Good Luck Girl
eBook - ePub

Good Luck Girl

La notte della fortuna

  1. 416 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Good Luck Girl

La notte della fortuna

Informazioni su questo libro

Le chiamano ragazze della Buona Fortuna, ma tutti ad Arketta sanno che quelle ragazze sono tutto tranne che fortunate: vendute ancora bambine a una "casa di benvenuto", marchiate con un tatuaggio maledetto e intrappolate in una vita che non avrebbero mai scelto.
Quando una di loro uccide accidentalmente un uomo per legittima difesa, fuggono in cinque dalla casa di benvenuto e intraprendono un viaggio pericoloso e impossibile alla ricerca della libertà, della giustizia e della vendetta, in un mondo che ha negato loro ogni diritto.
Inseguite dai poteri più corrotti e malvagi di Arketta, la loro unica speranza è riposta in una storia della buonanotte tramandata da una ragazza della Buona Fortuna all'altra, una storia a cui solo le più giovani e disperate tra loro sono disposte a credere.
Perché possano sopravvivere, non basterà la buona fortuna. Servirà tutta la forza della loro amicizia. "Atmosfere fantasy e western si fondono in questa storia che parla di disparità di genere e classe, ma soprattutto di forza interiore, del superamento delle difficoltà e del potere salvifico della sorellanza."

— Shelf Awareness

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2020
Print ISBN
9788817147590
eBook ISBN
9788831800877

