La Megadirezione Galattica della società decise inaspettatamente di affidare a Fantozzi una missione di fiducia: doveva portare a un Condirettore Magistrale in Transilvania, dove questi passava lunghi periodi di vacanze, i suoi sigari preferiti, non in commercio in quei posti lontani.
La notizia raggiunse Fantozzi nel sottoscala. Fantozzi viveva in quella semioscurità ormai da cinquant’anni e aveva lo sguardo bianco lattiginoso da pipistrello. Era stato assunto perché aveva risposto a un’inserzione sul giornale. Era un’offerta di lavoro di molti anni avanti, che diceva pressappoco così: «Importante società interessi nazionali cerca militesente, patente primo grado, buona conoscenza italiano parlato, passabili nozioni italiano scritto, per direzione ufficio Acquisti».
Di questi tempi per Fantozzi sarebbe stato quasi impossibile trovar lavoro dato il tenore delle offerte di lavoro sui quotidiani: «Importante gruppo americano: laureato in fisica nucleare, medicina e ingegneria e perfetta conoscenza inglese, russo e cinese, militesente, massimo ventiduenne, esperienza cinquantennale nella conduzione di un grande reattore nucleare, cerca per essere impiegato presso lattaio per distribuzione giornaliera!».
Fantozzi era stato assunto perché parlava un italiano quasi comprensibile, ma fu subito dimenticato. Dimenticato al punto che spesso, nei cinquant’anni di sottoscala, quando la società cambiava improvvisamente la distribuzione delle stanze alzando dei muri divisori, Fantozzi veniva murato vivo e per lungo tempo non se ne aveva più notizia. Dopo tre mesi gli telefonavano a casa credendolo in mutua e chiedevano alla moglie: «Come sta?».
E la Pina: «Mai visto!».
Allora al Personale capivano e sguinzagliavano Filini dell’ufficio RIMV. RIMV è una sigla. E qui va detto che nelle società moderne chi non conosce il linguaggio cifrato delle sigle dei vari uffici è fottuto perché sono tutte sigle. Esempio: PER personale, CAN cancelleria, e RIMV? Ufficio Ricerche Impiegati Murati Vivi!
Filini aveva un olfatto straordinario, riusciva a sentire un impiegato di seconda categoria a 300 metri di distanza, e un bracciante del Gargano – in favore di vento! – a 1200 metri. Non era un uomo che non amava il suo lavoro, anzi quando chiedeva le ferie non andava, che so, a Riccione, no! Ad Alba, dove si iscriveva alle gare come cane di trifola! Filini dopo due o tre giorni «sentiva» l’odore di Fantozzi dietro un muro e lo riportavano alla luce.
Fantozzi doveva partire di lì a quattro giorni. Furono quattro giorni molto intensi: guardò attentamente le carte di quella regione e a lungo ipotizzò sul clima che vi avrebbe trovato: subtropicale o polare! L’ultimo giorno una notizia folgorante: l’ufficio Personale gli pagava il viaggio di andata e ritorno in vagone letto e gli anticipava per i tre giorni del viaggio una diaria di 5000 lire per spese di vitto e alloggio.
Partì un venerdì mattina di primavera, invidiato da tutti i colleghi. Portava con sé una borsata degli introvabili sigari del Condirettore Magistrale. Il viaggio durava trentadue ore, e Fantozzi incominciò la sua «operazione risparmio» in grande stile: provviste per tre giorni tutte da casa. Destinazione Pec, in vagone letto! Fu accompagnato da un conducente di dimensioni singolari (era alto 1,26 centimetri e non arrivava alle maniglie delle porte, così che ogni volta era penosamente costretto a farsi aiutare dai viaggiatori) in uno scompartimento letto stile liberty.
