L’amore è un gioco, ci sono delle regole, nessuno me l’ha mai detto prima.
Mi hanno raccontato un sacco di cose, per la verità.
Che quando lo incontrerai ti batterà forte il cuore come se avessi corso per chilometri; che la prima volta che farete l’amore non te la scorderai mai, rimarrà impressa sulla tua pelle come un tatuaggio; che ti sentirai lo stomaco vuoto, sempre; e che dopo averlo conosciuto, vedrai il mondo in modo diverso: la musica nelle cuffie sembrerà sempre la colonna sonora di qualche vostro ricordo.
Questo è quello che so sull’amore, quello che ho appreso dai libri, dai film e dalle storie delle mie amiche.
Ma nessuno mai mi ha detto che se l’amore è un gioco ci sono anche delle regole
Queste sono alcune di quelle che ho imparato da questa storia.
- Non dare fiducia a chi non se la merita.
- Ricordati che le azioni contano più delle parole.
- Se è quello giusto, ama anche i suoi difetti.
- Trova qualcuno che ti faccia sentire bella, sempre. Sia fuori sia dentro.
- Ma soprattutto, fidati solo del tuo istinto.
Probabilmente, se mi fossi annotata sul telefono tutti questi appunti prima di conoscere Brando, la nostra storia non avrebbe vacillato nemmeno un attimo, ci saremmo presi per mano e avremmo camminato insieme, senza soste.
Ma Brando è arrivato nella mia vita troppo presto, forse quando ancora non ero pronta. Dovevo prima fare i conti con me stessa, imparare a credere nella mia capacità di amare.
Tornando indietro avrei cambiato molte cose, riscritto la storia, cestinato tutti i file precedenti come ho fatto con questo romanzo, che ho scritto e riscritto più volte prima di trovare il coraggio di raccontare come è andata davvero.
Lascio la mia storia nelle mani di chi saprà ascoltarla, capirla, senza giudizio.
Perché l’amore è un gioco, ma ogni volta cambia regole.
Le regole della tua storia non sono quelle della mia, solo tu ne sei a conoscenza.
Io e Brando avevamo le istruzioni, gli altri non ne sapevano niente.
E ci hanno solo portati fuori strada.
I nostri sogni sono come i fiori, crescono solo se ce ne prendiamo cura.
Per questo ho tatuata un’orchidea bianca sul polso, è un fiore delicato che muore facilmente, ma se sei premuroso e lo tratti con rispetto sboccerà in tutto il suo splendore. Da quando ero bambina il mio sogno è quello di diventare una stilista, e l’ho sempre tenuto stretto, la mano chiusa a pugno per non lasciarmelo scivolare via. Adesso, seduta in un’aula spaziosa dell’Università di Roma, mi sembra di aver conquistato un pezzetto in più di cielo. Oggi è il mio primo giorno di lezione, e lo attendo da quest’estate quando, in un anonimo pomeriggio estivo, il display del cellulare si è illuminato e io ho ricevuto la mail che mi ha cambiato la vita: ho superato le selezioni per accedere al corso universitario in Moda e stile.
Le lacrime di gioia che ho versato quel giorno avrei voluto conservarle in una bottiglia di vetro, talmente sono state preziose.
Oggi, invece, nessun pianto, solo tanta euforia.
La professoressa entra in aula, ha una borsa rosa antico sottobraccio, il suono dei tacchi scandisce ogni suo passo. Non posso fare a meno di notare com’è vestita: adoro il suo tailleur grigio, riesco pure a scorgere i piccoli bottoni in madreperla che le danno un tocco di stile. Lei appoggia la borsa sulla cattedra, e il brusio che si era creato prima si affievolisce gradualmente.
«Sono la professoressa Martini, mi occupo del corso di storia della moda. Non si diventa stilisti senza conoscere le idee e i gusti di chi ci ha preceduto. Bisogna essere empatici.»
Con la coda dell’occhio guardo la ragazza seduta accanto a me. Quando mi ha chiesto se il posto vicino al mio fosse libero, io ho annuito distogliendo lo sguardo. A volte sono così timida che finisco per apparire maleducata. Mi sistemo una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio, e guardo dritto davanti a me.
«Dovete capire perché vi vestite in un certo modo, cosa influenza le vostre scelte… perché certi colori non si possano abbinare…»
Prendo appunti velocemente, le dita battono rapide sulla tastiera.
«Questo corso sarà una noia mortale, già me lo sento… » sussurra la ragazza seduta accanto a me, ha capelli ricci e un viso tondo, i muscoli delle guance si muovono morbidi, sta masticando una cicca.
Io alzo leggermente lo sguardo. «Non trovi?» ripete, coprendo la voce della professoressa.
«Scusami, sto… prendendo appunti» la interrompo subito, e cerco di recuperare la fine della frase della Martini: «Nell’epoca vittoriana, per esempio, i vestiti avevano più strati…».
