L'isola del tesoro
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L'isola del tesoro

  1. 272 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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L'isola del tesoro

Informazioni su questo libro

Un tesoro nascosto su un'isola in mezzo all'oceano, il giovane e coraggioso Jim Hawkins, il pirata Long John Silver e la sua gamba di legno: i luoghi e i protagonisti dell'Isola del tesoro sono entrati a far parte dell'immaginazione di giovani e adulti di ogni generazione, e il viaggio dell'Hispaniola alla volta dell'isola rappresenta ancora oggi il punto di riferimento imprescindibile per qualunque storia di mare e di pirati. Tra pericoli, tradimenti e duelli all'ultimo respiro, il capolavoro di Stevenson ci guida, attraverso la crescita di Jim, alla scoperta di quello stupore intriso di sgomento che comporta il passaggio all'età adulta e, soprattutto, ci fa vivere l'emozione di un'avventura senza tempo capace di unire in modo perfetto la magia del mare e l'euforia della libertà.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2020
Print ISBN
9788817861694
eBook ISBN
9788831800716
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici
PARTE SESTA

IL CAPITANO SILVER

XXVIII

NEL CAMPO NEMICO

Il rosso bagliore della torcia, illuminando l’interno del fortino, confermò i miei sospetti. I pirati erano in possesso della casa e delle provviste; c’era il barile del cognac, c’erano la carne di maiale e il pane, come prima; e, ciò che duplicava il mio terrore, nessuna traccia di prigionieri. Non potevo che supporre che fossero periti tutti quanti e il cuore mi rimordette penosamente per non essere stato là a morire con loro.
I filibustieri erano sei in tutto; nessun altro era rimasto vivo. Cinque di essi, risvegliati all’improvviso dal primo sonno dell’ubriachezza, stavano in piedi rossi e gonfi. Il sesto si era alzato soltanto sul gomito: era mortalmente pallido e la fascia chiazzata di sangue attorno al capo dimostrava che era stato ferito di recente e ancor più recentemente medicato. Ricordai l’uomo che durante il grande attacco era stato colpito ed era fuggito nei boschi, e non ebbi dubbi che fosse lui.
Il pappagallo si lisciava le penne, appollaiato sulla spalla di Long John. Anche lui, pensavo, sembrava più pallido e rigido del consueto; indossava ancora l’abito di lana con cui era venuto a parlamentare, ma era assai più logoro, imbrattato di fango e lacerato dai pungenti rovi del bosco.
«Alla malora!» esclamò. «Dunque, ecco Jim Hawkins! Pare che tu sia venuto a farci visita, eh? Bene, accomodati, prendo la cosa amichevolmente.»
Ciò dicendo si sedette sul barile d’acquavite e incominciò a riempire la pipa.
«Allungami un po’ la torcia, Dick» disse; poi, quand’ebbe accesa la pipa, aggiunse: «Così va bene, ragazzo; pianta il tizzone nella catasta della legna, e voi, signori, accomodatevi, non occorre stare in piedi con il signorino Hawkins; lui vi perdonerà, siatene certi. E così, Jim,» proseguì premendo il tabacco «eccoti qua a fare una sorpresa davvero grata al povero vecchio John. Avevo capito che eri un ragazzo in gamba quando ti misi gli occhi addosso per la prima volta; ma adesso, ti confesso, è più di quanto avessi pensato».
A tutto ciò, come potete ben supporre, non diedi risposta. Mi avevano messo con le spalle al muro e io stavo lì, a guardare Silver in faccia con fare forse apparentemente abbastanza ardito, ma con la più cupa disperazione in cuore.
Silver tirò con tutta calma una boccata o due dalla pipa, quindi riprese:
«E ora, Jim, giacché ti trovi qui, ti dirò il mio pensiero. Mi sei sempre stato simpatico perché ti ho considerato un ragazzo di spirito e proprio il ritratto di me stesso quand’ero giovane e bello; ho sempre desiderato che ti unissi a noi e avessi la tua parte per morire da gentiluomo, e ora, cocco mio, ci sei arrivato. Il capitano Smollet è un buon marinaio, e lo riconoscerò sempre; ma, quanto a disciplina, è troppo severo. “Il dovere è dovere”, dice, e ha ragione, ma bada di stare alla larga dal capitano. Lo stesso dottore ce l’ha a morte con te: “ingrato briccone”, ecco ciò che ha detto, e per farla breve la conclusione di tutta la storia è questa: non puoi tornare dai tuoi amici perché non ti vogliono, e a meno che tu non costituisca un terzo equipaggio da te (che sarebbe alquanto misero) dovrai unirti al capitano Silver.»