Fantozzi entrò emozionatissimo e si preparò per la sua prima notte in vagone letto: era timoroso come una giovane sposa. Spinse un pulsante: gli si aprì la voragine di un lavandino con un fragore che quasi lo stroncò per infarto. Retrocesse pallidissimo fino alla porta appoggiandosi a un campanello e subito si sentì sullo zoccolo un grattare sommesso da topo: era il conducente subito accorso. Quando Fantozzi finalmente scoprì l’armadio dopo mezz’ora di ricerche cominciò a mettersi in mutande e maglia per la notte. Attaccando la giacca all’attaccapanni fece toc! toc! nella parete divisoria con lo scompartimento accanto. Toc! toc! rispose qualcuno maliziosamente. Toc… tuc… toc, fece Fantozzi con le nocche. Toc… tuc… toc, rispose certamente una bella sconosciuta. Fantozzi era in piena avventura di viaggio! Si avventò sul lavandino, si pulì i denti, si pettinò e si profumò indecorosamente con del Tabacco d’Arar in zone intime, e questa operazione gli provocò dei bruciori da ululato represso. Stava per uscire in mutande ma ebbe un ripensamento: si fasciò ad arte con un lenzuolo e con passo leggero affrontò in corridoio la prima avventura di viaggio della sua vita. Sembrava Cicerone. Dallo scompartimento accanto uscì un altro Cicerone, anche lui indecorosamente profumato, però con i baffi. I due antichi romani si fissarono per un attimo, poi si sorrisero tragicamente e rientrarono.
Alle 4 del mattino ebbe fame e volle mangiare qualcosa. Aprì la borsa: era piena di sigari! Dopo qualche tentativo trovò i sigari immangiabili. Alle 5,30 lasciò le scarpe in corridoio e cercò di dormire, non gli riuscì di regolare il riscaldamento: se spostava la leva di 20 millimetri a destra lo scompartimento diventava un forno a 90 gradi e per quella temperatura non era stato imburrato, ma bastava soffiare sulla leva verso sinistra per piombare in una cella frigorifera. Alle 6 il letto si richiuse improvvisamente come una trappola per orsi, ma il piccolo conducente non arrivava alla maniglia e non lo poteva salvare. Alle 11 del mattino fu liberato da alcuni pulitori di vetri. Fantozzi si rivestì in silenzio, ma uscito in corridoio si rese conto che le scarpe gliele avevano rubate. A piedi nudi raggiunse l’uscita della stazione. «Biglietto, signore?» gli chiesero al controllo. Cominciò a cercarlo con cura e dignità, poi con l’affanno, poi si denudò, alla fine disse con un livido sorriso: «Non lo trovo». I controllori allora lo portarono sulla piazza della stazione, dove in mutande fu legato a un palo della luce e frustato per una sanzione esemplare.
Quando dopo tre settimane Fantozzi ritornò a piedi nudi in ufficio, singhiozzava. All’ingresso Fracchia gli disse: «Eccolo qui il nostro fortunato viaggiatore che ritorna». Fantozzi lo fissò un attimo, poi in silenzio gli mollò un ceffone.
Fracchia e Fantozzi sono stati invitati al ballo della Contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare.
Fracchia e Fantozzi nulla sanno delle regole che governano le serate mondane e si consigliano con un certo Vannenez, che aveva fama di essere stato l’uomo di punta in tempi andati ai balli dell’Opera di Vienna: e sbagliarono completamente tutto. L’invito prescriveva «gradito l’abito scuro». Affittano allora da un costumista teatrale due frac da orchestrali (a Fracchia le maniche erano lunghe e sembrava un mutilato, Fantozzi pareva in bermuda). Si presentarono nella bellissima villa medicea di Montelupo della Contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare. Scambiati ovviamente per orchestrali, furono subito messi in prova dal capo orchestra, certo Conte Semenzi, un Conte, questi, decaduto.
I due fecero dei disperati tentativi con due trombe e poi furono schiaffeggiati selvaggiamente dal Conte. Sorrisero servilmente: credevano di essere in piena festa e che si stesse svolgendo uno di quei divertentissimi giochi di società di cui avevano tanto sentito parlare. Chiarito l’equivoco (il Conte Semenzi fu poi giustiziato con mezzi di fortuna nel cortile della villa) vennero introdotti nei saloni.
Il Fantozzi in bermuda baciò la mano al Conte Serbelloni, che intanto non dava la mano al Fracchia, il quale non poteva prenderla dato che le sue mani non fuoriuscivano dalle maniche. I posti a sedere in questi balli sono limitatissimi. Dalla Contessa erano quaranta e gli invitati quattrocento. I più scaltri avevano conquistato dopo rapidissime risse le poltrone e le sedie, altri stavano con molta classe sdraiati per terra o sulle scale. I lampadari erano al massimo della capienza!
Fantozzi adocchiò un dondolo meraviglioso nel giardino della villa. Disappannò il vetro (la temperatura esterna era di 18 gradi sotto zero): per un effetto lente del vetro concavo si intravedeva di là un cagnolino. Fantozzi disse: «Che tesoro!» e pensava al dondolo. E uscì.
