Sorella scimmia, fratello verme
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Sorella scimmia, fratello verme

Storie straordinarie di animali, scrittori e scienziati

  1. 276 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Sorella scimmia, fratello verme

Storie straordinarie di animali, scrittori e scienziati

Informazioni su questo libro

Nell'Occidente cristiano-giudaico - anche su indicazione del Genesi dove si ordina all'uomo di sottomettere i pesci del mare, gli uccelli del cielo e via dicendo - si è guardato per millenni agli animali come fonte di cibo, forza lavoro o, nel migliore dei casi, compagnia. Ma i nodi di questa visione fondata sulla presunta superiorità umana rispetto alle altre specie stanno ormai venendo al pettine, con tutte le catastrofiche conseguenze che ha avuto e avrà sulla natura e sul pianeta.
In realtà, gli animali hanno gli stessi nostri diritti di abitare la Terra e, se si indaga nella letteratura, nella filosofia e soprattutto nelle scienze, si scopre che spesso hanno aiutato l'uomo a progredire, lo hanno ispirato o indirizzato nelle scoperte. In questo libro Piergiorgio Odifreddi, con la sua straordinaria capacità di metterci sempre un nuovo tarlo razionale nel cervello, fa una sorprendente carrellata di storie di scienza che, oltre all'uomo, hanno avuto per protagonisti degli animali. Si passa così dai conigli che, con la loro proverbiale prolificità, hanno esemplificato i numeri di Fibonacci ai ragni il cui filo resistentissimo, notò il chimico-scrittore Primo Levi, si solidifica secondo un processo più efficace di quelli messi a punto dall'uomo: per trazione. Il curioso, coltissimo e originale percorso di Odifreddi si snoda poi tra le rane e le torpedini di Galvani (queste ultime già utilizzate, secondo Plinio, nell'antichità per fare degli elettroshock naturali) e i moscerini di Morgan, indispensabili per gli studi sull'ereditarietà. E che dire del cane di Pavlov che (come le oche di Lorenz) ebbe lo straordinario merito di spostare l'attenzione degli psicologi dall'introspezione all'osservazione dei comportamenti? Eccezionali insegnamenti ci sono giunti da api e formiche, scimpanzé e mucche (quella di Jenner, pioniere dei vaccini). E poi, perché mai il gatto di Peano riesce sempre a cadere in piedi?
Insomma, siamo ancora convinti di poter fare a meno degli animali...? Forse no, visto che è stata una semplice lumaca di mare a darci un'avveniristica lezione sulle sinapsi (tema su cui è fioccato più di un premio Nobel per la Medicina)!

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ANIMALI

I conigli di Fibonacci (riproduzione)

