Il mare è rotondo
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Il mare è rotondo

  1. 240 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il mare è rotondo

Informazioni su questo libro

Quella tra Ujkan e l'Italia è una relazione complicata. Andarci è sempre stato lo scopo della sua vita, ma il motivo non se lo ricorda più. Quando aveva undici anni aveva provato a raggiungerla mescolandosi ai profughi kosovari, ma sua madre era riuscita a scovarlo un attimo prima che s'imbarcasse. Da allora, tutta la sua esistenza è stata un susseguirsi di tentativi falliti: l'ultima volta non ha fatto neanche in tempo a bagnarsi i piedi. «Non me la sento» ha detto allo scafista incredulo, ed è rimasto sul gommone fino a casa, in Albania. Adesso ha davanti una lunga estate fatta di attesa, lavoretti malpagati e progetti imprenditoriali assurdi insieme ai soliti amici - Sulejman, intento a comporre un romanzo su una vecchia macchina da scrivere piazzata nel cortile, e Gjokë, che si divide tra il bar e il biliardo senza mai togliersi giacca e cravatta. C'è anche Irena, bellezza in bicicletta: Ujkan la insegue, la sogna, la cerca, lei minaccia di sparargli ma poi non spara mai.
Mentre l'Italia resta sullo sfondo, raccontata da tutti senza che nessuno abbia davvero voglia di andarci, Elvis Malaj ci trascina in un gioco letterario spassoso e raffinato, in cui tra depistaggi, giri a vuoto e false partenze si diverte a stupire i lettori e li accompagna, con la sua voce originalissima, verso l'inatteso, scoppiettante finale.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2020
Print ISBN
9788817146395
eBook ISBN
9788831800761
1

Non me la sento

Il gommone proseguì a velocità ridotta, fendendo il velo di nebbia che lo aveva inghiottito. Tra le persone a bordo si diffuse un po’ di preoccupazione. Era ancora presto per fermarsi. Quando superarono il banco di nebbia, l’indice di qualcuno indicò terra e tutti si voltarono. Per un attimo le bocche rimasero incerte. Possibile che fosse già la costa italiana? Non era passata neanche un’ora e mezza da quando erano salpati.
Lo scafista confermò che quella era l’Italia e ordinò di saltare in acqua. Le gambe intorpidite si drizzarono e ai tonfi seguirono bracciate. Quei flutti irregolari sospinsero il gommone qualche metro più al largo, e in pochi attimi a bordo rimasero solo lo scafista e un passeggero.
Il passeggero si chiamava Ujkan Brraka, aveva ventidue anni, qualche soldo in tasca, e si sentiva pronto ad assalire l’esistenza.
«Veloce, salta giù» disse lo scafista prima di azionare il timone e volgere la prua in direzione opposta alla terra, impaziente di ripartire.
Ujkan guardò l’acqua, poi la costa italiana. Vedeva la spuma sopra le creste che si andavano a spegnere sulla piccola spiaggia di sabbia e scogli. Più all’interno, una cinta di alberi oltre i quali si stendeva l’Italia e lui era lì, a poche bracciate. Una volta a terra avrebbe dovuto raggiungere la stazione di Bari dove c’era un amico ad aspettarlo, e insieme avrebbero preso un treno per Milano. Era tutto pronto: dopo quella notte di novembre la sua vita sarebbe cambiata.
