“Sto per morire.”
Questo fu il primo pensiero di Nonna svegliandosi quella notte. Stavolta però non era il cancro. Madida di un sudore gelido, il cuore che batteva all’impazzata, barcollò fino all’ingresso e vomitò bile sulla tela cerata.
Si sedette per riprendere fiato. Se i bambini l’avevano sentita, non ne diedero segno. Il che non la sorprese, dato che Juju le aveva tolto la parola da quando avevano lasciato l’Antenna, poche ore prima. L’ingrata.
La luna splendeva ancora alta nel cielo di Truva, e Nonna si trovò sola tra i vicoli del Rione italiano, il torcersi del suo stomaco vuoto come unica compagnia. Avrebbe ucciso per un sorso di Martini. Diamine, avrebbe ucciso anche solo per un bicchiere di collutorio, a questo punto. Tutto, pur di placare quel corpo infame.
Nonna si massaggiò le tempie. Il cancro non era ancora un inquilino così drammatico, mentre la bottiglia, ecco, lei era la più esigente delle stronze.
Doveva distrarsi. Si tastò la giacca cercando la forma familiare dell’anello nella tasca, ma neanche questo stratagemma funzionava più. Aveva puntato tutto sul suo contatto, quell’uomo conosciuto solo virtualmente nei suoi anni al Consiglio che l’aveva aiutata a sfuggire alla Purga con la promessa di portarla in Cina, se solo fosse riuscita a raggiungere Truva. E ora che ce l’aveva fatta, si era volatilizzato.
Il suo stomaco cacciò un lamento. Ecco, come se non bastasse, aveva anche una fame da lupi, solo che i venditori ambulanti a quell’ora dormivano ancora. E poi aveva finito i soldi.
Si fermò. Aveva finito i soldi, sì, ma adesso poteva iniziare a raccogliere like. Con mano tremante, Nonna pescò il dispositivo dalla tasca della giacca e lo accese. C’era odore di cose in bilico quella notte, e l’alba stava lacerando il cielo.
«Benvenuta nella Città della Speranza» intonò una voce di donna. «Sei ufficialmente iscritta al sistema di asilo internazionale. Prima di iniziare, ecco alcuni consigli.»
La Lotteria umana era un concetto semplice, dopotutto. Per controllare il flusso migratorio, Stati Uniti e Cina avevano creato un nuovo sistema per consentire ai rifugiati di chiedere asilo, finanziato dalla rete di campi profughi costruiti da Fortuna in Europa, Asia e Africa. Il mondo di Fortuna si divideva in due categorie: beneficiari e benefattori. I primi dovevano guadagnarsi il favore dei secondi, e per farlo dovevano postare quotidianamente quello che accadeva nelle loro vite e dimostrare il proprio valore. «È un sistema giusto» dicevano, «è equo.» E ne era prova il fatto che ogni giorno, infallibilmente, un vincitore venisse estratto a sorte dalla comunità con più like. Il premio? Il tanto agognato asilo in Cina o negli USA. C’erano più di cento milioni di rifugiati europei nel mondo, ma solo una persona al giorno a Truva aveva la possibilità di liberarsi.
«Consiglio numero uno» disse la voce preregistrata. «Concentrati sugli aspetti positivi. La vita a Truva non è sempre facile, ma è sempre equa. E i benefattori vogliono vedere l’impatto della loro carità. Mostraglielo!»
Nonna roteò gli occhi.
«Numero due. I bambini sono una gioia, e a Truva abbiamo un tasso di natalità che supera quello di qualsiasi Paese europeo nell’ultimo secolo. Per proteggere la loro privacy, non ci è permesso registrare i minori di diciotto anni nel sistema di asilo internazionale. Ma i benefattori amano i loro sorrisi! Coinvolgi i più piccoli nei tuoi video e nelle tue fotografie ogni giorno!»
Nonna rientrò piano nella tenda, lanciò un’occhiata alle schiene di Hans e Juju addormentati e si congratulò della scelta. I benefattori li avrebbero di sicuro apprezzati.
