La promessa di un'estate
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La promessa di un'estate

  1. 272 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La promessa di un'estate

Informazioni su questo libro

Il Concerto n. 2 di Rachmaninov mette a dura prova anche i grandi maestri del pianoforte. Lo sa bene Thomas, giovane virtuoso tra i migliori talenti di Francia, che da mesi si prepara per andare in scena alla prestigiosa Salle Pleyel di Parigi. Ma non è per la complessità dello spartito, se la sera del debutto sbaglia le note: è perché lì, tra il pubblico, accomodato sulle ginocchia di una donna ignara, c'è il fantasma di suo padre Raymond. Sovvertendo le leggi del possibile, l'uomo è tornato dall'aldilà per chiedere al figlio di aiutarlo a esaudire un desiderio: ricongiungersi a Camille, con cui in vita ha condiviso un duraturo sentimento platonico, nato molti anni prima su una spiaggia d'estate. C'è solo un modo affinché il sogno si realizzi, un rito inaudito che dovrebbe riunire i due amanti in maniera definitiva. È così che il pianista e il fantasma di suo padre si imbarcano in una rocambolesca avventura oltreoceano, intenzionati a ricucire gli strappi del tempo e a cercare un - seppur tardivo - lieto fine.
La promessa di un'estate è una commedia dolce e surreale che ricorda i migliori film di Frank Capra e Billy Wilder. Una favola moderna attraversata da dialoghi esilaranti, con personaggi che rimangono nel cuore.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2020
Print ISBN
9788817146562
eBook ISBN
9788831800921