Il cane era un gigantesco alano brandeburghese di nome Friedman da 4 tonnellate. L’alano gli fece in silenzio una violenta presa di collo e se lo portò in una zona isolata del giardino, dove stava già scavando una fossa. Un grido provvidenziale del Conte Serbelloni salvò il Fantozzi.
Rientrò stravolto col frac a brandelli e disse: «Fracchia, andiamo via, sono un po’ stanco». Salutarono il Conte, che cortesemente li accompagnò fino alla porta. Fantozzi aprì. Sul pianerottolo c’era l’alano Friedman che li aspettava. Richiuse di colpo e disse al Conte: «Ci facciamo ancora un ballo?». E sparirono in un vortice di danze viennesi.
Più tardi Fracchia scese dalla grondaia, salì in macchina e partì. Vide un lampeggio alle spalle, accostò sulla destra per lasciar passare: nulla. Ancora un lampeggio, Fracchia abbassò il finestrino, disse: «Dai, passa!» e fece il gesto con la mano. Poi accelerò a tavoletta: quelli dietro di lui non erano fari, ma gli occhi dell’alano Friedman che lo inseguiva al galoppo. Continuò così fin sotto casa. Fracchia cercò di uscire guardingo dall’auto ma l’alano ringhiava paurosamente. Attese un’ora, la belva sembrava dormisse, lui aprì lentamente la portiera e il cane si alzò ringhiando.
Quella notte dormì in macchina e per due settimane fu nutrito dalla moglie che gli passava vivande con un cesto calato dal balcone.
Domenica scorsa Fantozzi è stato invitato dal suo Capufficio Conte Balboni Virelli Bocca a un funerale molto importante.
Era deceduto in un avventato «cimento invernale» il Professor Vignardelli Bava di novantadue anni, Grande Ufficiale, Gran Cordone e soprattutto Direttore Artificiale della società. Il cimento invernale è una sorta di gara che si effettua in Liguria in pieno inverno: un gruppo di malconsigliati si getta in mare con temperature vicine e alle volte sotto allo zero. Vince il pazzo che esce ultimo dall’acqua
Il Professor Vignardelli Bava aveva bensì vinto la gara, ma era passato a miglior vita. Quando i concorrenti si erano buttati, venerdì 13 dicembre, su un quasi lastrone di ghiaccio, il Professore si era staccato dal gruppo con poderose bracciate, sotto lo sguardo ammirato di un folto pubblico di dipendenti ovviamente entusiasti per ragioni gerarchiche. A un 200 metri dalla riva, il Vignardelli Bava cominciò a salutare col braccio. Salutava e da terra tutti rispondevano. A un tratto il Professore cominciò a tenere il braccio alto, fuori dall’acqua, ma senza muoverlo. Dopo mezz’ora tutti gli altri concorrenti si erano già ritirati. Il Professore era sempre lì, fermo, tra le ovazioni servili della folla. Dopo un’ora fu riportato a terra in un cubo di ghiaccio.
Domenica hanno avuto luogo i funerali. È stata una cerimonia di grande rilievo mondano. Tutti i notabili della città vi hanno partecipato con cordoglio teatrale.
Fracchia, collega di sottoscala di Fantozzi, era già stato consigliato a intervenire dal Conte Balboni Virelli Bocca (veramente questi non era Conte nel modo più assoluto, ma ci teneva tanto al titolo e soprattutto era così decisamente Capufficio che Fantozzi alle volte lo chiamava «Sire»). Fantozzi, invece, non aveva ancora ricevuto istruzioni. Finalmente sabato giunse l’invito ufficiale: anche a lui veniva consigliato di presentarsi alla cerimonia al Cimitero Maggiore.
Lo spettacolo cominciò alle 9 del mattino. Fantozzi e Fracchia sbagliarono subito funerale. Se ne accorsero per pura combinazione all’orazione funebre. Parlava un «funeraliere» professionista truccato da affranto dal dolore.
«Tu» diceva l’oratore «sei scomparso lasciandomi un gran vuoto qui», e si indicò la giacca all’altezza del cuore.
Fantozzi domandò a un signore in elegantissimo completo da funerale: «Gli voleva molto bene?».
E quello: «Macché, gli doveva un sacco di soldi!».
L’oratore intanto: «Tu sei scomparso improvvisamente, dopo una vita interamente passata all’ombra della famiglia».
