggie-vegan o un flexitariano o come si dice… Cosa dovremmo fare, metterci a mangiare insetti e semi?– Tra l’altro, gli insetti potrebbero sparire tra cento anni…Mi sarei messa a gridare. Che rabbia! Oh mio Dio! Sono andata in giardino a cercare conforto nei miei animali.JeanneP.S. Cara Juliette, mi piace come scrivi. Non avevo notato i tuoi problemi con i connettivi. Esther, invece, nota tutti i nostri piccoli difetti.Juliette a JeanneMalakoff,19 aprile 2019Cara Jeanne,nella lettera: il mio dialogo.I dialoghi di Esther funzionano. Ho sorriso mentre leggevo il tuo. Sono felice di sapere che difendi il forno del tuo paese. Purtroppo i francesi consumano sempre meno pane. Ormai da tempo ha perso la reputazione che aveva una volta. Troppi fornai vendono dei pani cattivi. È diventato il diavolo che fa ingrassare. Per non parlare dell’intolleranza al glutine che sembra aver colpito metà della popolazione. Forse i francesi hanno perso il gusto e quindi comprano il pane al supermercato, ignorandone le qualità sensoriali? Noi fornai siamo pieni di pane integrale. Le donne che fanno attenzione alla linea credono ciecamente in lui. È vero che è nutriente, si conserva meglio e attiva, parrebbe, la digestione. Ma (lo dico solo a te) è meno gustoso del pane rustico o di quello classico.Non mi avevi detto di avere dei maiali e delle mucche. Sei vegetariana? Io la carne la mangio poco, il pesce sì, tanto, e anche le uova. Logico, mi dirai, per la figlia di due pescivendoli.Con Nicolas stiamo andando avanti. Gli ho chiesto perché mi ha trattato così male quando sono tornata a casa. Non sapeva più cosa pensare di me, aveva paura delle mie reazioni. Così mi ha risposto. Era esausto; se avesse potuto sarebbe andato via per un po’, mi avrebbe lasciata sola con Adèle. Le sue parole mi hanno terribilmente rattristato. Sono dure da mandare giù, ma mi sono messa al suo posto. Penso che avrei reagito allo stesso modo. La scrittura mi aiuta molto. Mi obbliga a riflettere prima di rispondere. Se, al posto di scrivermelo, me l’avesse detto in faccia, sarei andata nel panico, avrei trasformato le sue frasi, deciso che non sapeva se mi amava ancora e che era meglio prendere strade separate.Stanotte ho sognato i miei genitori. Mi sono svegliata piangendo. Mi sentivo soffocare, come nei giorni peggiori della mia depressione. Non li ho più rivisti dopo il parto. Adèle aveva un giorno. Era estremamente doloroso vederli belli beati davanti alla loro nipotina, mentre io ero scioccata da quello che mi succedeva e non provavo niente. La loro presenza mi riportava alla mia nascita, alla mia adozione. Senza volerlo, mi stavano facendo del male. Non ero in grado di distinguere le due cose, volevo solo che se ne andassero.Aspetto di essere pronta per scrivergli. Prima del laboratorio non avrei mai pensato a una lettera. Tuttavia, quale modo migliore per spiegargli cosa mi è successo? Sono così fragile che ho difficoltà a trovare le parole e a frenare le emozioni. Voglio che sappiano quanto li amo e quanto gli sono riconoscente.I miei genitori avevano una pescheria a Trouville. Lavoravano sodo. Infilare le mani nel ghiaccio alle sei del mattino mentre fuori si gela non è divertente. Io gli dicevo: «Sono Juliette, il termosifone più caldo del mondo», e loro lasciavano tutto, coltelli, pesci, cannaio… Prendevo le loro mani congelate tra le mie e soffiavo forte. «Oh, adesso va molto meglio, abbiamo le mani caldissime», mi rispondevano ridendo. Si prestavano al mio gioco con gioia, mimando stupore, come se quello che facevo con la bocca fosse straordinario. Nemmeno una volta mi hanno respinta, o magari detto: «Aspetta un attimo, c’è un sacco di gente» oppure «Dopo Juliette, ora abbiamo fretta». Toccava ai clienti aspettare. Dopo la scuola mi sistemavo in fondo al negozio per leggere e fare i compiti. La domenica pomeriggio, con mio padre andavamo in barca. Non pescavamo, navigavamo, per vedere il mare e chiacchierare.– Vedi, mia Juju, l’orizzonte è tuo. Io e tua madre siamo qui per questo, per regalarti l’orizzonte e un bell’avvenire.– Cos’è un bell’avvenire?– Quando sarai grande, è fare un bel lavoro e vivere in un posto che ti piace.– E tu, ce l’hai un bell’avvenire?– Il mio è splendido perché ci siete tu e la mamma. Prima, senza di te, l’orizzonte non aveva gli stessi colori. Ora stiamo bene, giusto?– Sì. E che lavoro farò?– Quello che vuoi. Hai tutto il tempo per pensarci.– Quello che voglio?– Sì.– Maestra?– Sì, perché no.– Pescivendola?– Anche.– Veterinaria?– Sì.– Astronauta?– Sì. Ma attenzione, per riuscirci dovrai farti un mazzo tanto, niente ti cade dal cielo. Non ripetere a tua madre quello che ti ho detto!Le nostre conversazioni finivano sempre così. Io gli elencavo dei lavori e ogni volta lo sentivo sentenziare: «Dovrai farti un mazzo tanto» che mi faceva scoppiare a ridere. Mi mancano i miei genitori.Un abbraccio,JulietteP.S. Scusa se ci ho messo di nuovo tanto a risponderti. Mi mancava l’ispirazione per il dialogo, e poi, eureka!Jeanne a SamuelVerjus-sur-Saône,10 aprile 2019Caro Samuel,...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Le lettere di Esther
- ESTHER
- L’ANNUNCIO
- DA CHE COSA TI DIFENDI?
- ALL’ORIGINE
- GLI ASSENTI
- SENSI DI COLPA
- ANIME
- DIALOGHI
- ASPETTARE
- ORIZZONTI
- VIAGGI
- INCONTRARSI
- LA CABINA DEL VENTO
- Copyright