Fin qui tutto bene. I miei amici allora erano ancora vivi, e benché io credessi solo parzialmente alla veridicità dell’affermazione di Silver, e cioè che quelli del partito della cabina fossero adirati contro di me per la mia diserzione, ciò che udii più che scoraggiarmi mi procurò sollievo.
«Non dico nulla quanto al fatto che sei nelle nostre mani,» proseguì Silver «ma qui ci sei e ci rimani. Io sono per il ragionamento; non ho mai visto uscire alcunché di buono dalle minacce. Se il servizio ti garba, ebbene, ti unirai a noi; e, se non ti piace, be’ sei libero di dire di no, libero e benvenuto, amico; che io vada in malora se esiste un marinaio capace di parlar meglio di me!»
«Allora debbo rispondere?» gli chiesi con voce molto tremolante.
Durante tutto il suo beffardo discorso sentivo che la minaccia di morte incombeva su di me, le gote mi ardevano e il cuore mi batteva affannosamente in petto.
«Ragazzo,» soggiunse Silver «nessuno ti sollecita. Considera il tuo stato: nessuno di noi vuol farti premura, amico; il tempo, vedi, scorre così piacevolmente in tua compagnia.»
«Ebbene» continuai, facendomi un poco più ardito, «se devo scegliere, dichiaro che ho il diritto di sapere come sono andate le cose, e perché voi siete qui e dove sono i miei amici.»
«Come sono andate le cose?» ripeté uno dei filibustieri con un minaccioso brontolìo. «Sarebbe ben fortunato chi lo sapesse.»
«Tu farai meglio a tenerti i boccaporti chiusi fino a che non ti si rivolgerà la parola, amico!» urlò Silver ferocemente all’interlocutore. Indi, assumendo il tono gentile di prima, mi rispose:
«Ieri mattina, signorino Hawkins, durante la mezza guardia, il dottor Livesey venne qui con la bandiera bianca. “Capitano Silver,” disse “siete spacciato: la nave se n’è andata.” Be’, forse avevamo bevuto un bicchiere, e l’avevamo accompagnato con una canzone; non dico di no; e nessuno di noi aveva guardato fuori. Quando guardammo, per tutti i diavoli, la vecchia caravella se n’era andata. Non ho mai visto una banda di idioti dall’aria più inebetita, e puoi credermi se ti dico che avevamo l’aria più incretinita del mondo. “Bene,” disse il dottore “vogliamo venire a patti?” Venimmo a patti, lui e io, ed eccoci qui con le provvigioni: acquavite, fortino, la legna da ardere che voi con sufficiente previdenza avete tagliato, e, per così dire, tutta quella benedetta nave, dalle crocette alla controchiglia. Quanto a loro, se ne sono andati e non so dove siano.»
Riprese tranquillamente a fumare la pipa.
«E perché tu non ti metta in testa di essere compreso nel contratto,» proseguì «ecco le ultime parole: “Quanti siete, voi,” chiedo “ad andarvene?”. “Quattro” risponde lui: “quattro, con un ferito. Quanto al ragazzo, non so dove sia, che il diavolo se lo porti,” dice “né m’importa molto saperlo: siamo arcistufi di lui”. Queste furono le sue precise parole.»
«È tutto?»
«Be’, è tutto quel che devi sapere, figliolo» rispose Silver.
«E adesso devo scegliere?»
«Adesso devi scegliere, puoi star sicuro» aggiunse Silver.
