Una breve, tranquilla riflessione bastò per chiarire a Emma la natura della propria agitazione all’udir quella notizia di Frank Churchill. Ben presto si convinse che non per se stessa si sentiva in apprensione o a disagio, ma per lui. Il suo attaccamento si era proprio ridotto a nulla, non metteva conto di pensarci; ma se lui, che fra i due era sempre stato di gran lunga il più innamorato, fosse dovuto tornare con lo stesso ardore di sentimenti col quale era partito, il guaio sarebbe stato molto serio. Se una separazione di due mesi non gli aveva fatto passare i bollori, pericoli e malanni la attendevano: cautela per lui e per lei s’imponeva. Non aveva nessuna intenzione di lasciar coinvolgere ancora i propri affetti, e sarebbe stato suo dovere di evitare ogni incoraggiamento a Frank.
Si augurava di riuscire a trattenerlo da dichiarazioni impegnative. Conclusione quanto mai penosa della presente amicizia; e tuttavia, Emma non poteva fare a meno di augurarsi qualcosa di decisivo. Era come se la primavera non dovesse passare senza produrre una crisi, un avvenimento, qualcosa che modificasse il suo tranquillo stato di equilibrio.
Non passò molto (più, tuttavia, di quanto avesse previsto il signor Weston) che le si offrì la possibilità di farsi un’idea dei sentimenti di Frank Churchill. La famiglia di Enscombe non arrivò a Londra così presto come ci si era figurati, ma Frank arrivò a Highbury quasi subito dopo. Fece a cavallo una scappata di un paio d’ore; non poteva permettersi di più, per il momento; ma, poiché da Randalls venne subito a Hartfield, Emma poté esercitare tutto il suo spirito di rapida osservazione e stabilire in un battibaleno in che stato d’animo fosse e come lei dovesse agire. S’incontrarono con la massima cordialità, e che provasse gran piacere a rivederla, non poteva esserci dubbio. Ma un dubbio quasi fulmineo prese Emma che non si curasse di lei come un tempo, che non provasse nella stessa misura la stessa tenerezza. L’osservò attentamente: appariva chiaro ch’era meno innamorato. La lontananza, probabilmente unita alla convinzione della sua indifferenza, aveva prodotto quell’effetto molto naturale e molto salutare.
Era in gran forma, pronto come sempre a parlare e ridere; sembrava felice di parlare della precedente visita e di rievocare vecchie storie; e non era senza agitazione. Non nella sua calma Emma poté leggere un relativo cambiamento. Non era calmo; evidentemente stava sulle spine; c’era intorno a lui un’atmosfera irrequieta. Era vivace, ma di una vivacità che non sembrava appagarlo; ma quello che decise l’opinione di Emma su di lui fu il suo trattenersi solo un quarto d’ora e scappar via per altre visite a Highbury. Passando, disse, aveva visto un gruppo di vecchie conoscenze; ma non si era fermato; non s’era voluto fermare che per scambiar quattro parole; però aveva la vanità di credere che, se non li andava a trovare, ne sarebbero rimasti delusi e, per quanto desideroso di trattenersi di più a Hartfield, doveva proprio scappare.
Che fosse meno innamorato, Emma non dubitava; ma né il suo stato d’animo irrequieto né la sua fuga precipitosa davano l’impressione di una perfetta guarigione, ed Emma era incline a pensare che in tutto ciò vi fosse paura del ritorno del suo potere, e una cauta decisione di non fidarsi e girarle molto attorno.
Fu quella la sola visita di Frank Churchill in dieci giorni. Sperava e si proponeva spesso di venire; ma c’era sempre qualcosa a impedirlo. La zia non poteva ammettere che la lasciasse: così scriveva a Randalls. Se era proprio sincero, se davvero procurava di venire, bisognava dedurne che lo spostamento di Mrs Churchill a Londra non era stato di alcun profitto alla parte volontaria o nervosa della sua malattia. Che questa fosse reale, era certissimo; egli stesso se n’era dichiarato convinto, a Randalls. Potevano essere, in parte, fantasie; ma, ripensando al passato, doveva riconoscere ch’era molto più debole di mezz’anno prima. Non credeva che ciò dipendesse da cause che cure e medicine non potessero rimuovere o, quanto meno, che non avesse davanti a sé ancora molti anni di vita; ma, nonostante i dubbi del padre, si rifiutava di ammettere che fosse una malattia immaginaria, o che Mrs Churchill fosse in gamba come sempre.
