
- 112 pagine
- Italian
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Informazioni su questo libro
Sicilia, 1743. Il loro legame viene da lontano, e ha radici profonde. È nato quando, ancora bambine, Agata e Annuzza hanno imparato l'arte tutta femminile del ricamo sotto lo sguardo severo di suor Mendola; è cresciuto nutrendosi delle avventure del Cid e Ximena, lette insieme in giardino, ad alta voce, in bocca il sapore dolce di una gremolata alla fragola; ha resistito alle capriole del destino, che hanno fatto di Agata la sposa di Girolamo e di Annuzza una giovane donna ancora libera dalle soggezioni e dalle gioie del matrimonio. Ora, mentre un'epidemia di peste sta decimando la popolazione di Messina, le due amiche coltivano a distanza il loro rapporto in punta di penna, perché la paura del contagio le ha allontanate dalla città ma non ha spento la voglia di far parte l'una della vita dell'altra. E anche se è lo stesso uomo ad accendere i loro desideri, e il cuore scalpita per imporre le proprie ragioni, Agata e Annuzza sapranno difendere dalla gelosia e dalle convenzioni del mondo la loro amicizia, che racconta meglio di qualunque altro sentimento le donne che hanno scelto di essere. Il ritorno di Dacia Maraini alla narrazione storica dopo La lunga vita di Marianna Ucrìa, uno dei suoi libri più amati, è un romanzo intenso e delicato, pervaso dai colori e dagli odori della sua Sicilia, che attraverso il filtro di un passato mai così vicino parla di ognuno di noi, e di cosa può salvarci quando fuori tutto crolla.
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Informazioni
4 Maggio 2020
Caro lettorequalche parola per spiegarti come è nato questo breve romanzo.Mentre facevo le ricerche per Marianna Ucrìa, nella seconda metà degli anni Ottanta, sono capitata su una cronaca della peste a Messina. Un anno terribile il 1743, in cui, come racconta lo storico Orazio Turriano, il 20 Marzo era approdata in città una tartana, un piccolo veliero, che veniva dalla Grecia, carica di tessuti. Le autorità del porto chiesero quanti marinai ci fossero a bordo e il capitano disse che erano dodici. Ma alla conta risultavano undici. Il responsabile portuale ne domandò la ragione e il capitano rispose che uno dei marinai era morto in viaggio per una malattia di cuore. Gli altri stavano bene e tutto era a posto. Ma le guardie del porto non si lasciarono incantare e misero i marinai in quarantena: una parola oggi a noi molto familiare, che deriva proprio da questa pratica di segregare per quaranta giorni le imbarcazioni e i loro equipaggi come misura di prevenzione dalle malattie. Due giorni dopo il capitano della nave si ammalò e morì. Sul suo corpo si trovarono i segni della peste. A questo punto la loro nave fu sequestrata con tutto quello che c’era dentro. Intanto altri marinai si ammalarono. E per quanto tenuti in quarantena, il contagio si diffuse oltre le mura del lazzaretto non si sa come e qualche tempo dopo cominciarono ad ammalarsi i cittadini di Messina.In poche settimane ci fu una ecatombe, per quanto le autorità fossero severissime nel cercare di fermare l’epidemia. La gente scappava rifugiandosi in campagna e la malattia si spandeva per l’isola, anche se nelle altre città apparve solo in forma leggera e fece pochi morti.In Marianna non ho raccontato questo episodio che mi sembrava fuori tema. Ma mi è rimasto in mente da allora. E quando l’amico Vincenzo Drago di Bagheria mi chiese un testo per la sua piccola casa editrice, decisi di scrivere una storia che si svolgesse durante quella epidemia di peste. Una storia d’amore perché in quel momento stavo vivendo un difficile rapporto sentimentale.Il racconto è stato pubblicato nel 2006 con il titolo Un sonno senza sogni. Era un libretto minuto, corredato da disegni di vari pittori fra cui Lucio Del Pezzo, Giosetta Fioroni, Fausto Gilberti, Lucia Pescador, Concetto Pozzati e Tino Stefanoni.L’editore e giornalista bagherese Vincenzo Drago era una persona squisita. Uno di quei siciliani che fanno onore all’isola. Un uomo onesto e gentile che ha sempre combattuto la mafia e il malaffare della nostra bella Bagheria. Per questo, quando mi ha chiesto di scrivere un racconto per lui, l’ho fatto volentieri.Sono passati tanti anni da quel giorno. Vincenzo è morto purtroppo. E non ho più pensato alla storia delle due donne innamorate dello stesso uomo.Quest’anno, nel mese di Febbraio, ero in Sicilia per degli incontri con le scuole. Ho rivisto Bagheria, Casteldaccia, Messina. E quando ho sentito della strana malattia che stava facendo strage in Cina, ho ripensato a quel racconto, a quella peste lontana ma vicina per tempo di memoria.In seguito, leggendo che a Milano erano cominciati i contagi e la gente moriva di una terribile e atroce polmonite, ho ripreso in mano il testo e ho cominciato a lavorarci sopra. Nel frattempo gli ammalati crescevano in tutto il mondo e si iniziava a parlare di pandemia. Le somiglianze con l’epidemia di peste a