1. Natura e destino dell’uomo
«Cristo è tutto in tutti».1 Questa frase di san Paolo merita la citazione che ne fa san Massimo il Confessore nella sua Mistagogia.
«Cristo» dice «è [...] tutto in tutti, Egli che tutto racchiude in sé, secondo la potenza unica, infinita e sapientissima della sua bontà – come un centro in cui convergono [tutte] le linee – affinché le creature del Dio unico non restino estranee e nemiche le une con le altre, ma abbiano un luogo comune dove manifestare la loro amicizia e la loro pace.»2 È la sintesi delle radici di tutto quello che pensiamo e sentiamo nella nostra convinzione di fede.
Innanzitutto, la frase di san Paolo. Se «Dio è tutto in tutto», che cosa vuol dire «Cristo è tutto in tutti»? La teologia tenta spesso di identificare queste due affermazioni sostituendo nella prima «tutto» con «tutti». Ma la prima Lettera ai Corinti (15,28) dice: «E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche Lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutto [hína ê(i) ho theós pánta en pâsin]».3 Il greco en pâsin è sia maschile sia neutro. In questo caso, però, visto il contesto della formulazione di san Paolo, il termine non può essere tradotto che col neutro: «Tutto gli sarà stato sottomesso [...] gli ha sottomesso ogni cosa, affinché Dio sia tutto (pánta) in tutto (en pâsin)». «Dio tutto in tutto» è la versione non solo possibile, ma necessaria, visto il contesto ultimo e più totale della formulazione.
Nella Lettera ai Colossesi (3,11) compare l’altra formulazione: «Non c’è più né greco, né giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo che è tutto in tutti» (allá tá pánta kái en pâsin Christós). Qui en pâsin è maschile plurale; il contesto lo sottolinea e lo motiva e, dunque, la traduzione giusta è «tutto in tutti».
La differenza ha un significato essenziale.
Innanzitutto, «Cristo tutto in tutti» è, nel suo valore ontologico, il nesso tra il mistero della persona di Cristo e la natura e il destino della persona di ogni uomo: questo è il valore reale, ontologico, di «Cristo tutto in tutti». Perciò Gesù, nell’ultimo discorso prima della sua morte, nel Cenacolo, rivolgendosi al Padre, dice: «Mi hai dato potere sopra ogni essere umano [letteralmente: “ogni carne”] perché io dia la vita eterna a tutti coloro che tu mi hai dato».4
Ma, in secondo luogo, «Cristo tutto in tutti» sta a significare che Cristo, non solo ontologicamente, ma anche per l’autocoscienza dell’uomo, è la fonte originaria, l’esempio ultimo e adeguato perché l’uomo concepisca e viva il suo rapporto con Dio (Creatore) e con l’altro uomo (creatura), il suo rapporto con il cosmo, con la società e con la storia.
2. Imitare Cristo
Perché il rapporto con Dio è rapporto con Gesù? Perché Gesù è lo svelarsi, il rivelarsi di Dio come Mistero, della Trinità come Mistero. Perciò la «morale» per l’uomo è l’imitazione del comportamento di Gesù Cristo, dell’uomo Gesù, di Gesù uomo-Dio, uomo in cui Dio è.
Egli è per tutti il Maestro (Magister adest: «Il Maestro è qui».5 «Non vogliate chiamarvi maestri: uno solo è il vostro Maestro»6), il Maestro da scoprire, da ascoltare e da seguire: «Beati quelli che ascoltano il Verbo di Dio e lo rendono pratico nella loro vita».7 L’imitazione di Cristo è la conoscenza del vero, la pratica del vero per tutti gli uomini.
Gesù Cristo prosegue nella storia, in tutti i tempi, dentro il mistero della Chiesa, Corpo suo, formato da tutti coloro che il Padre gli ha dato nelle mani, come dice Egli stesso, e che Egli, con la forza del suo Spirito, ha nel Battesimo immedesimato a sé come membra del suo Corpo. Il magistero di Cristo è – perciò coincide con – quello della Chiesa, perché da essa è autenticamente letto e sentito.
Qui vorrei fare una osservazione. Quello che abbiamo detto prima sul potere vale, come aspetto vertiginoso, per l’autorità come potrebbe essere vissuta nella Chiesa. Se essa non è paterna, e quindi materna, può diventare sorgente di equivoco supremo, strumento subdolo e distruttivo in mano alla menzogna, a Satana, padre della menzogna.8 Mentre sempre, in modo sconvolgente, l’autorità della Chiesa è ultimamente da obbedire, paradossalmente.