Tornò a guardare sotto di lui. Ora che il drappello si era fatto più lontano, l’acqua aveva ripreso a fluttuare serena. L’ansia di scendere dal gommone era più grande di quella che aveva provato prima di salirci. Attendeva quel giorno da sempre, ma in quel momento gli sembrava che fosse giunto troppo in fretta. I dubbi e le paure che covava dentro cominciarono a risalire lungo l’intestino e lo stomaco, e in un lampo raggiunsero la testa.
«Non me la sento» disse.
Lo scafista non era sicuro che avesse detto qualcosa ma, vedendo che si era voltato e lo guardava, disse: «Che?».
«Non me la sento. Torno a casa.»
«Come non te la senti? Ci vuoi andare o no in Italia?»
«Sì» rispose Ujkan dopo un po’.
«Allora, che stai dicendo? L’Italia è lì» disse lo scafista col braccio teso verso la costa.
Ujkan guardò l’Italia. Era proprio lì.
«Sono senza documenti e se mi becca la polizia mi arresta.»
Lo scafista corrugò la fronte.
«Fammi capire, hai speso un sacco di soldi, hai messo la tua vita in pericolo e sei venuto fino a qui per renderti conto solo adesso che stai per entrare in Italia da clandestino?»
«No, è che…» Non sapeva come spiegarglielo.
«I soldi non li puoi riavere indietro» lo informò lo scafista.
“Cazzo, i soldi” pensò. Avrebbe dovuto lavorare un anno in Italia e poi restituirli, era quello l’accordo.
«Fa niente» disse.
Per un attimo lo scafista picchiettò con le nocche sul timone. Non poteva portarsi indietro un passeggero. Il suo lavoro consisteva nel caricare le persone a bordo, fare la traversata, scaricarle e tornare col gommone vuoto. Era per questo che lo pagavano. Gli intimò un’altra volta di gettarsi in acqua, poi aprì lo sportello sotto il timone ed estrasse una pistola.
«Scendi!» disse puntandogliela contro.
«Va bene, va bene, non sparare» rispose Ujkan e si avvicinò al bordo del gommone. Sollevò le mani davanti, come per pregare Allah. Non doveva scendere, se lo sentiva sulla punta delle dita. Poi sentì il freddo della pistola che lo scafista gli premette sulla nuca.
«Sì, scendo» disse, e scavalcò il bordo, pronto a scivolare in acqua.
Nel frattempo due dei passeggeri – un ragazzo e un uomo sui cinquant’anni – avevano raggiunto la riva e si erano messi a correre verso gli alberi, ma poco prima di raggiungerli una batteria di fari accecanti, piazzati a ridosso del bosco, illuminò a giorno la spiaggia. La voce gracchiante di un megafono – prima in italiano poi in albanese – tuonò di alzare le mani e di fermarsi. La ragazza che era saltata in acqua per ultima si fermò dopo pochi metri e provò a ritornare al gommone ma, presa dal panico, sprofondò sott’acqua e riemerse poco dopo annaspando.
Lo scafista azionò i due motori alla massima potenza e lo scafo si staccò dalla superficie dell’acqua. In qualche modo Ujkan riuscì ad aggrapparsi e rimase a bordo.
Un attimo dopo il gommone era sparito nella nebbia.
2