1

Dodici ore prima

Aster si sentiva prudere la mano. Avrebbe voluto stringere un coltello, ma si accontentò di chiuderla a pugno.
Si appostò nell’angolo della camera da letto color prugna, osservando Mamma Fleur mostrare a Clementine il lusso del suo nuovo alloggio – un contrasto stridente con la rozza camerata in cui dormivano le ragazze del mattino. Aster inghiottì amaro vedendo che Clementine si lasciava abbindolare. Come per ogni ragazza della Buona Fortuna, il sedicesimo compleanno di Clem stava per iniziare con una festa di benvenuto nel mondo delle ragazze della sera, e sarebbe finito qui, in questa stanza, con la sua Notte della Fortuna.
Era quest’ultimo pensiero ad aver fatto desiderare ad Aster un’arma: il pensiero di sua sorella intrappolata qui dentro con uno dei vermi che frequentavano la casa di benvenuto. Ma sarebbe stato inutile ribellarsi a quel che stava per succedere. Perché bastava una parola fuori luogo, e gli aguzzini le avrebbero devastato la mente. Una ragazza doveva rubare il suo briciolo di felicità di nascosto da tutti. Era così che lei aveva vinto.
Mamma Fleur si schiarì la voce, come se avesse notato il silenzio glaciale di Aster. «Aster, non ho dubbi che quel muso ormai ti resterà incollato in faccia, ma faresti bene a mostrare un po’ più di entusiasmo per il grande giorno di tua sorella» la ammonì.
Clementine guardò timidamente Aster. «È solo che al mattino è sempre di cattivo umore» spiegò, impaurita. «È fatta così. Aster, fai un sorriso a Mamma Fleur.»
Aster si girò verso Mamma Fleur e scoprì i denti. Mamma Fleur strinse le labbra in una linea sottile. Aster conosceva bene quello sguardo di disappunto. Non era mai stata una delle favorite della maîtresse. Non perché si fosse mai comportata male apertamente – non avrebbe mai dato a Mamma Fleur la soddisfazione di punirla – ma perché era sempre stata come il pugno che teneva lungo il fianco. Teso, ostile. Pronto a colpire.
Negli ultimi giorni quel risentimento sottotraccia si era arroventato. Aster non aveva mai dimenticato la sua Notte della Fortuna, poco più di un anno prima, quando Mamma Fleur l’aveva venduta a un uomo smilzo dagli occhietti acuti, viscido come una biscia. Le aveva assicurato che la notte in cui sarebbe diventata donna sarebbe stata la notte più esaltante della sua vita.
Non era diventata donna. Era diventata un’ombra con la bile al posto del sangue e un pozzo di vergogna nel cuore. L’unica cosa che l’aveva trattenuta dal precipitare in quel pozzo era sapere che Clementine aveva bisogno di lei.
Aster non aveva mai creduto possibile sentirsi più indifesa di come si era sentita lei quando si era trovata nelle mani di quel primo uomo. Si sbagliava. Questo era peggio.
«Direi che mi devi delle scuse, Aster, non ti pare?» insisté Mamma Fleur, visibilmente contrariata. «O devo dire due paroline a Dex?»
Il capo degli aguzzini.
Aster distese le dita.
«Le chiedo scusa, Mamma Fleur» bisbigliò. «Clem ha ragione. È molto tempo che non mi alzo così presto.»
Mamma Fleur le lanciò uno sguardo lungo e severo, ma lasciò perdere. «Be’, poltrire alla mattina è uno dei tanti privilegi delle ragazze della sera che Clementine non vede l’ora di provare» disse, con brio forzato. «Ora devo scendere al piano di sotto per aprire la casa. Ma puoi assicurarmi che aiuterai tua sorella a finire di prepararsi?»
«Lo farò con piacere.»
Mamma Fleur mantenne il suo cipiglio ancora un momento, poi si voltò ed elargì a Clementine un sorriso radioso.
«Bene, allora buon compleanno, Clementine» disse in tono solenne. «Vi rivedrò entrambe a colazione.»
Le lasciò sole.
Appena Mamma Fleur fu uscita, Clementine emise uno strillo beato e balzò all’indietro sul letto. La gonna dell’abito giallo da giorno le si gonfiò intorno come una campana.
«Per il Velo! Questa stanza è degna di una principessa! A occhio e croce sarà anche più grande della tua.»
Aster sorrise malgrado i suoi timori. Incrociò le braccia. «Ah sì? La mia ha le finestre e io qui non ne vedo. Ma di sicuro è più grande. Sei la solita viziata.»
In verità Aster avrebbe accettato anche una stanza microscopica, a patto di potersi tenere la sua finestra. Adorava guardare il sole che al mattino sorgeva sulle montagne, con la luce che si riversava come oro liquido nella valle in cui sonnecchiava il Green Creek. La casa di benvenuto era vicina al centro della città, e questo permetteva ad Aster di vederla quasi interamente, dai lindi negozi che fiancheggiavano la strada principale alla cinta di mura che circondava la città e la proteggeva dagli spiriti vendicativi grazie alla polvere di teomite impastata nella malta.
Guardare dalla finestra era la sua via di fuga, l’unica possibile.