La convivenza tra uomini e animali ha fatto sì che, fin dall’antichità, questi ultimi fornissero lo spunto ai primi per illustrare storie di ogni genere, dalle fiabe ai problemi di matematica.
L’esempio più antico, a metà strada tra i due generi, si trova in un papiro che fu acquistato a Luxor nel 1858 da un turista scozzese di nome Henry Rhind, ma era stato compilato 3500 anni prima da uno scriba egizio di nome Ahmes: per questo oggi lo si chiama papiro di Rhind o papiro di Ahmes, a seconda che si privilegi il compratore moderno o l’autore antico. Il papiro contiene ottantaquattro problemi matematici, il settantanovesimo dei quali è un indovinello:
In una proprietà ci sono sette case. Ogni casa ha sette gatti. Ogni gatto acchiappa sette topi. Ogni topo mangia sette spighe. Ogni spiga dà sette misure di grano. Quante cose ci sono in questa storia?
La risposta è 19.607, e si ottiene sommando fra loro le prime cinque successive potenze di 7, calcolate una dopo l’altra. Naturalmente, non serve sapere niente di specifico sui gatti e i topi, né sugli altri oggetti menzionati: l’indovinello potrebbe essere riformulato con qualunque cosa a caso, e infatti così fanno molte filastrocche basate sullo stesso principio ripetitivo, come Alla fiera dell’Est di Angelo Branduardi.
Più pertinente alla natura dell’animale che vi interviene è invece un famoso problema medievale sui conigli, che sono noti per essere molto paurosi e molto prolifici: da cui le espressioni “scappare come un coniglio” e “far figli come un coniglio”. La prima caratteristica può forse essere solo un’impressione soggettiva, ma la seconda ha certamente molte ragioni oggettive. Da un lato, infatti, la coniglia ha un utero doppio con due corna distinte, ciascuna delle quali può gestire simultaneamente molti feti, anche a diversi stadi di sviluppo reciproco. E, dall’altro lato, l’età fertile è precoce (qualche mese), la gravidanza breve (un mese) e la stagione dell’accoppiamento lunga (quasi tutto l’anno), oltre al fatto che l’ovulazione è stimolata dalla copulazione.
Può dunque sorgere la curiosità di calcolare “quante coppie di conigli saranno prodotte in un anno da una coppia”, come chiedeva appunto di fare un problema del Capitolo XII dell’antico Libro del pallottoliere:
Un tale teneva una coppia di conigli in un recinto, e voleva sapere quanti conigli poteva generare in un anno, supponendo che la natura dei conigli sia che ogni coppia ne genera un’altra ogni mese, e ogni nuova coppia diventa feconda dopo un mese dalla nascita.
Se la prima coppia si riproduce alla fine del primo mese, il numero raddoppia: le coppie ora sono 2. Alla fine del secondo mese, la prima coppia si riproduce di nuovo, e la seconda diventa feconda: le coppie sono 3. Alla fine del terzo mese, la prima e la seconda coppia si riproducono, e la terza diventa feconda: le coppie sono 5. Alla fine del quarto mese, le prime tre coppie si riproducono, e la quarta diventa feconda: le coppie sono 8. […]
A margine, si può vedere come abbiamo operato. Si è sommato il primo numero al secondo, cioè 1 a 2, ottenendo 3 come terzo numero. Poi il secondo al terzo, cioè 2 a 3, ottenendo 5 come quarto. Poi il terzo al quarto, cioè 3 a 5, ottenendo 8 come quinto, e così via.
Come dodicesimo numero si ottiene 377, che è la quantità di conigli generati in un anno che ci si era proposti di determinare. E lo stesso si può fare per un numero infinito di mesi.
L’autore del libro si chiamava Leonardo da Pisa, e la sua famiglia era soprannominata Bonacci, per il carattere bonaccione del padre: da qui il soprannome di Fibonacci, contrazione di “figlio dei Bonacci”. Da giovane Leonardo aveva viaggiato a lungo con il padre, che era un mercante, soggiornando e studiando nei paesi arabi. E mentre l’Europa medievale cristiana ancora scriveva i numeri con il sistema romano, non conosceva lo zero ed era costretta a fare i conti con il pallottoliere, Fibonacci imparò dagli Arabi il sistema decimale che essi avevano importato dall’India, completo dello zero, e lo esportò a sua volta in Italia.
Il suo Libro del pallottoliere, pubblicato nel 1202, costituì il primo testo europeo di aritmetica moderna, ed ebbe un ruolo storico e scientifico immenso in Occidente. Tramite una lunga serie di esempi pratici, Fibonacci mostrò infatti gli svantaggi del calcolo analogico con il pallottoliere, e i vantaggi del calcolo digitale con il sistema decimale. Iniziò così la diffusione di quelle che vennero chiamate “cifre arabe”, per la loro provenienza, anche se si sarebbero dovute chiamare più correttamente “cifre indiane”, per la loro origine. Il passaggio da un sistema all’altro fu lungo e tormentato, e solo il tramonto del Medioevo e l’alba del Rinascimento diedero il colpo di grazia al pallottoliere, come a tante altre polverose anticaglie.