1

La Salle Pleyel era deserta. Se fuori un sole primaverile scaldava la città dopo un timido inverno, lì un solo fascio di luce squarciava l’oscurità per illuminare il palco, immergendo il pianoforte in una penombra nella quale fluttuavano minuscoli granelli di polvere.
Il Concerto n. 2 di Rachmaninov era un brano da esperti. Ma il virtuosismo non bastava. Ogni volta che Thomas lo interpretava, doveva rimettere in discussione tutto ciò che dava per acquisito. Suonarlo era per lui cercare l’invisibile, esaltare le emozioni provate, attingere alla memoria per raccontare la strada che portava dall’infanzia all’indomani, quando in quella sala un migliaio di spettatori lo avrebbe ascoltato, e qualche attento orecchio critico l’avrebbe valutato. Appena ebbe suonato con forza l’ultimo accordo, il fascio di luce lampeggiò tre volte. Il tecnico delle luci era impaziente.
«Va bene, ho quasi finito, un’ultima volta e me ne vado» gridò Thomas.
«La sua esecuzione è perfetta, mi creda» replicò una voce dalla postazione di regia.
Poteva sembrare ridicolo il fatto che fosse un tecnico delle luci a giudicarlo, ma Thomas si fidava dell’orecchio di Marcel. In fondo quell’uomo aveva assistito a più concerti di lui, aveva illuminato orchestre di tutto il mondo, allora perché dargli meno credito che al direttore, che non si era nemmeno degnato di guidarlo durante l’ultima prova?
«Devo andare, signor Thomas, e non posso lasciarla qui dentro, anche se sono certo che non le dispiacerebbe. Vada a distrarsi. Ha sicuramente di meglio da fare che passare la notte in questa sala.»
Marcel, bonario quanto panciuto, salì sul palco.
«Glielo ripeto: è perfetto. Sono sicuro che Rachmaninov va in visibilio, guardandola dal cielo.»
«Preferirei che mi ascoltasse» replicò Thomas, abbassando il coperchio sulla tastiera. «E poi chi le dice che si è meritato di andare in cielo, quel mostro che ha composto musiche così difficili?»
«Appunto» insistette il tecnico delle luci accompagnando Thomas dietro le quinte. «Forse lui la ascolta, ma io la vedo suonare dalla mia cabina e, mi creda, si sente che la musica le va fin dentro gli occhi, anche quando li chiude. Se suona così domani sarà un trionfo.»
«Troppo gentile, Marcel.»
«Gentile un corno! Non dica assurdità. E adesso se ne vada» esclamò il tecnico sospingendo Thomas verso l’uscita degli artisti. «Mia moglie mi aspetta e se tardo ancora un po’, non sarà certo tanto gentile quando mi accoglierà in casa. Vada dalla sua fidanzata o faccia quel che vuole, ma la smetta di farsi tormentare dalla paura, non serve. Ci vediamo domani, verrò un’ora prima, se vuole provare ancora.»
La solitudine del pianista si fa sentire appena varcata l’uscita degli artisti. Thomas invidiava flautisti, violinisti e contrabbassisti che se ne andavano in compagnia del loro strumento. Ficcò le mani nelle tasche della giacca e risalì rue Daru, chiedendosi come trascorrere la serata. Avrebbe potuto chiamare l’amico di sempre e proporgli di cenare in una brasserie, ma Serge aveva appena lasciato per l’ennesima volta la fidanzata e Thomas si sentiva già sfinito al solo pensiero di doversi sorbire le sue lamentele. Philippe sarebbe stato una compagnia perfetta, ma stava girando una pubblicità da qualche parte tra Polonia e Ungheria. La galleria di François non era distante. Thomas avrebbe potuto arrivarci anche a piedi. Ma la settimana prima non era andato all’inaugurazione per via delle prove, e François era un tipo che se la legava al dito. Sophie non aveva risposto agli ultimi messaggi; probabilmente aveva di nuovo deciso di troncare la loro relazione altalenante. A meno che non avesse conosciuto qualcun altro. In tal caso bastava aspettare, una sera o l’altra l’avrebbe chiamato lei.
Passando davanti alla brasserie La Lorraine, Thomas osservò una coppia a tavola. Considerando l’incanto con cui ammiravano place des Ternes, erano per forza turisti o innamorati. Attraversò la strada e si diresse verso il chiosco dei fiori che occupava la rotonda centrale. Comprò delle fresie e dei gelsomini stellati che emanavano un intenso profumo. I fiori bianchi erano i preferiti di sua madre.
Salì sul 43 con il grande mazzo in mano, e si sistemò accanto al finestrino. I passanti si affrettavano lungo i marciapiedi. Quando l’autobus si fermò a un semaforo rosso, una ragazza molto graziosa si accostò in bicicletta. Appoggiò la mano al finestrino per non posare il piede a terra e rivolse un sorriso a Thomas. L’autobus ripartì, lui si voltò e la vide sparire nel flusso del traffico di rue de Monceau.
Gli tornò in mente un ricordo. Aveva vent’anni, stava accompagnando suo padre all’inaugurazione di una mostra di un antico pittore danese. Uscendo dal museo Jacquemart-André, in boulevard Haussmann, Thomas aveva visto una donna avvicinarsi. Era passata loro accanto e aveva proseguito. Lo scambio di sguardi non era sfuggito a suo padre, che si era affrettato a spiegargli quanto la strada fosse un’inesauribile terra di incontri: il luogo in cui tutto è possibile. Quanti idioti si sforzavano di rimorchiare nei bar, di urlare discorsi incomprensibili nel baccano di night e ristoranti alla moda. Raymond era seduttore nell’animo, l’esatto contrario del figlio che gli amici prendevano spesso in giro per il suo pudore, quando uscivano insieme.
Thomas scese alla fermata Haussmann-Miromesnil e si avviò verso rue Treilhard. Entrò nel palazzo e, salito al quarto piano, suonò il campanello.
«Non hai le chiavi?» chiese Jeanne, sorpresa, aprendo la porta in vestaglia.
«Te le ho restituite più di sei mesi fa.»
«Sempre gentile con tua madre... E questi fiori, sono per me o hai una cena galante?»
«Hai qualcosa di buono in frigo?» domandò Thomas infilandosi nell’ingresso.
«Quindi sono per me» concluse Jeanne, afferrando il mazzo. Poi aggiunse, andando verso la cucina: «Hanno un odore penetrante».
«Sarebbe bastato un grazie» proseguì Thomas.
«Non aspettarti che una donna ti ringrazi quando le regali dei fiori, ma osserva la cura con cui li mette in vaso. Tuo padre non te l’ha mai spiegato?»
Thomas aprì lo sportello del frigorifero e si voltò verso sua madre.
