Un attimo perfetto
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Un attimo perfetto

  1. 208 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Un attimo perfetto

Informazioni su questo libro

Una famiglia.
Un'estate dorata.
L'estate in cui tutto cambia.

In una casa color pervinca baciata dal sole, in cui da ogni finestra si vede il mare, quattro fratelli, ragazzi e ragazze tra i tredici e i diciotto anni, madre, padre e due cugini trentenni riempiono quelle giornate spensierate con la spiaggia, i giochi, le serate lunghissime passate tutti insieme cenando in giardino, e un matrimonio da organizzare.
Le vacanze sono appena cominciate, l'estate sembra allungarsi all'infinito con la sua promessa di una tranquilla, struggente felicità.
Poi arrivano i fratelli Godden: irresistibile e affascinante Kit, scontroso e taciturno Hugo.
Tutt'a un tratto, c'è un serpente in paradiso e niente sarà più come prima.

Dall'autrice di Come vivo ora, un romanzo di formazione potente e senza tempo, come Bonjour Tristesse e Ho un castello nel cuore.

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2020
Print ISBN
9788817148290
eBook ISBN
9788831801171

1

Tutti dicono che innamorarsi è la cosa più miracolosa del mondo, che ti cambia la vita. Succede qualcosa, sostengono, e allora tu lo sai. Guardi nei suoi occhi e non vedi solo la persona che hai sempre sognato di incontrare, ma quel te stesso in cui hai sempre segretamente creduto, il te stesso che inspira desiderio e piacere, il te stesso di cui nessuno prima di allora si è mai davvero accorto.
È quello che accadde quando incontrai Kit Godden. Lo guardai negli occhi e capii. Solo che anche tutti gli altri capirono. Provavamo tutti esattamente la stessa cosa.

2

Ogni anno quando la scuola finisce stipiamo la macchina del nostro indispensabile ciarpame e partiamo per il mare. Quando finalmente sei persone hanno ammassato in macchina lo stretto necessario, papà dice che non riesce a vedere fuori dai finestrini e che non c’è spazio per noi, così la metà delle cose viene rimossa, ma comunque sembra non bastare; finisce sempre che mi devo sedere su una racchetta da tennis o una borsa di scarpe. Quando finalmente riusciamo a partire, siamo tutti di pessimo umore.
Il viaggio è un incubo: spintoni, discussioni e mamma che grida che se non la smettiamo di parlare le verrà un esaurimento, e puntualmente ogni anno papà accosta e dice che non si muoverà di lì finché non chiudiamo tutti quella cazzo di bocca.
Veniamo qui al mare da quando siamo nati e, in base alla teoria per cui la vita esisteva già prima di allora, papà ci veniva quando era bambino e mamma da quando ha conosciuto papà e hanno generato noi quattro.
Il viaggio in macchina dura ore ma alla fine usciamo dall’autostrada, ed è allora che gli umori cambiano. La familiarità del paesaggio opera in qualche modo sui nostri cervelli e cominciamo a gemere piano, come cani che si avvicinano al parco. Ci vuole mezz’ora esatta dall’uscita dell’autostrada alla casa e conosciamo a memoria ogni centimetro del paesaggio. Avvistare un cervo o dei cavalli dal finestrino ci fa guadagnare punti extra, o un gufo appollaiato sul paletto della recinzione, o vedere Harry la lepre saltellare lungo la strada. Spesso Harry compare il giorno del nostro arrivo e di nuovo quello della partenza; prova incontrovertibile che il nostro mondo è una sofisticata simulazione al computer.