Ben presto risultò che Londra non era il posto adatto per lei: non poteva sopportarne il frastuono. I suoi nervi erano sottoposti a una continua irritazione e sofferenza; e, alla fine del decimo giorno, una lettera di suo nipote a Randalls annunciò un cambiamento di programma. Si sarebbero immediatamente trasferiti a Richmond. La signora Churchill era stata raccomandata alla perizia medica di un’eminente personalità del luogo e, a parte ciò, Richmond le andava a genio. Era stata presa una casa ammobiliata, e notevole beneficio si attendeva dal cambiamento.
Emma seppe che di questa sistemazione Frank scriveva con entusiasmo e sembrava apprezzare immensamente il vantaggio di due mesi di grande vicinanza a molti amici cari; giacché la casa era affittata per maggio e giugno. Le fu detto che scriveva con la massima fiducia di trascorrere con loro quasi tutto il tempo che poteva desiderare.
Come Mr Weston interpretasse queste gaie prospettive, a Emma non sfuggì. Vedeva in lei la sorgente di tutta la felicità ch’esse annunciavano. Lei sperava che così non fosse: e due mesi l’avrebbero provato.
La felicità di Mr Weston non consentiva dubbi: era al settimo cielo. Proprio quello che poteva desiderare si compiva: questa volta, Frank si sarebbe trovato nelle immediate vicinanze. Che cos’erano nove miglia, per un giovanotto? Un’ora di cavallo. Sarebbe stato continuamente lì. La differenza fra Richmond e Londra, sotto questo aspetto, equivaleva alla differenza fra vederlo sempre e non vederlo mai. Sedici miglia (no, diciotto: dovevano essere diciotto miglia sane sane, fino a Manchester Street…) erano un serio ostacolo. Anche ammesso che gli riuscisse di svignarsela, il giorno sarebbe stato speso fra andare e venire. Non c’era gusto a averlo a Londra, tanto valeva che rimanesse a Enscombe; Richmond, invece, era proprio la distanza adatta per un facile commercio. Meglio che più vicino.
Una cosa divenne immediata certezza, in seguito a questo trasferimento: il ballo alla «Corona». Non che prima lo si fosse dimenticato; ma si era presto riconosciuto come fosse inutile cercar di stabilire un giorno. Ora, invece, doveva assolutamente aver luogo; si ripresero i preparativi e, poco dopo che i Churchill si erano trasferiti a Richmond, quattro righe di Frank annuncianti che la zia si sentiva molto meglio per affrontare il viaggio e ch’egli era certissimo di poter passare ventiquattro ore a Randalls in qualunque momento, li indussero a fissare un giorno il più possibile vicino.
Il ballo del signor Weston doveva trasformarsi in realtà. Pochissimi domani separavano la gioventù di Highbury dalla felicità.
Mr Woodhouse s’era rassegnato. La stagione gli alleviava il fastidio. Maggio era meglio, per qualunque cosa, che febbraio. Mrs Bates fu arruolata per una sera a Hartfield; James fu avvisato come di dovere, e sperava, da buon ottimista, che né al caro piccolo Henry né al caro piccolo John avesse da capitar nulla durante l’assenza della cara Emma.
Nessun contrattempo si ripresentò a impedire il ballo. Il giorno si avvicinò, il giorno venne; e, dopo una mattina di attesa un po’ inquieta, Frank Churchill, in tutta la certezza della propria identità personale, arrivò a Randalls prima di pranzo; e ogni cosa fu a posto.
Un secondo incontro fra lui ed Emma non c’era stato, e testimone doveva esserne la sala della «Corona»; meglio di uno dei soliti incontri in pubblico. Il signor Weston aveva insistito con tanto calore che Emma venisse presto, arrivasse appena possibile dopo di loro, ed esprimesse il proprio giudizio sul decoro e la comodità delle stanze prima che qualunque altro si presentasse, che Emma non poté dir di no, e dovette prepararsi a un tranquillo interludio in compagnia del giovanotto. Portava con sé Harriet; e arrivarono per tempo alla «Corona», preceduti di appena il necessario dal gruppetto di Randalls.