«Be’, non sono poi tanto sciocco da non sapere perfettamente ciò che mi debbo aspettare. Accada pure il peggio, poco me ne importa: ho visto troppa gente morire dal momento in cui vi ho incontrato. Ma c’è una cosa o due che debbo farvi sapere» e, ciò dicendo, ero molto eccitato, «e la prima è questa: eccovi qui in una situazione disastrosa: nave perduta, tesoro perduto, uomini perduti: tutta la vostra impresa naufragata; e, se volete sapere chi l’ha fatta naufragare, ecco, sono stato io. La notte in cui avvistammo terra, io ero nel barile delle mele e ascoltai voi, John, e voi, Dick Johnson, e Hands che adesso è in fondo al mare, e prima che un’ora fosse trascorsa avevo riferito ogni vostra parola. Quanto alla goletta, sono stato io a tagliare il cavo, io a uccidere gli uomini che avevate a bordo, io che l’ho condotta dove nessuno di voi la rivedrà più. Sta a me ridere, adesso; ho avuto la parte più importante in questa faccenda, sin dall’inizio, e non vi temo più di una mosca. Uccidetemi, se vi pare, o risparmiatemi; ma vi dico una cosa e basta: se mi risparmierete, il passato è passato, e quando comparirete in giudizio accusati di pirateria, vi difenderò come meglio potrò. A voi la scelta. Se ne ammazzate un altro, non ne trarrete nessun beneficio; se mi risparmiate, avrete un testimone che vi salverà dalla forca.»
M’interruppi perché vi confesso che mi mancava il respiro. Con mia grande meraviglia nessuno si mosse, ma restarono tutti seduti a fissarmi come altrettante pecore. Mentre stavano ancora fissandomi ripresi:
«E ora, signor Silver, credo che voi siate il migliore fra costoro; e, se le cose dovessero volgersi al peggio, vi sarò grato se farete sapere al dottore come mi sono comportato.»
«Me ne ricorderò» disse Silver con un accento così strano che, in fede mia, non avrei potuto stabilire se ridesse della richiesta o fosse stato favorevolmente colpito dal mio coraggio.
«Vi dirò inoltre» urlò il vecchio marinaio dalla faccia color mogano chiamato Morgan, che avevo visto nell’osteria di Long John sulla banchina di Bristol, «che è stato lui a riconoscere Cane Nero!»
«Be’, guardate qua» soggiunse il cuoco di bordo. «Ve ne dirò un’altra, corpo di mille bombe: è stato questo stesso ragazzo a trafugare la carta di Bill Bones. Dal primo all’ultimo abbiamo urtato contro Jim Hawkins!»
«Allora, ecco dove lo mando!» disse Morgan con una bestemmia; e balzò in piedi, sfoderando il coltello con giovanile baldanza.
«Alto là!» urlò Silver. «Chi sei tu, Tom Morgan? Credi forse di essere il capitano, qui? Per tutti i diavoli, t’insegno ben io! Non fare a modo mio, e andrai dove tanti brav’uomini sono andati prima di te, dal primo all’ultimo, da trent’anni in qua, chi in cima al pennone, per la miseria, altri fuori bordo, e tutti a ingrassare i pesci. Non c’è mai stato nessuno che mi abbia guardato negli occhi e abbia poi visto un giorno felice, Tom Morgan, puoi starne certo!»
Morgan si fermò, ma fra gli altri si levò un roco mormorio.
«Tom ha ragione» disse uno.
«Sono stato tormentato abbastanza» soggiunse un altro. «Che io possa finire impiccato se subirò le vostre angherie, John Silver.»
«C’è qualcuno tra voi, gentiluomini, che desidera spiegarsi con me?» ruggì Silver chinandosi in avanti sul barilotto con la pipa ancora accesa nella destra. «Spiegate quel che volete, non siete muti, suppongo; e chi desidera qualcosa sarà accontentato. Ho forse vissuto tanti anni per vedermi mettere, proprio alla fine dell’impresa, il bastone fra le ruote dal figlio d’un barile di rum? Voi conoscete l’usanza: vi dite tutti cavalieri di ventura; bene, sono pronto. Chi osa, prenda un coltellaccio, e io, a dispetto della gruccia e del resto, vedrò il colore delle sue budella prima d’aver finito questa pipata.»
Nessuno si mosse; nessuno rispose.
«Ecco di che razza siete, non è così?» soggiunse rimettendosi la pipa in bocca. «Be’, in ogni caso siete uno spettacolo divertente. Non troppo valorosi in battaglia, direi; ma forse capirete l’inglese di re Giorgio. Io, qui, sono il capitano per elezione; qui sono il capitano perché vi supero di un buon miglio. Non volete battervi come dovrebbero dei cavalieri di ventura, e allora, per mille fulmini, obbedirete, ve lo assicuro. Bene, questo ragazzo mi piace: non ne ho mai visto uno migliore; è più uomo di quanto non sia un qualsiasi paio di conigli par vostro e di quanti siete qui dentro, e vi dico questo: voglio vedere chi di voi oserà mettergli le mani addosso, ecco che cosa vi dico, potete prenderne nota.»