Anche l’arrivo ha un suo rituale. Ci fermiamo nel vialetto, saltiamo giù dall’auto e ci spintoniamo per entrare in casa, che odora di vecchie fodere, di salsedine e di chiuso fino a quando non apriamo le finestre e lasciamo che la brezza del mare si riversi dentro a ondate.
La prima conversazione va sempre nello stesso modo:
MAMMA (sognante): Mi è mancato così tanto questo posto.
RAGAZZI: Anche a noi!
PAPÀ: Se solo fosse un po’ più vicino.
RAGAZZI: E se ci fosse il riscaldamento.
MAMMA (severa): Be’, non lo è. E no, non ce l’ha.
Quindi fine del sogno.
Nessuno si prende la briga di farle notare che è sempre lei la prima a tirare fuori l’argomento.
Mamma ha già preso la paletta e sta spazzando le mosche morte dal davanzale mentre papà mette via le provviste e prepara il tè. Io corro di sopra, apro il cassetto sotto il mio letto e tiro fuori la felpa sbiadita dell’estate prima. Sa di vecchia casa e di spiaggia, e adesso anche io.
Alex sta controllando sul portatile la telecamera nella casetta dei pipistrelli e Tamsin disfa i bagagli a velocità supersonica perché mamma ha detto che non può andare a vedere il suo cavallo finché non avrà messo via tutto. Il cavallo non è davvero suo ma lo prende in fida per l’estate e in caso di incendio salverebbe lui molto prima di noi tutti.
Mattie, che di recente è passata da allampanata e senza tette a sembrare una dea del sesso sedicenne, ha già indossato prendisole e stivali di gomma e si dirige languidamente alla spiaggia, perché per lei la vita è un lungo post su Instagram. Al momento si vede romantica e splendida, cosa che sfortunatamente in effetti è.
Si scatena un improvviso baccano di eccitazione quando Malcom e Hope arrivano a darci il benvenuto. Gomez, l’immenso e triste basset hound di Mal, abbaia a pieni polmoni. Tamsin e Alex lo stanno sbaciucchiando dappertutto, quindi non si può biasimarlo.
Mal ha con sé due bottiglie di vino bianco freddo e mentre tutti si abbracciano e si baciano, papà borbotta «È quasi ora», abbandona il tè e va a cercare un cavatappi. Tam si lancia su Mal, che la prende tra le braccia e la fa volteggiare come se fosse ancora una bambina.
Hope ci fa mettere in fila in ordine di età: io, Mattie, Tamsin e Alex. Fa un passo indietro per ammirarci, dicendo quanto siamo cresciuti e quanto siamo belli tutti quanti, anche se è ovvio che sta parlando principalmente di Mattie. Ho fatto l’abitudine a rientrare nel tema stupenda-Mattie, le persone lo fanno per essere gentili. Tam sbuffa e rompe i ranghi, seguita da Alex. Non è che non li vediamo a Londra, ma tra la scuola e il lavoro, e il fatto che viviamo in parti diverse della città, succede meno di quanto si potrebbe pensare.
«Quando siete pronti si cena» grida loro dietro Hope.
Papà pulisce i bicchieri da vino con uno strofinaccio, li riempie e distribuisce il primo bicchiere dell’estate agli over diciotto, in dose ridotta per me, Mattie e Tam. Alex ricompare e attacca come un serpente quando Hope posa il suo bicchiere per aiutare mamma con una valigia. Lo vuota in due sorsi e striscia fuori verso il sottobosco. Hope guarda perplessa il bicchiere vuoto, ma papà si limita a riempirlo di nuovo.
Tutti sorridono e ridono e irradiano ottimismo. Questa sarà l’estate migliore di sempre: tempo perfetto, ottimo cibo, il massimo del divertimento.
Gli attori sono riuniti, che l’estate abbia inizio.