Sembrava che Frank Churchill avesse montato la guardia e, sebbene non dicesse molto, i suoi occhi lasciavano capire che si aspettava un’incantevole serata. Andarono insieme sù e giù per controllare che ogni cosa fosse come si doveva e, nel giro di pochi minuti, furono raggiunti da un altro trasporto. Emma non poté udire senza grande sorpresa il rumore della carrozza. «Che fretta irragionevole!», stava per esclamare, quando si avvide ch’era una famiglia di vecchi amici venuti come lei, per esplicito desiderio del signor Weston, ad aiutarlo a controllar la situazione; e furono seguiti così a ruota da un’altra carrozza di cugini sollecitati con lo stesso calore ad intervenire allo stesso scopo, ch’era come se metà degli invitati dovesse quanto prima trovarsi raccolta al fine di un’ispezione preliminare.
Così Emma si avvide che il suo gusto non era il solo sul quale il signor Weston contasse, e che godere del favore e dell’intimità di un uomo che aveva tanti intimi e confidenti non era la prima distinzione nella scala della vanità. I suoi modi aperti le piacevano, ma un po’ meno di cuore aperto avrebbe fatto di lui un carattere superiore… Quello che rendeva un uomo tutto ciò che dev’essere non era un benvolere generale ma una generale amicizia. E quell’uomo sì che le sarebbe andato a genio.
Tutta la combriccola girò, guardò, lodò; poi, non avendo altro da fare, formò una specie di semicerchio intorno al fuoco, per osservare, ciascuno a modo suo – finché non si passò ad altri temi – che, anche di maggio, un focherello di sera riusciva molto gradito.
Emma scoprì allora che, se il numero dei consiglieri privati non era anche maggiore, la colpa non era stata di Mr Weston. Si erano fermati alla porta di Mrs Bates per offrirgli l’uso della carrozza, ma zia e nipote sarebbero giunte con gli Elton.
Frank le stava accanto, ma non continuamente; c’era in lui un’irrequietezza che tradiva un’anima in pena. Si guardava attorno, si affacciava alla porta, tendeva l’orecchio al rumore di altre carrozze, impaziente di cominciare o timoroso di esserle sempre vicino.
Si parlò di Mrs Elton. «Credo che non tarderà,» disse. «Sono molto curioso di vedere Mrs Elton. Ne ho tanto sentito parlare. Sarà qui a minuti, penso.»
Si udì una carrozza; egli si mise immediatamente in moto; ma, tornando indietro, disse:
«Dimenticavo che non la conosco. Non ho mai visto né il signore né la signora Elton, e non c’è ragione che mi faccia avanti».
Il reverendo Elton e consorte apparvero; e sorrisi e cortesie fecero il giro.
«Ma Miss Bates e Miss Fairfax?» esclamò il signor Weston, guardandosi attorno. «Credevamo che le portaste voi».
Non era stato uno sbaglio grave, e si mandò a prenderle in carrozza. Emma era ansiosa di conoscere la prima impressione di Frank su Mrs Elton; che effetto gli facevano quella studiata eleganza nel vestire e quei sorrisi da gran donna. Aveva fatto presto a giudicarla, finite le presentazioni, e ora le usava ogni giusta premura.
Nel giro di pochi minuti la carrozza fu di ritorno… Qualcuno parlò di pioggia.
«Provvederò che ci siano ombrelli, papà,» disse Frank al padre: «Non bisogna dimenticare Miss Bates,» e se ne andò. Il signor Weston stava per seguirlo, quando Mrs Elton lo trattenne per onorarlo del proprio giudizio sul figlio, e cominciò così di furia che lo stesso giovanotto, pur non camminando adagio, non poté fare a meno di sentirla:
«Un simpaticissimo giovane, davvero, signor Weston. Come lei sa, le ho detto francamente che mi sarei fatto un mio giudizio, e son felice di dichiarare che mi piace molto. Può credermi. Non faccio mai complimenti, io. Lo ritengo un giovane molto avvenente, e i suoi modi sono proprio quelli che gradisco e approvo: così schiettamente signorile, senz’ombra di presunzione o di civetteria. Deve sapere che non posso sopportare i bellimbusti; ne ho un vero orrore. Non sono mai stati tollerati, a Maple Grove… Né il signor Suckling né io abbiamo mai avuto pazienza, con loro; e, a volte, usavamo termini molto duri. Selina, che è fin troppo mite, li sopportava molto meglio di noi».
Finché parlava del figlio, l’attenzione del signor Weston era incatenata; ma, quando arrivò a Maple Grove, poté ricordarsi che rimaneva da salutare qualche signora appena giunta e, con sorrisi beati, sgusciò via.