«Viziata un corno» proseguì Clementine. «Ho lavorato duro per questa stanza. E per questo letto. Guarda, anche i cuscini hanno i loro cuscini!»
«Meglio delle brande puzzolenti di piscio al piano di sopra?» domandò Aster.
«Molto meglio!» Clementine si mise a sedere. Un’ombra le passò sul viso. «Ma è così che doveva essere, forse.»
Una sensazione fredda e scivolosa si insinuò nelle viscere di Aster. «Non ci pensare, adesso» disse, attirando Clem in piedi. «Va’ a prendere tutta la tua roba, questo posto deve diventare casa tua.»
Clementine fu di nuovo presa dall’eccitazione. «Giusto, se ci sbrighiamo possiamo raggiungere le altre prima che vadano in cucina.»
Le altre erano Tansy e Mallow, le due più intime amiche di Clementine. Vivevano ancora nell’attico insieme a tutte le altre ragazze che ancora non avevano compiuto sedici anni. Fino a quel giorno Clementine aveva fatto parte della squadra della cucina insieme a loro.
«Non ti sembra strano non dover sbrigare le faccende?» domandò Aster mentre scendevano nell’atrio.
«Be’, di sicuro non ne sento la mancanza, se è questo che intendi» sbuffò Clementine. Il suo sorriso svanì. «Però Tansy e Mal mi mancheranno.»
«Compiranno sedici anni fra… quanto? Tre e quattro mesi? Saranno presto anche loro ragazze della sera» la rassicurò Aster.
«Giusto. E io le rivedrò comunque in giro, e questo è quanto» aggiunse Clementine.
«Giusto. Questo è quanto.»
Ma non sarebbe stata la stessa cosa, certo. Niente affatto. Le ragazze del mattino e quelle della sera facevano vite separate, e quando i loro passi si incrociavano c’era una barriera invisibile fra loro, come il Velo che separava i vivi dai morti. A Clementine non sarebbe stato permesso di parlare del suo lavoro con le ragazze del mattino… e per le ragazze della sera non c’era altro che il lavoro.
Ad Aster avevano detto tante volte che doveva essere grata per quel lavoro. Le ragazze della Buona Fortuna non soffrivano la fame, avevano sempre un tetto sulla testa, erano sottoposte due volte all’anno a visite mediche e dentistiche. Intrattenere i ganzi significava anche indossare vestiti che le altre ragazze potevano solo sognare, e avere rifornimenti inesauribili di Cardo Dolce.
Era molto più di quanto la gente poteva aspettarsi ad Arketta, specialmente nella regione dello Scab, l’irregolare catena montuosa che tagliava a metà il Paese. Ai tempi remoti dell’antico Impero quella landa desolata spazzata dal vento era l’ultima destinazione di tutti coloro che l’Impero dichiarava criminali e condannava al lavoro nelle miniere. Alcuni erano stati catturati ad Arketta, sui campi di battaglia dove avevano combattuto le furiose offensive dell’Impero. Altri erano stati mandati ad Arketta dalle colonie, a bordo di fetide navi negriere. Erano chiamati sanguesporco. Fisicamente non si distinguevano dalla popolazione locale, i sanguepuro, tranne per il fatto che non facevano ombra. I primi sanguesporco erano stati amputati delle loro ombre come pena accessoria, e i loro figli ne erano nati sprovvisti. Il debito di un sanguesporco non poteva mai venire pagato interamente. Quella che all’inizio era una multa di dieci aquile per un furto, per la fine dell’anno era salita a diecimila, perché il sanguesporco doveva pagarsi ogni cosa, dal pane ammuffito del rancio al tetto sconnesso sulla sua testa.
Ora, circa due secoli dopo la caduta dell’Impero, i sanguesporco che vivevano nello Scab erano più numerosi che mai. Affaristi intraprendenti avevano acquistato la terra e avevano rilevato i debiti dei sanguesporco in cambio delle loro fatiche – un accordo poi noto col nome di Computo. Il Computo offriva ai sanguepuro l’opportunità di diventare facoltosi proprietari di terre e di entrare a far parte dell’élite di Arketta, mentre i sanguesporco avrebbero potuto estinguere lavorando il debito degli antenati e affrancarsi finalmente dallo Scab. L’accordo era stato vantaggioso per i proprietari terrieri, ma i minatori non ci avevano guadagnato nulla se non schiene rotte e pance vuote. Si ammalavano di qualche malattia o venivano inghiottiti da un canalone fra le montagne, o un vendicante li sventrava con i suoi artigli invisibili. Nessuno poteva fuggire dal sistema del Computo, e a vigilare c’erano i tutori della legge, i gendarmi: il confine fra Arketta e la vicina Terra di Ferron, un Paese industrializzato, era sorvegliato dai loro migliori elementi, e nessuno che fosse sprovvisto di ombra poteva oltrepassarlo.