Degli innumerevoli problemi presentati da Fibonacci nel suo libro, quello sui conigli è sicuramente il più famoso. La sua successione di numeri, ciascuno dei quali è la somma dei due precedenti, costituisce infatti il primo esempio non banale di applicazione della matematica alla biologia, e illustra in maniera intuitiva la crescita esponenziale di una popolazione troppo prolifica. Come Fibonacci stesso notava, infatti, la successione
1 2 3 5 8 13 21 34 55 89 144 233 377
può essere prolungata all’infinito, e permette di calcolare quante coppie di conigli sono state generate in qualunque momento.
Facendo i calcoli, si scopre che la progressione annuale è di 377 coppie il primo anno, 121.393 il secondo, circa 39 milioni il terzo, 12 miliardi e mezzo il quarto, un milione di miliardi il quinto, e così via. Se si sostituiscono i conigli con gli uomini, e gli anni con i secoli o i millenni, si capisce subito quali sono i rischi di una crescita incontrollata della popolazione: la Terra può forse arrivare a supportare 12 miliardi e mezzo di coppie umane, ma certo non un milione di miliardi.
Ovviamente la successione di Fibonacci può fornire soltanto un modello approssimato della crescita di una popolazione, perché gli animali sono organismi dal comportamento sessuale variabile, e non meccanismi riproduttivi a orologeria. Ma la stessa successione fornisce invece il numero esatto di antenati delle api domestiche, perché i maschi nascono da uova non fecondate, e le femmine da uova fecondate: i maschi hanno dunque solo 1 genitore (l’ape regina), ma le femmine 2 (anche un fuco). Allora i maschi hanno 2 nonni (materni), 3 bisnonni (uno paterno e due materni), 5 trisnonni, e così via. Le femmine, invece, hanno 3 nonni (uno paterno e due materni), 5 bisnonni, 8 trisnonni, e così via.
Benché nelle api le femmine abbiano sistematicamente più antenati dei maschi, la proporzione cambia a ogni livello dell’albero genealogico: i genitori sono 2 contro 1 (il doppio), i nonni 3 contro 2 (una volta e mezza), i bisnonni 5 contro 3, i trisnonni 8 contro 5, e così via. Questi rapporti salgono e scendono, ma si avvicinano sempre più a quella che i Greci chiamavano la divina proporzione o la sezione aurea, esemplificata in geometria dal rapporto tra la diagonale e il lato del pentagono regolare: un numero irrazionale, che vale approssimativamente 1,618.
Le proporzioni auree del pentagono regolare sono mantenute nel dodecaedro, che ha appunto dodici facce pentagonali, e nell’icosaedro, che si ottiene collegando i punti centrali delle facce di un dodecaedro. Tramite il dodecaedro e l’icosaedro le stesse proporzioni si ritrovano poi nelle forme di certi animali microscopici, dai radiolari meravigliosamente disegnati da Ernst Haeckel nell’Ottocento, che esibiscono tutte e cinque le forme dei solidi regolari, ai molti virus a capside icosaedrico.
Osservando le diagonali del pentagono regolare, si nota che esse formano una figura a stella, che ha al centro un nuovo pentagono regolare, più piccolo di quello di partenza. Si intuisce così un legame tra la sezione aurea e i processi di crescita o decrescita autosimile: quelli, cioè, in cui cambiano le dimensioni di un oggetto, ma non la sua forma. Come si può immaginare, questi processi sono tipici dell’accrescimento animale, perché durante lo sviluppo le varie parti del corpo non cambiano in maniera indipendente l’una dall’altra, ma mantengono le loro proporzioni reciproche, in modo da preservare l’equilibrio complessivo.
Poiché il processo dell’accrescimento avviene nel tempo, in genere lo si può osservare soltanto in maniera dinamica, con il time-lapse. Esistono però organismi che mantengono una testimonianza fossile di questo processo, e permettono di osservarne le tracce statiche, come in un’istantanea. L’esempio più tipico lo fornisce il Nautilus, un mollusco a tentacoli che allarga costantemente la propria conchiglia, man mano che essa diventa insufficiente a contenerlo: la sezione della conchiglia assume così la forma di una spirale logaritmica, che ha appunto la proprietà di crescere in maniera autosimile, rimanendo immutata dopo qualunque zoomata.
Le curve della vita (1914) di Theodore Cook e Crescita e forma (1917) di D’Arcy Thompson hanno mostrato come tra gli animali si trovino gli esempi più disparati di spirali logaritmiche: dalle corna dei caprini ai becchi dei pappagalli, agli artigli dei rapaci. E poiché le spirali logaritmiche sono equiangole, esse costituiscono i percorsi seguiti dagli insetti verso la luce, o dalle aquile verso la preda, perché rappresentano le traiettorie di avvicinamento in cui l’angolo tra la direzione del movimento (in avanti) e quella dello sguardo (di lato) rimane costante.
A volte gli aspetti aritmetici e geometrici possono anche apparire insieme: ad esempio, nell’usuale disposizione a spirale logaritmica delle foglie sui virgulti, chiamata fillotassi, che a ogni rotazione completa aggiunge un numero di foglie pari a 2, 3, 5, 8, eccetera, a dimostrazione della pervasività delle idee introdotte da Fibonacci nel suo apparentemente ludico e innocuo studio della riproduzione dei conigli.