Mrs Elton si rivolse quindi alla signora Weston: «È indubbiamente la nostra carrozza con Miss Bates e Jane. Il cocchiere e i cavalli nostri vanno così spediti! Credo non li batta nessuno. Che piacere poter mandare la carrozza a prendere un amico! Sento ch’è stata così gentile da offrire la sua; ma un’altra volta non sarà affatto necessario. Stia pur certa che me ne occuperò sempre io».
Miss Bates e Miss Fairfax, scortate da due signori, fecero il loro ingresso in sala; e la signora Elton parve ritenere dover suo non meno che della signora Weston riceverle. I suoi gesti e movimenti li avrebbe potuti capire chiunque tenesse gli occhi aperti come Emma; ma le sue parole, le parole di ciascuno, non tardarono a perdersi sotto il fuoco di fila incessante di Miss Bates, che entrò parlando e non aveva ancor finito di parlare molti minuti dopo essere stata ammessa nel semicerchio accanto al fuoco. Mentre la porta si apriva, la si sentì dire:
«Così gentile, da parte sua! Niente pioggia. No, niente di grave. Per me, non ci bado. Scarpe solide. E Jane dice… Bene!» disse appena entrata. «Bene! Magnifico davvero, ammirevole! Proprio messo bene, parola d’onore. E che illuminazione! Guarda, Jane, guarda! Hai mai visto nulla… Oh, signor Weston, ma lei deve aver avuto la lampada di Aladino! La buona signora Stokes non riconoscerebbe più la sua stanza. L’ho vista entrando; era sulla soglia. “Oh, Mrs Stokes!”, ho detto, ma non ho avuto tempo di dir altro.» Qui le venne incontro la signora Weston. «Benissimo, grazie, signora. Spero altrettanto di lei. Molto lieta. Avevo tanta paura che si fosse buscata un raffreddore a vederla far la spola sù e giù, e sapendo quanta briga si è dovuta prendere. Felice di saperlo, davvero!… Oh, cara signora Elton, le sono così grata per la carrozza; arrivata proprio al momento giusto; Jane ed io bell’e pronte. I cavalli non hanno dovuto aspettare un secondo. Una carrozza comodissima. Oh, sono certa che, su questo punto, dobbiamo ringraziare lei, signora Weston. Mrs Elton era stata così gentile da mandare un biglietto a Jane, altrimenti saremmo… Ma due offerte in un giorno! Mai avuto simili vicini! Ho detto a mia madre: “Parola d’onore, mamma…”. Grazie, sta proprio bene. Andata da Mr Woodhouse. Le ho fatto prendere lo scialle (perché di sera non fa caldo, ora) il grande scialle nuovo, regalo di nozze della signora Dixon. Così gentile, da parte sua, aver pensato a mia madre! Acquistato a Weymouth, sa; e scelto dal signor Dixon. Ce n’erano altri tre, dice Jane, ed è rimasto un po’ incerto su quale prendere. Il colonnello Campbell ne avrebbe preferito uno oliva… Sei sicura di non esserti bagnati i piedi, Jane cara? Una o due gocce appena sono state; ma io ho così paura! Tuttavia, il signor Frank Churchill è stato tanto, tanto… E poi c’era uno stuoino da metterci sopra i piedi. Non dimenticherò mai tutta la sua gentilezza. Oh, Mr Frank Churchill, devo dirle che, da quel giorno, gli occhiali di mia mamma non hanno più fatto cilecca; la vite non si è più allentata. La mamma parla spesso della sua bontà, vero, Jane? Non parliamo forse spesso di Mr Frank Churchill? Oh, ecco Miss Woodhouse! Cara Miss Woodhouse, come sta? Benissimo, grazie, proprio bene. È come trovarsi nel paese delle fate. Che trasformazione! Non è il caso di far complimenti, lo so,» fece, guardando Emma con gran compiacenza, «sarebbe scortese; ma, parola d’onore, signorina Woodhouse, lei ha un’aria… Come trova i capelli di Jane? Lei è buon giudice. Tutta opera sua. Straordinario come si fa i capelli! Un parrucchiere di Londra non potrebbe, credo… Oh, ecco il dottor Hughes e signora! Bisogna che vada a dir quattro parole al dottor Hughes e signora. Come stanno? Come stanno? Benissimo, grazie. Delizioso, no? Dov’è il caro Mr Richard? Oh, eccolo. Non lo disturbi. Molto m...