Era grazie al Computo che le case di benvenuto potevano rifornirsi di ragazze. I reclutatori individuavano le famiglie ridotte alla disperazione, con figlie giovani, e proponevano ai genitori di portarsele via in cambio di una misera somma. Le ragazze facevano le domestiche fino al loro sedicesimo compleanno, poi venivano destinate al sollazzo degli ospiti fino ai quarant’anni. Non dovevano pagare nulla ma non guadagnavano nemmeno nulla. Era un amaro compromesso e tutti lo sapevano. Ma quando in famiglia c’erano troppe bocche da sfamare, quando le alternative per una ragazza erano una vita di sofferenze e una morte brutale e precoce, la casa di benvenuto restava l’unica opzione. Almeno sarebbe andata a dormire con la pancia piena. Almeno avrebbe avuto cure mediche adeguate. Era una vera fortuna per le ragazze poter fare quella vita da signore, dicevano i padroni della terra.
L’unico problema era che Aster non aveva scelto quella vita.
Nessuna di loro l’aveva scelta. E nessuna di loro avrebbe mai potuto abbandonarla. C’erano i loro simboli a denunciare ciò che erano state, anche quando uscivano dall’attività. I ganzi avevano un bel ripetere che le ragazze della Buona Fortuna facevano la bella vita. Sembravano sorvolare sul fatto che la maggior parte di loro moriva per strada, ridotta a chiedere l’elemosina. Solo di rado capitava che un ricco ganzo comprasse una ragazza da una casa e la tenesse esclusivamente per sé. Ma non era una prospettiva migliore: una volta comprata, avrebbe lavorato a vita. Sarebbe stata proprietà di quell’uomo fino alla fine dei suoi giorni.
Aster si passò distrattamente la mano sul lato del collo, dove una catena di fiorellini dalla corolla sottile punteggiava la sua pelle come un’esplosione di lucenti stelle nere. Aveva pensato di fuggire. Era impossibile non pensarci. Ma un simbolo non solo ti marchiava a vita come proprietà di una casa di benvenuto. Era anche stregato. Se una ragazza lo copriva, col trucco o con un foulard o qualcos’altro, l’inchiostro diventava rovente e brillava come il ferro in una fornace. Prima rosso, poi arancione, poi giallo e infine bianco. Il dolore era sopportabile per qualche minuto, poi fiaccava anche la ragazza più forte, e ci volevano ore per riprendersi.
Non potevano nascondere i loro simboli. Non potevano nemmeno varcare la porta d’ingresso. Dex stava di guardia nel foyer, sorvegliando, con occhi color ruggine, chi andava e chi veniva. Ufficialmente era lì per proteggerle, ma tutti sapevano che la ragazza che avesse provato a eluderlo sarebbe stata acciuffata e riportata indietro, dove l’attendeva un lungo supplizio.
Aster pensava che avrebbe finito per abituarsi alla casa di benvenuto. Forse avrebbe anche imparato ad apprezzarne il fascino, come succedeva a molte ragazze. L’illusione probabilmente glielo rendeva più sopportabile. Ma per Aster tutto il tempo del mondo non sarebbe bastato a trasformare quel barile di piscio in una botte di vino. L’unica vera fortuna era che lei aveva ancora Clementine, e Clementine aveva lei. Le altre ragazze non avevano più rivisto le loro famiglie.
Seguì i passi di Clementine, che si diresse verso le scale in fondo al corridoio e salì i gradini due alla volta, svelta e silenziosa. Aster le tenne dietro. La memoria muscolare le faceva evitare le crepe nascoste sotto il tappeto. Girarono sul ballatoio, evitarono il terzo piano, dove si trovava l’appartamento privato di Mamma Fleur, e proseguirono al piano superiore, il sottotetto, non ancora terminato.
«Buona Notte della Fortuna, Clementine!» cinguettò una ragazzina passando loro davanti mentre scendeva. Dietro di lei venivano altre due ragazze, che per la fretta quasi travolsero Aster.
«Oh, scusi, signorina Aster» balbettò una di loro. Probabilmente non si aspettava di trovare una ragazza più grande lassù. La deferenza nella sua voce fece sussultare Aster, come se anche lei non fosse stata una di loro fino all’anno prima.
«Di nulla» bofonchiò. E non chiamarmi “signorina”, voleva aggiungere. Ma ovviamente le ragazze si comportavano com’era stato loro insegnato. Aster le fece passare.
Il sottotetto fungeva temporaneamente da dormitorio e non aveva nessuno dei comfort del resto della casa di benvenuto: pavimenti nudi punteggiati di chiodi storti e sporgenti e spifferi gelidi che al mattino si insinuavano nei muri. Una fila di lanterne da miniera offriva una luce debole e intermittente. Sul davanzale giaceva uno scorpione morto. La notte, quando tutto taceva, si sentiva uno scricchiolio nella trave alla quale una ragazza si era impiccata col suo lenzuolo, trent’anni prima. E se eri così imprudente da aprire gli occhi avresti visto i suoi resti, un’ombra pallida come la luna.
Ma adesso era giorno, tutto era rumore e vita, e una ventina di ragazze del mattino sciamavano su e giù prima di mettersi al lavoro. Facevano fretta al...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prologo
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. 20
  24. 21
  25. 22
  26. 23
  27. 24
  28. Ringraziamenti
  29. Copyright