«Scusami…» riprende lei, e io mi perdo anche quest’ultima frase.
«… Ma ho saputo che quest’esame è un po’ una cavolata, nel senso, mia sorella che l’ha fatto tre anni fa ha detto…» continua.
«Scusami! Sto prendendo appunti» ripeto. Lei si zittisce immediatamente, e la lezione procede silenziosa.
Mi odio quando faccio così, molto. Ma se questo è davvero il sogno della mia vita, lo devo difendere a tutti i costi, non sono qui per fare nuove amicizie.
Eva, mia madre, sostiene che io sia troppo rigida, che sia troppo poco tollerante. La verità è che sono focalizzata sui miei obiettivi.
La ragazza di fianco a me non prova più a riprendere la conversazione, sputa la cicca su un fazzoletto e tira fuori il cellulare. Io piego leggermente il collo e lascio che i capelli mi nascondano il viso.
«Cinquantanove calorie per biscotto? Ne puoi mangiare massimo quattro di questi, puoi arrivare fino a trecentosettantotto calorie che corrispondono al diciannove per cento del tuo fabbisogno giornaliero» dice Lisa tutto d’un fiato mentre Clara spegne la sigaretta e addenta un biscotto. Lisa non è una fissata con la dieta per l’aspetto fisico, come si potrebbe pensare, è un’atleta promettente e il suo coach la obbliga a seguire un programma molto dettagliato. Se mai, quella che ha problemi con il proprio corpo è Clara.
Dopo la lezione in università avrei preferito tornare a casa per pranzo, e poi mettermi a sistemare e correggere gli appunti. Invece, le mie amiche mi hanno incastrata in un pranzo in trattoria per aggiornarci sui rispettivi primi giorni di università. Ho dimenticato di dirvelo, ma sì, nonostante il mio carattere da orsa, ho delle amiche, solo tre… anche se all’inizio eravamo cinque, con Teresa. E credo che una delle ragioni della nostra amicizia sia dovuta al fatto che ho sempre lasciato copiare Clara, Lisa e Dalila durante i compiti in classe di storia e matematica.
«Quindi se ne mangio tre dimagrisco?» risponde dopo un po’ Clara, indugiando con il quarto biscotto in mano.
«Certo che no, si dimagrisce mangiando sano e facendo sport, non smettendo di mangiare, è ovvio» replica Lisa, piegandosi leggermente in avanti e lasciando intravedere gli addominali sotto il top aderente. Lisa, che per esteso si chiama Elisabetta, come vi dicevo è una campionessa sportiva, per la precisione di salto in alto, ama l’atletica, e in quanto ad autodisciplina è peggio di me con la fissa per i voti alti. Credo che la differenza tra noi due stia tutta nelle nostre famiglie: io ho una mamma e un papà dolci e comprensivi, i suoi genitori la trattano come se fosse un esperimento sociale, cercano di capire quanto in là possano spingersi per ottenere da lei il massimo dei risultati.
«Il giorno che farò sport finirà il mondo, oppure succederà qualcosa di eclatante tipo: “Damiano dei Måneskin che fa coming out facendo a pezzi i nostri buoni propositi di sposarlo”» si intromette Dalila, che è l’unica del nostro gruppo che ha scelto di prendersi un anno sabbatico prima di iscriversi all’università.
«Io vorrei solo essere a Formentera a prendere il sole, ora» si difende Clara, che a parte la scelta di studiare Medicina, non ha molti interessi, anzi, diventa sempre la copia del ragazzo con cui esce al momento, che in questo caso è Lodovico, il suo vicino di casa pariolino, di cui è perdutamente innamorata e succube.
«Comunque, raga, la facoltà di Scienze motorie è meravigliosa, non mi sembra vero di poter finalmente studiare qualcosa che mi interessi sul serio, altro che filosofia o matematica, qualcosa che serva davvero» commenta Lisa. Bevo un sorso d’acqua. Clara annuisce entusiasta. «Anche la mia facoltà è fighissima, lezioni a parte, ho fatto subito amicizia con un paio di ragazze che vorrebbero fare le pediatre, io sinceramente non ho ancora scelto la specializzazione…» Clara ha scelto Medicina perché suo padre è medico, e le sembrava giusto proseguire su quella strada, ma non ha una grande vocazione.
«Ci credo, stai al primo anno» butta lì Dalila, controllandosi lo smalto blu elettrico.
«E tu, Mia? Sono tutte femmine o c’è anche qualche fregno?»
Scuoto la testa, e i capelli rossi si muovono a cascata. «Non ho ancora parlato con nessuno, in realtà.» Evito di aggiungere che l’unica ragazza che ha provato a rivolgermi la parola è stata zittita subito.
«Ti pareva» mi sorride Lisa.
...