È lunedì mattina e in TV danno Motus. Sto frullando i porri quando bussano alla porta. Può essere soltanto la postina, non ho dubbi: solo lei sa che abbiamo disattivato il campanello per scoraggiare i venditori di tapparelle o verità rivelate. Mi asciugo le mani sul grembiule, vado ad aprire e davanti mi ritrovo il faccione rubicondo di Gustave che mi sorride.
«Cosa vuole?»
«Certo che è sempre gentile lei, Marceline.»
«Mi alleno molto.»
«Avrei fatto volentieri a meno di passare, mi creda, ma sta succedendo qualcosa di molto grave che ci riguarda tutti.»
Valuto la possibilità di chiudergli la porta in faccia, ma ormai la mia curiosità è stata solleticata.
«La ascolto.»
Il vicino assume un’espressione da annuncio della fine del mondo e si china verso il mio orecchio, immagino lo faccia per assicurarsi che i merli del giardino non sentano nulla.
L’espressione non era sbagliata. La fine del nostro mondo è vicina.
Quando Gustave se ne va, mi rimetto a preparare il passato di porri. Le mani lavorano, ma la testa è altrove.
Via dei Colibrì è una viuzza in cui va solo chi ci abita, un vicolino cieco tranquillo e appartato. Ci sono sei case le cui facciate, adornate ciascuna da una porta e due finestre, sembrano volti impassibili. Dietro quei muri scorrono delle vite.
Quella di Gustave al 2.
Quella di Rosalie al 3.
Quella di Joséphine al 4.
Quella di Marius al 5.
Al 6 non c’è nessuno.
Quella mia e di Anatole all’1.
Le nostre vite abitano in via dei Colibrì da sessantatré anni.
Anatole è chino sulle parole crociate.
Da qualche giorno la sua mano destra ha iniziato a irrigidirsi. Lui ci scherza su, dice che finalmente la sinistra si renderà utile, dopo una vita passata nell’ombra.
Ogni volta che tenta di sdrammatizzare, io mi sforzo di sorridere, ma oggi proprio non ce la faccio. Mio marito se ne accorge.
«Gustave ti ha fatta arrabbiare?»
«Gustave fa arrabbiare anche il suo specchio, fa’ un po’ tu…»
«Che cosa voleva? È da anni che non mette piede qui, avrà avuto delle buone ragioni.»
Esito. Temo che la cattiva notizia possa peggiorare il suo stato. Ma il suo sguardo non mi lascia scelta. Gli appoggio davanti il piatto colmo di passato di porri e dico con tono distaccato: «Vogliono radere al suolo via dei Colibrì».
Ho vent’anni. Anatole porta le due valigie in cui è racchiusa la nostra vita. Lui ha fretta. Io sono impaziente.
Finora abbiamo vissuto da sua madre, per la quale la nostra privacy non era precisamente una priorità. Ogni mattina, Geneviève veniva a grattare alla porta di camera nostra per ricordare a me che era ora di mettersi ai fornelli. Guidata dai suoi consigli, preparavo la colazione per il figlio e il pranzo che si sarebbe portato al lavoro. Ogni sera, quando mio marito tornava a casa, ero un po’ più dotta del giorno prima in materia di cucito, cucina o pulizia dell’argenteria.
Mia sorella Lucie si stupiva che io accettassi quella presenza. Non sono mai riuscita a confessarle che in realtà mi rassicurava: l’idea di vivere da sola con Anatole mi terrorizza.
Ormai camminiamo da dieci minuti buoni e lui ha la fronte imperlata di sudore.
«L’ultima volta mi sembrava che la fermata del bus fosse più vicina» sospira.
«Vuoi che prenda una valigia?»
«Non ci pensare nemmeno, tesoro.»
Non ho mai visto la casa nella quale stiamo per traslocare. Anatole non ha avuto tanto tempo per rifletterci: c’erano molti più potenziali acquirenti che case disponibili. Ha firmato subito dopo la visita e ci ha dato la notizia la sera stessa, a cena. Sua madre ha voluto sapere le dimensioni della cucina.
Anatole ha fatto uno schizzo, in modo che potessi farmi un’idea. Il soggiorno affaccia su un giardino dove vorrebbe allestire una veranda. Ci metterò un tavolo per i giorni di bel tempo. Al piano di sopra ci sono le stanze, la più grande delle quali dà sulla piazza.
La piazza, eccola qui di fronte a me. Un immenso tappeto verde di erba e pratoline, al centro del quale tre enormi abeti si lasciano accarezzare dal vento primaverile. Tutt’intorno i pruni danzano in un’esplosione di fiori rosa.
«Ti piace?»
«È bellissimo!»
«La nostra casa è giusto lì.»
Via dei Colibrì. Il civico 1 è all’angolo: un cubo bianco posato su un quadrato di verde. Sento lo sguardo di mio marito su di me. Spia la mia reazione. Io ordino al mio cervello un sorriso, ed ecco che quell’infame mi spedisce delle lacrime. Anatole posa le valigie e mi prende delicatamente per le spalle.
«Che succede, tesoro?»
Per tutta risposta tiro su col naso facendo un delicato grugnito.
«Non vuoi più vivere con me?»
«Certo che sì!» riesco ad articolare tra un singhiozzo e l’altro.
«E allora perché piangi?»
Prendo dalle sue mani il fazzoletto con le iniziali ricamate e mi asciugo lacrime e naso.
«Voglio vivere con te, Anatole. È solo che ho una paura terribile. Non sono sicura che sarò una moglie alla tua altezza.»
Anatole aggrotta le sopracciglia. Avrei fatto meglio a tacere. Mio padre lo diceva sempre che parlavo a sproposito.
Senza dire una parola, mio marito va verso la porta di casa e la apre. Mi lascia entrare per prima. Il soggiorno è più piccolo di come me lo aspettavo, ma è inondato di luce. Il linoleum beige è accogliente. Passo tutte le stanze, ripetendomi che quella è casa mia, senza però riuscire ancora davvero a sentirlo. Nell’aria c’è un odore di pittura e di colla che presto scomparirà, sostituito dal nostro. A poco a poco mi rilasso. Immagino i mobili, visualizzo le tende, mi figuro le risate dei bambini. Saremo felici, qui.
La voce di Anatole mi riporta al presente.
«Non devi preoccuparti, tesoro.»
Gli appoggio la testa sulla spalla. Di fronte a noi la finestra è aperta, spalancata sulla piazza fiorita, e il suo braccio mi stringe dolcemente le spalle.
«Non devi preoccuparti, tesoro» ripete. «Se non sei una moglie all’altezza, lo diventerai.»
Arriviamo per ultimi perché Anatole ci teneva a venire senza la sedia a rotelle. Naturalmente, Gustave non può esimersi dal commentare: «Ah! Eccovi qui! Ancora un minuto e mi addormentavo».
«Allora torno tra un minuto» rispondo, girandomi verso l’uscita.
Mio marito mi trattiene per un braccio: ha passato due giorni a convincermi a venire, ma non certo per vedermi andare via a un metro dal traguardo.
Marius ha stabilito che fosse necessario incontrarsi e così eccoci qui ...