Lia si rigira nel letto, la sveglia sul cellulare suona per la seconda volta e lei si copre un orecchio con il cuscino. Non vuole allungare il braccio da sotto le coperte, non vuole alzarsi e trascinarsi al piano di sotto, fare colazione con un caffè lungo e i biscotti ai cereali e poi andare a scuola.
Odia la mattina, i suoi compagni di classe e la sua vita.
Ma non è sempre stato così, solo un anno fa le cose erano diverse.
Si svegliavano insieme, lei e Agata, facevano colazione commentando l’episodio visto su Netflix la sera prima, andavano in bagno a lavarsi i denti, simultaneamente, e infine sua sorella le sistemava il trucco che Lia si stendeva sul viso sempre in modo impreciso. E poi iniziava la giornata.
La sveglia suona per la terza volta e Lia, con immensa fatica, allunga la mano fino al cellulare e la spegne.
Silenzio, finalmente.
Pensa che potrebbe anche riaddormentarsi…
«Tesoro, il caffè si raffredda…» Dal piano di sotto, la voce di sua madre arriva forte e chiara. «Io esco!» continua poi, avvertendola della sua assenza, e Lia si alza. Scende le scale trascinandosi giù fino in cucina, dalla finestra intravede la madre mettere in moto l’auto e sparire lontano. Sul tavolo c’è un Post-it vicino alla tazza colma di caffè, ormai quasi freddo.
Lia legge: TORNO PER CENA. Lo accartoccia e se lo mette nella tasca del pigiama. Anche oggi pomeriggio, tanto per cambiare, sarà da sola.
Si siede al tavolo e beve il caffè senza nemmeno riscaldarlo al microonde, il liquido è amaro e tiepido. Ma a Lia non gliene frega più niente, né del sapore delle cose né di che cosa pensi la gente di lei. Da un anno a questa parte è solo molto stanca, di tutto, di tutti, e vorrebbe starsene da sola in camera e dormire per sempre, un lungo sogno da cui non svegliarsi mai. Invece è sveglia, e vive in un incubo.
Addenta un biscotto troppo duro e lo mastica più volte, deglutisce bevendo un altro sorso di caffè. Si sistema una ciocca di capelli sulla fronte. Se li è tagliati qualche mese fa, senza pensarci. Era stufa di vedere allo specchio la ragazza biondo cenere con la treccia lunga, così aveva preso le forbici e accorciato le ciocche una dopo l’altra, liberandosi di un peso. Ora i suoi capelli sono più scuri, a ciuffi disordinati; di spalle, potrebbe anche sembrare un ragazzo.
Ma ecco, un’altra cosa di cui non le importa assolutamente è sembrare carina.
Si tormenta una pellicina tra le labbra screpolate, come ultimamente fa quando è nervosa. Potrebbe benissimo saltare il primo giorno del terzo anno di liceo, starsene a casa e inventarsi un bel racconto della giornata da sciorinare a suo padre e sua madre quando saranno rincasati la sera. Ma non lo farà, non può perché…
Il cellulare vibra sul tavolo, è Giada, è lì per prendere l’autobus con lei. Lia le manda un messaggio su WhatsApp: “Dieci minuti!” scrive, e sa già che arriverà in ritardo perché deve ancora lavarsi i denti, farsi una doccia e preparare lo zaino.
Si alza dal tavolo e corre in bagno, mentre il display si illumina di nuovo: “Dieci minuti veri o dieci minuti dei tuoi?”.
“Ti muovi???”
“Lia ma dove sei?”
“Tra cinque minuti parte!”
Lia esce dalla doccia, si infila i primi vestiti che trova nell’armadio, neri, sformati, le scarpe da ginnastica e poi butta i libri alla rinfusa nello zaino. Ha ancora i capelli umidi di doccia, anche se li ha strofinati bene con l’asciugamano. Un berretto da baseball in testa ed è pronta per uscire in giardino, anche se ha già il fiatone.
«Eccomi!»
Giada le sorride tesa. «Finalmente!»
La sua amica indossa una giacca di jeans vintage, ha i lunghi capelli castani stretti in una coda da cavallerizza, che le esalta il viso dolce e dalla forma ovale, e una spruzzata di lentiggini sul naso.
«Senti…» inizia a giustificarsi Lia, gesticolando sotto la felpa di due taglie più grandi.
Ma non hanno tempo di commentare il ritardo, corrono insieme verso la fermata del pullman.
Verona, di mattina, è ancora più bella.
Fuori dalla porta dell’aula Giada la guarda negli occhi: «Chi è che entra per prima?». Lia sospira, non ha tutta questa voglia di entrare per ultima, ma è colpa sua se hanno perso l’autobus.
«Tu» dice infine, e l’amica fa un mezzo sorriso malinconico. Non possono entrare in classe insieme, lei e Giada, nessuno sa che sono amiche e la cosa deve rimanere un segreto. Non è stato difficile fingere fino a ora, più che altro perché chi sospetterebbe mai che una come Lia, lupo solitario, selvatica, amante della matematica e delle equazioni, passi i suoi pomeriggi con Giada Abissi, dolce e amabile come poche altre?
Lia osserva Giada bussare alla porta, abbassare la maniglia e giustificarsi: «Mi scusi tantissimo per il ritardo, prof… mia madre ha avuto un’urgenza in ospedale e non è riuscita ad accompagnarmi in tempo… Sa, il lavoro…». La classe è avvolta nel silenzio. La madre di Giada fa l’infermiera e la scusa dell’ospedale le viene sempre buona.