E qui Fracchia, che cominciava a subodorare l’errore, domandò a un congiunto che si stava addormentando: «Mi scusi, ma di che cosa è morto?».
E quello: «Insolazione!».
Fracchia e Fantozzi capirono l’errore e cominciarono a cercare il funerale giusto. Lo trovarono quando già si era arrivati all’orazione funebre. Venne avanti a parlare il Professor Zingales, grande amico dello scomparso, titolare di letteratura italiana all’università di Perugia e membro dell’Accademia della Crusca: «Vorrei spendere due parole…».
Dal gruppo una voce: «Tre!».
Altra voce: «Quattro».
E il professor Zingales: «E siamo a quattro, c’è qualcuno che offre di più?».
Voci isolate: «Cinque!… Cinque e mezzo!…».
Dal fondo, inaspettatamente: «Dodici!».
Era il Professor Bellotti-Bon!
Grandi mormorii di stupore nel gruppo per tanta audacia. «Commemorazione assegnata al Professor Bellotti-Bon con dodici parole» fece il banditore, e gli cedette la parola.
Il Bellotti-Bon: «Vorrei spendere undici par…».
Dal fondo: «Non cominciamo a fregare. Lei si è impegnato per dodici!».
Riparte il Bellotti-Bon: «Tu che eri noto col curioso nomignolo di uomo del ’48».
Fantozzi domandò a un gruppetto: «Eroe del Risorgimento?».
«No, no» rispose il gruppo decisamente. «Casinista pauroso!»
Bellotti-Bon: «Tu che raggiungi in cielo il tuo indimenticabile collega Professor Mannaroni Turri, scomparso nel labirinto dei giardini di Boboli a Firenze, durante l’annuale gioco “Liberi tutti” che si teneva con i colleghi della facoltà di Pisa…».
Interrompe uno dal fondo: «Scuola normale?».
«Non molto» rispose Bellotti-Bon, «vista la natura dei giochi!» E riprese: «Se noi ora fuuu…». E qui si bloccò. Si era trovato di fronte alla tragica barriera di un congiuntivo. Dall’angolo della bocca gli usciva solo quel curioso sibilo «fuuu…».
Un collega gli si avvicinò vedendolo in difficoltà e gli chiese: «Professore, cosa diavolo le succede? Ha forato?».
E lui: «No, mi trovo in spaventosa difficoltà con un congiuntivo!».
Il collega lucidissimo: «Quale?».
Il Bellotti: «Congiuntivo imperfetto prima persona plurale… vado per tentativi?».
E il collega: «Vadi!».
Riparte il Bellotti con rincorsa: «Se noi, fff…frassino…». E il collega lì vicino: «L’albero?».
«No, sono nel pallone» fece il Professore, e ripartì: «Se noi ff… Firenze!».
Voci sparse: «La città?».
«Prato!» tentò disperato Bellotti.
Voci di protesta: «Ma non comincia neppure per effe!».
E Bellotti, speranzoso: «Sì, ma è così vicina a Firenze!».
«Mi vorrei ritirare » disse a questo punto il Bellotti-Bon.
Coro di voci sghignazzanti: «Ah! Ah! Si ritira, eh? Non ha più congiuntivi!».
«No» fece il Bellotti, «ne ho ancora uno, ma vorrei tenermelo per la notte. Non si sa mai. Un congiuntivo “da notte” può sempre venir comodo per ogni evenienza.» E si ritirò tra i fischi dei funeralanti.
Fantozzi allibito si voltò verso Fracchia e gli disse: «Sono veramente deluso, questi Professori han ben poco da spendere, e poi crollano tutti tragicamente sui verbi».
«Ha ragione» ribadì Fracchia. «Torniamo a casa. Venghi!»
Domenica scorsa Fantozzi è andato a teatro. Un suo feroce e sagace cugino gli aveva regalato due biglietti omaggio per lo spettacolo «familiare» della domenica pomeriggio.
Fantozzi del mondo dello spettacolo aveva sempre avuto notizie di seconda mano e non aveva ancora ben chiaro il confine fra teatro tradizionale e spettacolo di varietà o rivista all’italiana.
Questo per il passato. Poi era successo un fatto curioso. La radio aveva iniziato un bombardamento a tappeto di musica leggera, la televisione aveva continuato questo orientamento con una nutrita serie di fortunati varietà musicali. Negli spettacoli di musica leggera si cominciarono poi a bersagliare con strali acuti...