Il nibbio di Leonardo (volo)

Vedendo dovunque volare gli uccelli attorno a sé, l’uomo ha da sempre sognato di imitarli: per girare a suo piacere attorno alla Terra, e per arrivare addirittura fino alla Luna. Ma a lungo non poté far altro che immaginare di sfruttare rocambolescamente i mezzi naturali disponibili, dai fenomeni atmosferici agli animali.
Già nel secondo secolo della nostra era Luciano di Samosata raccontò una fantascientifica Storia vera, nella quale una nave veniva trasportata e depositata sulla Luna da una tromba marina. Nell’Orlando furioso (1516) Ludovico Ariosto mandò invece Astolfo sulla Luna a cavallo di un ippogrifo, trasformando un animale da trasporto terrestre in uno da trasporto aereo, con la semplice e ingenua aggiunta di un paio d’ali.
Un po’ meglio fece Francis Godwin nel suo L’uomo sulla Luna (1638): non tanto nell’uso dei veicoli, che rimanevano dei fantastici cigni selvatici chiamati gansa, quanto nella descrizione dell’orbita da seguire. Gli uccelli trasportavano infatti il protagonista puntando sempre verso l’obiettivo, e il loro percorso era dunque una classica curva di inseguimento di una preda: in questo caso, la Luna, che fugge su un percorso (quasi) circolare. Se gli uccelli volano più velocemente di essa, la raggiungono con un percorso a spirale. Altrimenti entrano in un’orbita circolare attorno alla Terra, a una distanza che dipende dalla loro velocità.
Poiché la via naturale al trasporto aereo è preclusa dalla mancanza di uccelli cavalcabili e addomesticabili, l’unica alternativa rimane la via artificiale, che richiede la costruzione di macchine volanti. Le più semplici le usavano già i Cinesi duemila anni fa, ed erano banalmente costituite di palloni di carta riempiti di aria calda: si chiamavano lanterne Kongming, dal nome di uno stratega militare del regno di Chu, nel terzo secolo della nostra era, al quale la tradizione attribuisce l’invenzione.
Le lanterne volanti sfruttano il principio di Archimede, secondo il quale un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del fluido spostato: basta dunque riempire un pallone di un gas più leggero dell’aria, per farlo salire nell’atmosfera. E l’aria calda è appunto più leggera, perché scaldandosi si espande, e in uno stesso spazio ce ne sta di meno. Per scaldarla, basta appendere una torcia sotto l’imboccatura della lanterna: man mano che l’aria all’interno si riscalda, il pallone sale, e quando la torcia si spegne, il pallone scende. Ma non c’è modo di controllare la traiettoria di una lanterna volante, né di farle trasportare dei passeggeri, o anche solo dei pesi.
Il primo ad affrontare il problema del trasporto aereo in maniera sistematica fu Leonardo da Vinci, che nel Codice sul volo degli uccelli (1505) riassunse osservazioni e idee che lo avevano impegnato per una ventina d’anni. Il codice, benché solo abbozzato e schizzato, enuncia chiaramente il principio che gli uccelli volano sfruttando la resistenza dell’aria, e osserva esplicitamente che “con le ali e con la coda l’uccello fa nell’aria la stessa cosa che il nuotatore fa nell’acqua con le braccia e con le gambe”, istituendo così un parallelo esplicito tra il nuoto e il volo, e suggerendone uno implicito tra la navigazione e l’aeronautica.