Messina mi sono tornate in mente, precise e chiare nella descrizione degli storici siciliani.Certo le differenze sono tante: allora non si conoscevano i virus come oggi e si pensava che la peste nascesse dall’aria malsana delle acque stagnanti, ma i rimedi erano gli stessi: isolamento dei malati, fuoco a tutto ciò che poteva portare contagio, proibizione di assembramenti di qualsiasi genere. La stessa tartana che aveva portato la peste a Messina fu bruciata sulla spiaggia, una volta saputo che era stata quell’imbarcazione a introdurre la malattia in città . Perfino la smania di trovare un colpevole si ripete nel tempo, nonostante le scoperte mediche e l’emancipazione dei costumi. Allora si parlava di untori misteriosi e infernali, oggi si parla della Cina. Il bisogno di individuare qualcuno su cui fare convergere tutte le colpe sembra irresistibile. Certo è più facile combattere un nemico visibile dalle intenzioni diaboliche piuttosto che un nemico invisibile e privo di intenzioni. Le responsabilità ci sono, ma non fuori della ragione. Chi ha attentato all’equilibrio ecologico per interessi immediati, senza mai pensare al bene del pianeta, è in effetti responsabile, e dovrebbe costituire un monito per il cambiamento. Ma si fa prima a identificare un colpevole dai bassi istinti, immediato e vicino, da aggredire e vituperare.Il romanzo ha preso forma in breve tempo, grazie a tutto quello che avevo imparato sul Settecento siciliano all’epoca delle ricerche per scrivere Marianna Ucrìa. Spero di potere comunicare ai lettori le emozioni che ho provato io nello scrivere queste pagine.Un carissimo salutoDacia Maraini
Messina, 5 Maggio 1743Cara Annuzzaieri, mentre cucivo un abitino per la mia bambina, è arrivata Crocifissa di corsa, tutta sudata e col fiato corto a dirmi che per strada è inciampata in un topo morto. «U mussu coperto ri sangu» ha urlato terrorizzata, «per n’anticchia ci misi un piede sopra.» E ha continuato a gridare che i topi, quando escono dalle fogne, vuol dire che sono malati e portano con sé le pulci infettate che, secondo le sue parole, «saltano comu taddarite, si appiccicano all’ommu e lo fanno ammalare pure a iddu, lo capite?».Io veramente non sapevo che i topi portassero la peste. L’ultima volta che c’è stata l’epidemia a Messina non ero ancora nata. Ho sentito tante volte la mamma che ne parlava, ma non ha mai nominato i topi.Ho cercato di calmare Crocifissa, ma lei era talmente agitata che non riusciva più a parlare. Le ho preparato una tisana di origano e malva. Alla fine si è quietata, ma non è riuscita a cucinare la cena. Così l’ho mandata a letto con qualche goccia di laudano.Quando è arrivato Girolamo gli ho raccontato del topo e della paura di Crocifissa. Lui ha detto che sono scemenze da donnicciola. Che Messina è viva e attiva come al solito e non bisogna allarmarsi per uno stupido topo morto.Gli ho cucinato una minestra con le cipolle e i giri. Mi ha chiesto se c’era un dolce per finire la cena. Ho risposto di no, che Crocifissa era scappata a letto. Ma poi mi sono ricordata che c’era mezza cassata rimasta da quando abbiamo avuto ospiti i Patané. E lui l’ha divorata. Credo che a pranzo non avesse mangiato. Ogni tanto lo vedo perso e capisco che pensa a te. Non gli chiedo niente per non costringerlo a mentire. Mi dispiace quando è così assorto e lontano. Ma si tratta solo di momenti perché poi la stessa sera mi ha riempito di baci e di carezze.Con affetto,Agata
Palermo, 17 Maggio 1743Cara Agatami hai allarmata con la storia del topo morto. Guarda che Crocifissa non ha torto. L’ultima epidemia di peste si è annunciata proprio con una morìa di topi. Stai attenta a come ti muovi. È molto contagiosa. Se fossi in voi, mi sposterei per un certo periodo in campagna. In questi casi la prudenza non è mai troppa.Girolamo lo sai, è incerto fra te e me. La moglie da una parte, la migliore amica della moglie dall’altra. Sa che ci scriviamo e che conosciamo i suoi sentimenti, ma sembra non credere alla sincerità della nostra amicizia. Per lui due donne che amano lo stesso uomo non possono che pensare al veleno e al coltello. Come spiegargli che l’amicizia, quella vera, supera la gelosia e fiorisce anche sulle pietre con la forza di una bella e robusta piantina, magari storterella ma con radici lunghissime? Quando si ama, si desidera il bene dell’amato, non è così? Io desidero il suo bene, ma anche il tuo. Perciò non protesto e non mi agito. Troverò un modo di adattarmi a questo triangolo singolare, anche se a momenti doloroso.Scrivimi presto.Con l’affetto di sempre,Annuzza
Castanea, 28 Maggio 1743Cara Annuzzadal giorno che ti ho scritto, molte cose sono successe. I topi morti si sono moltiplicati per le strade di Messina. La gente ha cominciato a parlare di peste. Ma dalle autorità ancora non si sa nulla. Aveva ragione Crocifissa e avevi ragio...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Trio
- 4 Maggio 2020
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