«E per finire» cinguettò la voce, «la gratitudine è il più nobile dei sentimenti. Lo staff di Fortuna lavora senza sosta per la sicurezza, l’accoglienza e la cura dei nostri beneficiari. E i suoi membri sono sempre felici di posare per un selfie insieme. Non essere timida!»
I lampioni si spensero. Il sole stava sorgendo. La tela cerata delle tende rifletteva l’albicocca del cielo, un mare di plastica e polvere, e anche una come Nonna dovette riconoscere la bellezza cromatica della scena.
Scattò una foto e la postò su Fortuna.
Ma non ebbe tempo di compiacersi, perché la bacheca del suo dispositivo era invasa da foto identiche appena pubblicate. Ricevette zero like per il suo primo post.
«Impostori» borbottò rientrando in tenda. Il suo stomaco non la smetteva di lagnarsi, e la sua sete si era fatta ancor più draconiana.
Le venne un’altra idea. I bambini ben visibili alle sue spalle, Nonna attivò la fotocamera interna per un autoscatto. Sorrise persino, per l’occasione. I suoi denti erano sempre stati forti, e ne andava fiera. “Entusiasti di essere nella Città della Speranza” scrisse come didascalia.
Postò la sua seconda fotografia. Una notifica. Pregustando il morso dell’alcol in gola, Nonna la aprì. Ma non erano like, era una segnalazione.
«Per favore, ricorda i nostri consigli» disse la voce preregistrata. «Concentrati sugli aspetti positivi. C’è bellezza ovunque a Truva, se solo uno si ricorda di cercarla. Che ne dici di provare uno dei nostri filtri ringiovanenti?»
Nonna imprecò ad alta voce. Ma come si permettevano, questi…
«C’è qualcosa che non va?»
Era Hans. Si era messo a sedere sulla stuoia e si stava strofinando gli occhi. Era sempre stato un bambino magro, ma ora le clavicole gli spuntavano da sotto la maglietta dandogli un’aria macilenta. Anche Juju era sveglia. Non appena i suoi occhi incrociarono quelli di Nonna, entrambe distolsero lo sguardo. Senza dire una parola, Nonna passò il dispositivo a Hans. Juju si sporse sulla stuoia di lui per vedere lo schermo. E sospirò. Nonna dovette affondarsi le unghie nei palmi per controllare il fastidio che le suscitava.
«Va bene.» Juju prese il dispositivo e si alzò. «Ci provo.» Lo disse a mezza voce, come una bambina che fa i compiti. Uscì.
Nonna dovette sdraiarsi. Le pareva di avere del cemento nel collo, il segnale di un’emicrania in arrivo. Presto avrebbe iniziato a divorarle parte del cervello. Chiuse gli occhi per ritardare il supplizio, ma anche così poteva sentire lo sguardo di Hans puntato addosso. Si morse l’interno della guancia, imponendo a se stessa di ignorarlo.
Maledizione.
«Cosa?» disse, aprendo gli occhi.
Hans la scrutò. «Sei inutile così» disse. «Noi abbiamo bisogno di te.» Poi si alzò e uscì a sua volta.
La Purga.
Le porte sfondate e i vicini trascinati via per i capelli.
Il viaggio.
I corpi alleggeriti dei loro organi, lasciati a marcire nei boschi.
E poi l’autocommiserazione, il fatalismo, la disperazione. Il solito, insomma. I sogni di Nonna non erano mai stati esattamente degli sketch comici, ma da quando era arrivata a Truva erano peggiorati. Forse era il peso di sentirsi al sicuro dopo tanto tempo. In ogni caso, era sempre felice di riaprire gli occhi.
Fu un fruscio a svegliarla stavolta. Hans era tornato, portava con sé una borsa di carta. Accucciato sulla sua stuoia, le dava le spalle rovistandoci dentro.
«Dove hai rubato quella roba?» gli chiese, la voce impastata.
Lui non si voltò. «Non l’ho rubata.» Tirò fuori una bottiglia. «E non è roba.» Era una bottiglia di alcol, e non una piccola ma da un litro intero.
Nonna scattò a sedere. «Dove l’hai trovata?»