Seguì un lungo silenzio. Io stavo in piedi, addossato al muro; il cuore mi continuava a martellare impetuosamente, ma era illuminato da un raggio di speranza. Silver si appoggiò contro il muro con le braccia conserte, la pipa all’angolo della bocca, calmo come fosse in chiesa; tuttavia i suoi occhi vagavano furtivi e seguivano sottecchi gl’indisciplinati compagni. Questi, intanto, si erano radunati a poco a poco verso l’estremità del fortino, e il sommesso brusio delle loro voci mi suonava di continuo nelle orecchie come un ruscello. L’uno dopo l’altro alzavano gli occhi, e la luce rossa della torcia si posava un attimo su quei visi eccitati; però non verso di me, ma verso Silver volgevano gli sguardi.
«Pare che abbiate molte cose da dirvi!» osservò Silver, sputando lontano nell’aria. «Parlate in modo che possa sentire anch’io, altrimenti state zitti.»
«Domando scusa, capitano,» replicò uno «ma voi prendete troppo alla leggera certe nostre regole; fareste bene a badare al resto. L’equipaggio è scontento; questo equipaggio non vuol essere intimorito con le minacce, questo equipaggio ha gli stessi diritti degli altri, e mi prendo la libertà di dirlo; inoltre, secondo le vostre stesse regole, noi abbiamo il diritto di chiacchierare fra noi. Vi chiedo scusa, capitano, e vi riconosco come il nostro attuale comandante, ma reclamo i miei diritti, e vado fuori a tener consiglio.»
Con un irreprensibile saluto marinaro costui, un tale di trentacinque anni, alto, dagli occhi gialli e dall’aspetto sgradito, si avviò indifferente verso la porta e disparve; gli altri ne seguirono l’esempio, uno alla volta, e ciascuno passando salutava e aggiungeva qualche scusa.
«Secondo le regole» disse uno.
«Consiglio di prora» confermò Morgan.
E così, con un commento o con l’altro, uscirono tutti, lasciando Silver e me soli con la torcia.
Il cuoco di bordo si tolse immediatamente la pipa di bocca.
«Ora ascolta bene, Jim» disse con voce ferma, ma così sommessa che era appena udibile. «Sei a mezzo passo dalla morte e, ciò che è molto peggio, dalla tortura. Stanno per disfarsi di me, ma ricorda che io ti resterò al fianco in qualsiasi evenienza: non ne avevo l’intenzione, non l’avevo davvero, prima che tu parlassi; ero proprio disperato di perder tutto quel denaro e di esser impiccato, per giunta. Ma ho visto che sei di buona razza e mi son detto: “Appoggia Jim Hawkins, John, e Hawkins appoggerà te; tu sei la sua ultima carta e, corpo di mille bombe, John, egli è la tua. A fianco a fianco, ti dico: tu salvi il tuo testimone, e lui ti salverà la testa”.»
Cominciavo vagamente a capire.
«Volete dire che tutto è perduto?» chiesi.
«Sì, proprio così,» rispose «la nave è partita, e la testa altrettanto: questa è la faccenda. Quando ho guardato la baia e non ho visto la goletta… be’, Jim, nonostante tutto mi sono dato per vinto. Quanto a quella cricca e al consiglio, dai retta a me, sono tutti stupidi e vigliacchi. Io ti salverò da loro, se mi sarà possibile; ma ascolta, Jim, in compenso tu salverai Long John dalla forca.»
Ero perplesso; mi pareva una cosa così disperata quella che mi chiedeva, lui, il vecchio filibustiere, lui che era sempre stato il caporione.
«Quello che potrò fare, lo farò» risposi.
«D’accordo» esclamò Long John. «Tu parli da coraggioso e, per mille fulmini, io ho ancora una probabilità.»
Si avviò zoppicando verso la torcia, fissata nella catasta di legna, e riaccese la pipa.
«Comprendimi, Jim,» disse ritornando «io ho la testa sulle spalle, ho. Sono dalla parte del cavaliere, adesso; so che hai portato la nave in salvo in qu...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. «Pezzi da otto! Pezzi da otto!». Stevenson, i tesori sepolti e un pappagallo che bestemmia. di Rocco Coronato
  5. L’ISOLA DEL TESORO
  6. Nota del traduttore
  7. Al compratore esitante
  8. Parte prima. Il vecchio bucaniere
  9. Parte seconda. Il cuoco di bordo
  10. Parte terza. La mia avventura a terra
  11. Parte quarta. Il fortino
  12. Parte quinta. La mia avventura in mare
  13. Parte sesta. Il Capitano Silver