Dal punto di vista istituzionale, lo è in quanto quello che dice è strumento e veicolo della Tradizione, in quanto cioè è formalmente ortodossa nella fede e ligia nella prassi all’autorità del Papa. Perciò, dal punto di vista istituzionale, l’autorità è la forma contingente che la presenza di Gesù risorto utilizza come espressione operante della sua amicizia con l’uomo, con me, con te, con ognuno di noi. Questo è l’aspetto più impressionante del mistero della Chiesa, che più colpisce l’amor proprio dell’uomo, la ragione stessa dell’uomo.
Il significato dell’imitazione di Cristo, dell’imitare Cristo, è per tutti gli uomini, ma inizialmente e innanzitutto per gli uomini battezzati, per i fedeli, indicato autenticamente dalla Chiesa. La Chiesa è, dunque, la sorgente con cui si paragona tutta la morale, il definirsi della moralità della vita come coscienza del dovere e tensione all’attuazione di esso, alla luce della coscienza di Cristo, unico maestro dell’umanità (Unus est enim Magister vester).9 Nel Battesimo, gesto fondamentale per cui, nella vita della Chiesa, un uomo è reso immanente al mistero di Cristo, nasce la «nuova creatura».10 Questa è l’ontologia nuova, l’essere nuovo, la partecipazione nuova, inimmaginabile, all’Essere, all’Essere come Mistero. Da qui proviene la morale nuova.
Ma come è possibile imitare Cristo, l’uomo Gesù di Nazareth, nella infinita differenza della misteriosa identità di ogni uomo che crede in Lui? Che misteriosa identità vive in ogni uomo che crede in Lui!
Gesù è l’uomo che lo Spirito di Dio ha fatto nascere – come ogni uomo – da una donna, vivere e morire come figlio di una madre; il suo io, la sua personalità si è identificata con la natura stessa del Mistero, così che quel che del Mistero si è potuto conoscere e si può conoscere è stato immediatamente rivelato da Lui.
Così abbiamo conosciuto che l’uomo Gesù è immanente al Verbo di Dio, Figlio del Padre. Per cui l’imitazione di Cristo è possibile se l’uomo riconosce se stesso come «figlio adottivo» di Dio come Padre, misteriosamente partecipe della natura di Dio, scelto da Gesù, uomo-Dio, a essere parte di Lui nel mistero battesimale, fatto membro del suo Corpo.
Per tutto questo la Chiesa utilizza la definizione «figlio adottivo», è destata dallo Spirito di Gesù a dire “adottiva” la nostra figliolanza. «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il Suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei vostri cuori lo Spirito del Suo Figlio che grida “Abbà, padre”. Quindi non sei più schiavo, ma figlio, e, se figlio, sei anche erede per volontà di Dio, coerede di Cristo.»11 Per questo l’Apocalisse nel suo finale dice: «Chi sarà vittorioso [chi seguirà Cristo nella croce, in quella croce che lo porta fino alla Resurrezione e fino alla signoria su tutto il mondo] erediterà questi beni; io sarò il suo Dio, ed egli sarà mio figlio».12 Qui parla dell’uomo, dell’uomo chiamato e fedele alla chiamata.13
Se la morale per l’uomo è imitare Cristo, domandiamoci ora: qual è il comportamento di Cristo verso Dio, verso l’uomo come prossimo, cioè verso l’altro creato dal Padre, verso la società e quindi verso la storia, la storia intera dell’umanità?
3. Dio è Padre
Innanzitutto, il comportamento di Gesù, dell’uomo-Dio verso Dio, è tutto segnato dal riconoscimento che Dio, il Mistero, è paternità. Nella coscienza di Gesù vive la totalità della invadenza del Padre, del «Dio che è tutto in tutto». «In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che Egli fa anche il Figlio lo fa. Il Padre, infatti, ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, e voi ne resterete meravigliati.»14
Gesù introduce l’uomo nel riconoscimento di questa paternità, della familiarità suprema col Mistero che lo costituisce, che fa tutte le cose. «Pregando, poi» dice Gesù «non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate, dunque, come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. Voi, dunque, pregate così: “Padre nostro che sei nei cieli” [cioè nel profondo radicale, generativo delle cose].»15
«“Io sono» dirà Gesù di sé «la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre. Fin da ora lo conoscete e lo avete veduto”. Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Gli rispose Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre”.»16
Il Signore unico, il Mistero che fa tutte le cose e tutto il tempo in cui le cose esistono, sussistono, diviene a noi familiare attraverso Gesù (uomo da Lui scelto e fatto parte, cioè partecipe immediatamente della sua natura divina, della natura del Mistero stesso). In questo uomo ...