«L’ho fatta io.» Sorrise. «È changaa, lo preparavamo spesso in strada. Ti fa dimenticare la fame e il freddo. Ho trovato un gruppo di ragazzi qualche tenda più in là, lo stavano miscelando in una pozzanghera. Mi sono offerto di dare una mano in cambio di una bottiglia.»
Nonna allungò il braccio, ma Hans allontanò la bottiglia.
«Non ti ubriachi» disse, serio. «Ne bevi abbastanza da tornare a funzionare, poi vai dal manager e mantieni la tua parte dell’accordo. E ci tiri fuori di qui.» Una pausa. «E poi smetti di bere.»
Nonna rise. Hans no.
«Fuori dalle palle» disse la vecchia, cercando di afferrare la bottiglia.
Ma Hans era veloce, scivolò lontano dalla sua presa. Sollevò la bottiglia sopra la testa e, senza una parola, minacciò di lasciarla cadere. «Prometti.»
Per un secondo, Nonna sentì il bisogno irrefrenabile di prenderlo a pugni. Invece si impose la calma, fece un sospiro e annuì. Hans le passò il changaa e lei ingollò un lungo sorso. Si sentì subito meglio. Ne prese un altro.
«Basta così» disse Hans.
Nonna si fermò. Nel silenzio che seguì, gli restituì la bottiglia. «Sei un piccolo bastardo, lo sai?»
«Sì.»
Eppure aveva ragione, e Nonna lo sapeva. La loro storia non avrebbe superato un’investigazione, e di sicuro il test del DNA era dietro l’angolo. Avevano i giorni contati. Nonna doveva fare qualcosa, come aveva promesso.
«Allora?» chiesero entrambi a Juju, vedendola rientrare in tenda. «Hai avuto fortuna?»
Juju non rispose, non alzò neanche lo sguardo. Le passò il dispositivo e Nonna controllò il suo profilo. Aveva postato un autoscatto con una didascalia talmente lunga che a chiunque sarebbe passata la voglia di leggerla, e nella foto aveva una faccia da funerale, come se stesse recriminando qualcosa al mondo.
“Questa ragazza deve darsi una svegliata” pensò Nonna scuotendo il capo.
Sette like, però. Abbastanza per andare e tornare dall’Antenna, e per comprare un po’ di farina per cena.
Il sole rimbalzava violento sui vetri dell’Antenna. Nonna studiò la situazione. La prima volta che aveva tentato di entrare si era buttata a capofitto, dicendo alle guardie che il manager la stava aspettando. Ci avevano messo pochi secondi a verificare che non era così. Stavolta sarebbe andata diversamente.
Attese che le porte si aprissero e che uno dei nuovi arrivati strizzasse gli occhi guardando Truva per la prima volta. Era solo un ragazzo, una leggera peluria a macchiargli mento e guance, i capelli ancora bagnati dalla doccia disinfettante e il foglietto con il numero di tenda stretto in mano. Le fece pena, ma solo per un momento.
Si strinse nella giacca per nascondere i vestiti stracciati e si avvicinò. «Benvenuto» disse. «Ti stavamo aspettando. Posso vedere la tua ubicazione?»
Il ragazzo strinse il pugno intorno al foglietto, indietreggiò. A giudicare dai suoi lineamenti, doveva essere greco.
«Niente paura, amico mio.» Nonna snudò i denti nel migliore dei suoi sorrisi. «Sono una di loro. O meglio, sono metà e metà. Faccio l’interprete e sono qui per aiutare.» Fece un cenno del capo verso la punta dell’Antenna e aggiunse: «Mi ha mandato il grande capo».
Il ragazzo diffidava, glielo si leggeva ovunque. Nonna tirò un sospiro un po’ teatrale e gli mostrò il suo profilo su Fortuna. Gli sventolò il dispositivo sotto il naso per un secondo, senza dargli il tempo di guardare davvero, come un poliziotto che mostri il distintivo.
«Lo vedi? Il mio profilo è verificato» mentì. «Se non ti fidi di noi, di chi ti fidi?»
Il ragazzo sembrò rilassarsi un poco. Fece un passo a...