Ora è la volta di Lia; aspetta ancora un po’ per non destare sospetti, attende che la professoressa ricominci a spiegare Manzoni, poi bussa alla porta.
«Mi scusi…» sussurra Lia, tirando la maniglia che però è incastrata e fa baccano. «Mi scusi…» Spinge più forte e per poco non la scardina; la classe si scioglie in un brusio divertito.
La professoressa apre il registro. «Buongiorno anche a lei, Greco, la lezione è iniziata da un quarto d’ora.» Si liscia una ciocca di capelli neri dietro l’orecchio e poi chiude il registro con un gesto severo.
Lia non si giustifica, va a sedersi in terza fila, nell’unico banco libero che è il suo posto già dall’anno scorso, vicino a Carlo, il secchione della classe.
«Che bella coppietta» le fa il verso una ragazza seduta qualche fila più in là, Vanessa, che fa danza moderna e non mangia carboidrati nemmeno il giorno di Natale.
«Molto divertente questa battuta da boomer» le risponde Lia. Vanessa fa un sorrisetto fastidioso. «Vi sedete sempre in banco insieme, ci chiedavamo tutti se siete fidanzati…»
Carlo arrossisce violentemente, mentre tre ragazze qualche banco più in là sghignazzano senza preoccuparsi di non farsi notare.
Lia si irrigidisce. «E io mi chiedo quando inizierai a non sbagliare i verbi.»
Vanessa sbuffa. «Che acida.»
«Lasciala perdere, Vane, non ne vale la pena» interviene Ginevra, amica inseparabile di Vanessa e terza componente del gruppo composto da loro due più… Giada.
«No che non la lascio perdere, mica mi rispondeva così l’anno scorso…»
A Lia vengono i brividi, inizia a sentirsi il petto salire e scendere, sempre più veloce.
«Vanessa, lasciala stare…» Giada si intromette allarmata, perché Lia chiude gli occhi, i brividi le attraversano il corpo. E Giada lo sa a chi sta pensando, e che cosa sta passando. Lo sanno tutti quello che le è successo, ma la maggior parte sembra ricordarsene solo quando le vogliono dare della psyco, di quella che non ci sta più dentro, mentre nessuno considera il suo dolore.
La professoressa interrompe la lettura. «Lanfranchi, legga lei.» Mentre Vanessa cerca alla rinfusa la pagina giusta nel manuale di italiano, Lia intercetta lo sguardo lontano di Giada. L’amica è così distante… Allora richiude gli occhi e un ricordo le affiora alla mente, è quello di Agata che una mattina l’aveva accompagnata a scuola in auto, era il primo anno e già il liceo classico non le piaceva granché. «Senti Lia… quando non hai voglia di entrare lì dentro, a scuola, prova a pensare che più studi, prima te ne esci… oppure puoi ripetere l’anno, tante tante volte.» Si era messa a ridere e Lia era rimasta piuttosto terrorizzata da quella possibilità, dall’idea di rimanere lì più tempo del previsto.
Adesso, in aula, Lia fa un lungo respiro e apre gli occhi, e lo fa perché pensa a quello che le ha detto Agata, e perché lei la sente vicina, sempre, ovunque ella sia.
Nel primo pomeriggio Lia torna a casa a piedi, non ha voglia di prendere l’autobus da sola e Giada si è fermata a pranzo insieme a Vanessa e Ginevra.
Fuori da scuola ha intravisto Clelia da lontano, i loro sguardi si sono incrociati un istante, ma Lia è riuscita ad allontanarsi prima che quest’ultima potesse venirle a parlare, con le stampelle è più lenta. Lia non le ha risposto a nessuno dei messaggi per tutta l’estate e ha interrotto tutte le sue chiamate.
Le fronde degli alberi hanno il colore dell’autunno, che è anche quello della terra e del sole. Un vento leggero le scompiglia i capelli.
Solo un anno fa, questa strada non l’aveva mai fatta da sola, perché all’uscita di scuola sapeva che avrebbe dovuto cercare la Cinquecento color carta da zucchero di Agata, e aspettarla lì.
«Ciao orsa» la salutava la sorella, e la chiamava così per il suo carattere introverso. Agata aveva la pelle bianchissima e gli occhi azzurri del colore del mare; aveva appena preso la patente, ma grazie alle lezioni di papà Massimo nella via di casa guidava già molto bene.
Lia sta pensando ad Agata mentre cammina con il cappuccio tirato su in testa, le mani nelle tasche e lo sguardo basso.
«Ehi, ciao.»
Si volta, una voce maschile ha attirato la sua attenzione. È un ragazzo di cui non conosce il nome, non è nella sua classe. Eppure un ricordo nitido e violento come una scheggia di vetro la colpisce: quella maledetta sera, festa di fine anno, c’è una band che suona, ed è composta da Christian, il fidanzato di Giada, questo ragazzo e… Clelia.
A Lia il ricordo fa stringere lo stomaco in un pugno di orrore.
«Ciao. Mi chiamo Samuele, tu?»
«Sono Lia…»
Le porge la mano. «Scusa, è che faccio sempre questa strada ma è la prima volta che ti vedo… che vedo qui qualcuno della scuola, in realtà.» Lia non può rispondergli che l’averlo vicino le sta provocando un mezzo attacco di panico, che sente il cuore pompare a mille e la punta delle dita fredde come se fossero morte.
«È la prima volta che passo di qui, infatti…» dice invece, con enorme fatica, e continua a camminare con lo sguardo basso.
«Come mai?»
Lia lo guarda di sbieco, riesce a intravedere i suoi occhi verdi e i suoi capelli castan...