«Posso prendere il piatto di prosciutto?»
«Quanto sei romantico, caro! Per fortuna cenerai da solo stasera. Io esco e non ho intenzione di cambiare programma. Ma accomodati pure e rimani quanto ti pare. Puoi anche dormire qui, se vuoi.»
Thomas posò il piatto sul tavolo e abbracciò sua madre.
«C’è qualcosa che non va?» le chiese con dolcezza.
«Mi soffochi e mi fai il solletico» replicò lei allegra, liberandosi dalla stretta. «E tu, cosa c’è che non va?» Jeanne si alzò in punta di piedi e prese un vaso da una mensola. «È il concerto che ti preoccupa? Facciamo come al solito: per non darti altra ansia dirò che non vengo. E da brava madre di un figlio ingrato che certo non mi avrà riservato un posto in prima fila, rimarrò invisibile in fondo alla sala.»
Thomas prese due biglietti dalla tasca, con espressione stanca e complice al tempo stesso.
«Uno per te e uno per Colette, ma dille di non applaudire dopo ogni movimento. È imbarazzante.»
«Farò quel che posso» promise Jeanne.
Gli strappò di mano i biglietti e se li infilò nella vestaglia.
«Non mi hai ancora detto a cosa è dovuta questa profusione di fiori. È un mazzo splendido» disse mentre finiva di sistemarlo. «Un po’ troppo profumato per metterlo in camera mia. Non averne a male.»
«Oggi sono cinque anni che papà ci ha lasciati. Non sapevo se te ne ricordassi, ma preferivo starti vicino...»
«Caro, ti ha lasciato cinque anni fa; per quanto mi riguarda, mi aveva già mollato molto prima. Quindi, sai, gli anniversari contano poco per me.»
«Ti conviene andare a cambiarti» le suggerì Thomas. «Non so qual è il programma, ma il tempo passa.»
«Se ti do noia, mangia pure in cucina» concluse Jeanne per poi ritirarsi.
Thomas la guardò allontanarsi nel corridoio dell’appartamento haussmanniano in cui era cresciuto. Rimasto solo, ne approfittò per controllare i messaggi. Philippe gli dava notizie delle riprese, si lamentava della neve e della fatica di dirigere una squadra che non parlava una parola di francese e poco inglese, ma Varsavia era una città stupenda e le polacche ancora di più. Thomas non poteva dargli torto; vi aveva suonato l’anno prima, invitato dall’orchestra filarmonica, e conservava uno splendido ricordo del concerto, un po’ meno dell’albergo in cui aveva soggiornato. Gli piaceva andare in tournée: era un privilegio viaggiare per il mondo, frequentare musicisti di cultura diversa. Ma la carriera da solista aveva un impatto sulla sua vita sentimentale. Aveva avuto una relazione passionale con Sophie, una violinista incontrata durante una tournée in Italia. In sei mesi erano riusciti a trascorrere un fine settimana a Berlino in dicembre grazie a Šostakovič, un giovedì sera di marzo a Milano in cui li aveva riuniti Bach, un venerdì di maggio a Stoccolma con l’impeto di Brahms, il cui Concerto n. 1 in re minore, dopo averli accompagnati nella notte, era diventata la loro musica. Fare l’amore ascoltando un concerto di Brahms per un pianista e una violinista dà luogo a prodigi inattesi. Giugno li aveva allontanati, luglio più ancora. Grieg aveva ravvivato la fiamma in settembre, a Vienna, ma da lì in poi si era fatto tutto complicato.
«Rimani?» chiese sua madre sulla soglia.
Thomas si alzò e mise il piatto nel lavandino.
«Lascia, faccio io dopo, mi piace riordinare quando sei andato via, mi dà la sensazione che tu viva ancora un po’ qui.»
«Torno a casa» rispose lui. «Ho bisogno di dormire, devo essere in forma domani.»
«Mi sbaglio o ci hai messe in ottava fila?»
«Sono i posti migliori.»
«Così sei sicuro di non vedermi, vero?»
«Sai benissimo perché.»
«Una volta, una volta sola ti è sembrato di scorgere nel mio sguardo che non apprezzassi il tuo modo di suonare; avevi sedici anni e studiavi ancora al conservatorio. Non credi che la pena possa essere prescritta ora?»
«Non è che mi sia sembrato, l’ho visto proprio e per colpa tua sono stato bocciato al concorso.»
«Forse i miei occhi non mentivano e fin dalle prime note il concorso era già andato male. Da allora ti sei riscattato, a quanto mi risulta.»
«Lo conosci il detto, un adulto è un bambino che ha dei debiti.»
«Allora sarai mio debitore per sempre, caro mio. Nel frattempo resta qui quanto ti pare.»
«Avresti un pacchetto di sigarette da qualche parte?»
«Credevo che non fumassi più.»
«E infatti non ho le sigarette.»
«Le trovi nell’ex studio di tuo padre. Quando Colette viene a cena il sabato ne approfitta per fumarsene una di nascosto; è patetica, alla sua età. Comunque sia, “si dimentica” il pacchetto nel cassetto di destra, mi sembra, a volte in quello di sinistra per provare il brivido della scoperta la volta dopo. Non mi hai detto niente dei vestiti che indosso: secondo te sono ancora desiderabile?»
Thomas osservò la gonna nera a tubino e la maglia bianca che indossava sua madre. Sembrava che il tempo non avesse presa sul suo fisico né sulla sua eleganza e ancor meno sul suo gusto della provocazione.
«Dipende tutto dall’età del tuo cavaliere» rispose lui con disinvoltura.
«Che disgraziato!» esclamò lei, fingendosi offesa. «Ti ripagherò con la stessa moneta, quando avrai bisogno dei miei consigli. Bene, vado, altrimenti faccio tardi. Non divertirti troppo, eh?»
Si dileguò canticchiando, cosa che aveva il potere di esasperare suo figlio, come lei sapeva bene. Thomas andò nello studio e frugò nei due cassetti. Trovò il pacchetto che cercava sotto un bloc-notes e aprendolo fu sorpreso di trovarvi non normali sigarette, ma sei spinelli rollati con maestria.
Thomas aveva fumato erba una volta sola in vita sua. All’alba dell’adolescenza suo padre l’aveva terrorizzato, parlandogli degli effetti devastanti della droga sui giovani cervelli. Fotografie e ricerche alla mano, gli aveva fornito la prova inconfutabile del fatto che il consumo di sostanze illecite poteva danneggiare il sistema nervoso per sempre e affossare ogni sua speranza di diventare concertista. Avere un padre chirurgo lascia il segno. La trasgressione fa part...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La promessa di un’estate
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. 20
  24. Epilogo
  25. Ringraziamenti
  26. Copyright