Leonardo sottolinea la differenza tra il volo librato e il volo battente negli uccelli, consistente nel fatto che il primo sfrutta passivamente l’energia delle correnti d’aria, mentre il secondo genera attivamente energia tramite il battito delle ali. E suggerisce la possibilità di costruire una macchina che sia in grado di simulare il volo degli uccelli, ispirandosi da un lato al nibbio, per il tipico modo di volare dei rapaci, e dall’altro lato al pipistrello (che in realtà non è un uccello), per la struttura a membrana delle sue ali:
Il nibbio e gli altri uccelli che battono poco le ali cercano il corso del vento: quand’esso spira in alto, li si vedono volare a grandi altezze, ma se spira in basso, stanno bassi anch’essi.
Quando non tira vento, il nibbio batte più volte le ali mentre vola, in modo da potersi sollevare e acquistare impeto. Poi vola a lungo senza battere le ali, perdendo quota, ma quando è sceso troppo torna a battere le ali per risalire, e così via. Questo planare senza batter le ali è un modo per riposarsi dalla fatica fatta nel batterle, pur rimanendo in volo. […]
Nelle ali l’uccello artificiale deve imitare il pipistrello, e collegare la propria armatura allo stesso modo in cui la membrana collega l’ossatura alare del pipistrello. Per imitare gli uccelli si dovrebbe invece ricordare che le loro spesse ali sono fatte di penne e piume, oltre che di ossa e nervi, mentre la sottile membrana del pipistrello è un tessuto continuo che collega il tutto, e non offre spazi permeabili all’aria.
In un’osservazione contenuta nel Codice atlantico, che riunisce appunti e disegni sparsi degli ultimi quarant’anni della sua vita, Leonardo afferma, a proposito dell’uccello a cui si ispirava:
Sembra che sia un mio destino il dover scrivere così distintamente del nibbio, perché nel primo ricordo della mia infanzia mi par di sovvenire che, mentre ero nella culla, un nibbio sia venuto da me, mi abbia aperto la bocca con la coda e me l’abbia sbattuta dentro le labbra più volte.
In Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci (1910) lo stregone viennese Sigmund Freud diede libero sfogo al proprio inconscio, proponendo queste tre interpretazioni della coda del nibbio e del ricordo di Leonardo: un pene, che lascerebbe trasparire il desiderio di un rapporto orale omosessuale; un capezzolo materno, che trasformerebbe la madre in un essere rapace; la lingua materna, che trasformerebbe il figlio in un Edipo baciandolo in bocca.
Mentre l’interpretazione dei sogni e dei ricordi di Freud era un tipico esempio del “volar basso” psicanalitico, l’analisi del volo degli uccelli di Leonardo era invece un atipico esempio del “volar alto” prescientifico. In particolare, mentre Freud guardava indietro di millenni, ai rudimentali miti greci, Leonardo guardava avanti di secoli, all’evoluta aeronautica moderna.
Può darsi che egli stesso abbia provato a realizzare la propria macchina volante, visto che nel Codice sul volo degli uccelli scriveva: “Il grande uccello spiccherà il primo volo sopra il dosso del grande Cècero, riempiendo l’universo di stupore, e i notiziari della sua fama. Sia gloria eterna al nido dove nacque”. Se così fu, il luogo del primo volo umano sareb...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Sorella scimmia, fratello verme
  4. Sorella scimmia, fratello verme
  5. ANIMALI
  6. MICRORGANISMI
  7. CHIMERE
  8. Bibliografia
  9. Tavola dei premi Nobel citati
  10. Copyright