Il tormento di Ujkan

Shkodër, ultimi giorni di luglio
Alle dieci del mattino in via Filan Fisteku c’erano poche anime in giro. Ogni tanto un furgoncino si fermava davanti alla segheria, l’autista suonava il clacson e un omaccione su un muletto usciva a scaricare o a caricare bancali. L’odore del legname appena tagliato e lo stridore della sega elettrica si mischiavano all’ariaccia calda.
Una Golf si fermò davanti al civico 19. Scese un uomo di nome Gjokë Bacani. Guardò i piani superiori del palazzo, poi andò al citofono e suonò. Non rispose nessuno.
Nel frattempo era sopraggiunto un altro uomo. Gjokë si spostò per permettergli di usare l’apparecchio.
«Sono io» disse e si sentì lo scatto del cancello.
Gjokë gli andò dietro.
Ujkan aveva provato a ignorare il baccano, ma capì che se non andava ad aprire avrebbero bussato all’infinito.
Era sabato, giorno in cui dormiva fino alle due del pomeriggio.
Alla porta trovò Gjokë e, alle sue spalle, il matto del palazzo che parlava con la ringhiera. Gjokë, con ancora il pugno sospeso in aria, si era girato per osservarlo e non si era accorto della porta aperta.
Ujkan fece solo in tempo a chiudere gli occhi, poi sentì un dolore lancinante sul naso. Mentre imprecava inciampò e cadde con il culo per terra. Indossava solo un paio di mutande bucate. Gjokë e il matto lo fissarono confusi.
«Dài, entra» disse Ujkan.
Gjokë si chiuse la porta alle spalle e afferrò la mano di Ujkan per aiutarlo ad alzarsi.
«Si può sapere che vuoi?»
«Non lo so, facciamo qualcosa» rispose Gjokë.
«Cosa?»
«Intanto vèstiti e usciamo.»
Cinque minuti dopo erano in macchina, destinazione «per ora andiamo verso il centro, poi vediamo». Ujkan si era stretto nelle braccia e spingeva la schiena contro il sedile per il freddo dell’aria condizionata. Gjokë vestiva sempre in giacca e cravatta, anche d’estate.
«Come va?» chiese.
«Bene» rispose Ujkan. Grazie a una buona parola di Gjokë, era stato assunto da poco come benzinaio. Era il suo primo lavoro da un anno e mezzo.
La cameriera lasciò i caffè sul tavolo e si allontanò senza interrompere Gjokë. Ujkan era concentrato sul bicchiere d’acqua con ghiaccio e limone che teneva in mano. Continuava a rigirarlo tentando di catturare il raggio di sole che si insinuava sul vetro.
Quella mattina Gjokë aveva cominciato la sua tiritera troppo presto. Ujkan lo guardava di tanto in tanto, facendo un cenno con la testa. Il problema di Gjokë era che si prendeva troppo sul serio.
Il cielo era di un cobalto sbiadito e non c’erano tracce di nuvole. Sarebbero potuti andare al mare e ustionarsi un po’, ma di sabato le spiagge scoppiavano di gente che se ne sbatteva della quiete altrui.
A un tratto, accanto al suo bicchiere, Ujkan vide la sagoma di una ragazza su una bicicletta. Era piccola, e Ujkan riusciva a tenerla tra il pollice e l’indice, ma si ingrandiva a mano a mano che si avvicinava. Sollevò il bicchiere portandolo sopra la testa della ragazza e quando fu sicuro che fosse nel punto giusto lo rovesciò.
L’acqua non riuscì a bagnarla, cadde tutta sul tavolo e poi si versò a cascata per terra, sui pantaloni di Gjokë e sulle gambe della cameriera che ripassava di lì.
Gjokë balzò in piedi e afferrò i pantaloni sul davanti, scuotendoli. Il risultato fu un’enorme chiazza sulla patta.
«Che cazzo fai?»
«Scusami.»
La cameriera asciugò il tavolo con delle salviette mentre Gjokë, un po’ spazientito, aspettava che finisse; poi si diede due colpi sulla patta e tornò a sedersi.
Ujkan si fece portare un altro bicchiere e continuò a seguire la bici. Ultimamente le sue giornate faticavano a ingranare.
«Andiamo da Frani, ci facciamo qualche partita a biliardo.»
«No, non mi va. E poi, Gjokë, che senso ha, vinci sempre tu» rispose Ujkan senza distogliere lo sguardo dalla bici.
«Vado a pagare e andiamo» disse Gjokë alzandosi.
La ragazza si era fermata davanti al tabaccaio. Senza scendere dalla sella, gridò qualcosa verso l’interno del negozio e rimase in attesa. Uscì un uomo che le allungò un pacchetto di sigarette.
Quando ripartì, Ujkan vide che la ragazza aveva perso qualcosa; era il pacchetto di sigarette, che ora, dopo un paio di rimbalzi, giaceva sul ciglio della strada.
«Ha perso le sigarette» disse e poi scattò via; attraversò la strada senza guardare, af...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il mare è rotondo
  4. 1. Non me la sento
  5. 2. Il tormento di Ujkan
  6. 3. La Stanza degli uomini
  7. 4. Una storia nasce nel momento in cui viene vista
  8. 5. I venditori di ferro
  9. 6. Ti faccio vedere la fica
  10. 7. Liberalismo
  11. 8. Allah è più vicino a noi di quanto lo sia la nostra aorta
  12. 9. L’uomo con la cravatta a fiori
  13. 10. Gli italiani si sdraiano
  14. 11. Fine del ramadan
  15. 12. Rrushja ime
  16. 13. Ti porto via con me
  17. 14. Me lo fai un sorriso?
  18. 15. Il più bel matrimonio del bajrak
  19. 16. L’autostrada del presidente
  20. 17. Due idioti qualunque
  21. 18. Noi vendiamo ciò che siamo
  22. 19. Un uomo mantiene sempre la besë
  23. Glossario
  24. Ringraziamenti
  25. Copyright