3

La nostra casa è allo stesso tempo suggestiva e irritante. Per cominciare è più piccola di quello che sembra da fuori, il che è strano perché di solito con le case succede il contrario. Il mio bisnonno la costruì come regalo di nozze per sua moglie nel 1913, in quello che mamma definisce uno stile post-vittoriano con passione smodata per l’antica Grecia della moglie. Rimase di proprietà della famiglia fino al 1930, quando il mio antenato dovette venderla per pagare debiti di gioco. Suo figlio (mio nonno) la ricomprò vent’anni dopo, restaurò l’originario colore pervinca e da quel momento tutti si astennero dal ricordare il periodo in cui non appartenne alla nostra famiglia. Costruì anche una dépendance sulla spiaggia per gli esuberi familiari, che adesso appartiene a Hope. Da quando Mal è apparso sulla scena la consideriamo casa loro, anche se tecnicamente non è così.
La casa fu costruita come dimora per le vacanze estive, non per venirci tutto l’anno – una vera follia – e infatti non lo facciamo. È piena di spifferi, non ha isolamento termico e le tubature gelano se a novembre non vengono svuotate e i servizi igienici riempiti di antigelo, ma noi amiamo ogni torre e torretta, ogni finestra dalla forma bizzarra e anche la breve scala che finisce in una credenza. Il mio bisnonno deve avere avuto un gran bel senso dell’umorismo, perché tutto nella casa è inutilmente stravagante. Ma si vede il mare praticamente da ogni finestra.
La mia stanza è nella torre di avvistamento. La maggior parte della gente non la vorrebbe perché è piccola in un modo addirittura ridicolo, non c’è spazio neppure per far dondolare un ratto. Una persona abbastanza alta potrebbe toccare le quattro pareti sdraiandosi per terra con braccia e gambe distese aperte. La torre contiene un letto in stile nautico, che è stato costruito lì dentro, e una scala, e la scala porta a un minuscolo camminamento chiamato passeggiata della vedova, perché le donne avevano bisogno di un posto dove camminare guardando il mare con il telescopio mentre aspettavano il ritorno dei mariti. O il non ritorno, da cui le vedove.
Io ho ereditato il telescopio di ottone che apparteneva al mio bisnonno. Era stato in Marina e durante i suoi ultimi anni passò un sacco di tempo come lo passo io: in piedi nella torre di avvistamento con il telescopio puntato. Non ho idea di che cosa vedesse, probabilmente le stesse cose che vedo io: barche, Giove, gufi, lepri, volpi, e qualche occasionale nuotatore nudo. È una specie di legge non scritta che il telescopio viaggi con la stanza. Nessuno l’ha deciso, semplicemente viene dato alla persona giusta. In teoria la stanza e il telescopio avrebbero potuto andare a Mattie, Tamsin o Alex, ma non è stato così.
Nella mia famiglia ci sono un sacco di tradizioni, come tramandare la stanza e il telescopio. D’altra parte ci manca decisamente il genere di tradizioni che hanno le grandi famiglie, come chiamare ogni primogenito Alfred o essere deboli di mente, e pare che non ci sia traccia della ricomparsa del gene del gioco d’azzardo, e questo è un bel sollievo. Ma a parte vendere e ricomprare, quando si tratta di tramandare le proprietà di famiglia da una generazione all’altra noi siamo praticamente allo stesso livello della regina.
Dall’altra parte della casa c’è una torretta. Un tempo, da prima che noi ragazzi nascessimo, mamma e papà la usavano come camera da letto, cosa molto romantica ma poco pratica dal momento che è piena di spifferi e rischia di venire strappata via dalla casa quando c’è vento forte. Circa cinque anni fa si sono trasferiti un piano più sotto in una stanza dalla forma di una stanza proprio sopra la cucina. Mamma cuce i costumi per la National Opera, così la torretta è diventata la sua stanza di lavoro estiva. La camera di Alex è dall’altra parte del corridoio e tutti la chiamano la tagliagole. Ho sempre pensato che fosse per via di un qualche torbido omicidio del passato ma papà dice che è perché è così piccola che ti fa venire voglia di tagliarti la gola. Di bello ha una finestra esagonale ed è accogliente come la cuccetta di una nave.
Mattie e Tamsin dividevano la stanza da piccole, ma quando Mattie ha compiuto dodici anni è stato necessario dividerle per scongiurare spargimenti di sangue. Perfino mamma e papà si resero conto che nessuno sulla faccia della Terra poteva dividere la stanza con Mattie, così lei è finita per essere l’unica proprietaria della piccola casetta in giardino, che la fa sentire speciale esattamente come lei pensa di essere. Adesso Tam ha la stanza tutta per sé, cosa che sta bene a tutti dal momento che puzza fortemente di cavallo.
Tra le stanze da letto c’è un lungo pianerottolo con un sedile in muratura davanti alla finestra, dove ti puoi sdraiare a leggere un libro o giocare a carte o semplicemente stare lì a guardare il mare dalla grande finestra. La copertura di cotone della seduta è così sbiadita che è impossibile dire di che colore fosse in origine. Quando eravamo piccoli chiamavamo questa zona la stanza dei giochi, ma di fatto è un corridoio.
All’esterno, la casa è decorata con ghirigori, timpani e mensole vittoriane, tanto che perfino i pescatori si fermano per scattare una foto con il telefono. Il fatto che sia color pervinca poi non aiuta. Quando chiesi a papà perché non potevamo ridipingerla di un colore meno appariscente lui si è stretto nelle spalle e ha detto: «È sempre stata color pervinca» che è esattamente il tipo di cosa che abbonda nella mia famiglia. Irrazionale eccentricità.
Hope è la cugina più giovane di papà; lui aveva ventidue anni quando lei è nata. Da quando si sono messi insieme, Mal e Hope hanno sempre passato l’estate nella dépendance. Dista appena un centinaio di metri da casa nostra verso la spiaggia ed è costruita in legno e vetro, molto moderna per il suo tempo, con grandi pedane di legno dove ci si può sedere e guardare il mare.
Malcom e Hope si sono conosciuti alla scuola di recitazione. Nessuno pensava che la loro storia sarebbe durata perché Hope sembrava troppo sensibile per mettersi stabilmente con un attore. Invece stanno insieme da dodici anni e quando parliamo di loro li chiamiamo Malehope, come se fossero una sola entità. Dov’è Malehope? Malehope viene per cena?
“Spero che Malcom non perda la Speranza” dice papà almeno una volta alla settimana, anche se la battuta è particolarmente stupida considerato quanto Hope è legata a Malcom. Lo siamo tutti, lui è follemente bello e un infaticabile giocatore di giochi da tavolo.
Mal e Hope hanno poco più di trent’a...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. 1
  4. 2
  5. 3
  6. 4
  7. 5
  8. 6
  9. 7
  10. 8
  11. 9
  12. 10
  13. 11
  14. 12
  15. 13
  16. 14
  17. 15
  18. 16
  19. 17
  20. 18
  21. 19
  22. 20
  23. 21
  24. 22
  25. 23
  26. 24
  27. 25
  28. 26
  29. 27
  30. 28
  31. 29
  32. 30
  33. Copyright