Attacco dal cielo
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Attacco dal cielo

  1. 496 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Attacco dal cielo

Informazioni su questo libro

La Primavera persiana scuote l'Iran. Sui media di tutto il mondo risuonano le parole libertà e democrazia, e i leader occidentali fanno a gara a schierarsi dalla parte del popolo in rivolta. Tutti, a eccezione del presidente degli Stati Uniti. Jack Ryan osserva a distanza l'euforia che accompagna i moti di protesta iraniani, ma deve restare concentrato: in ballo c'è la sopravvivenza stessa del suo Paese. Non bastavano un virus di origine sconosciuta e le violente alluvioni dell'ultimo periodo, la notizia davvero terrorizzante arriva dal Cremlino. Un aereo sovietico carico di missili nucleari è stato dirottato sparendo dai radar. Bisogna agire subito.
Per una missione tanto cruciale, l'unico di cui il presidente si fida è suo figlio. Così, Jack Ryan Junior e gli uomini del Campus si ritrovano sulle tracce di un trafficante d'armi pronto a trarre enormi profitti dal collasso del regime degli ayatollah. Mentre la minaccia nucleare si fa sempre più concreta, il presidente Ryan non può concedersi passi falsi. Basterebbe un errore, uno solo, per lasciare campo libero a una mente criminale determinata a mettere in ginocchio il mondo.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2020
Print ISBN
9788817146869
eBook ISBN
9788831801362

1

Nella Madre Russia un segreto non rimaneva tale a lungo: le informazioni erano potere, e passarle era pratica ben radicata. Già il fatto che il colonnello Pavel Mikhailov – in forze al 224° distaccamento aereo del Comando trasporto strategico – fosse riuscito a nascondere per un po’ le proprie colpe era un autentico miracolo.
I suoi superiori l’avevano infine deferito a una commissione disciplinare: un’ordalia lenta e imbarazzante. Ma era stato meglio così, no? Bez muki net nauki: niente tortura, niente scienza. O, come dicevano gli americani: «No pain, no gain». Ora che aveva di nuovo le ali appuntate sulla divisa, non si sarebbe più abbandonato a condotte che le potessero mettere a rischio. Sarebbe stato attento, meticoloso. E, soprattutto, sobrio.
Torcia elettrica alla mano, i radi capelli grigi arruffati da una brezza leggera e le guance imporporate da una persistente rosacea, il cinquantatreenne colonnello avanzò sotto l’ala a spiovente dell’enorme cargo Antonov AN-124. Trovava sempre conforto nell’odore del carburante. Con l’avanzare della sera l’aria si era fatta fredda, ma durante la giornata le temperature erano state piacevoli – almeno per la primavera moscovita – e l’asfalto era ancora tiepido. Le orecchie protette da tappi di gomma morbida, Mikhailov si lasciò cullare dal ronzio dell’unità di potenza ausiliaria e dal rumore dei sistemi idraulici: lo aiutavano a ragionare. Dopo aver illuminato l’ampia superficie inferiore dell’ala a freccia, passò a esaminare con attenzione tutte e ventiquattro le ruote dei carrelli. Un controllo prevolo completo e approfondito, come ai tempi dell’Accademia Gagarin.
In ogni caso, lui non aveva mai fatto schiantare un aereo. Non aveva nemmeno rischiato di farlo. No, il punto era un altro. Come diceva il generale al comando della sua unità, un pilota, per quanto abile, poteva presentarsi al lavoro «conciato come uno straccio» solo un numero limitato di volte, prima che si cominciasse a mormorare. Ironia della sorte, i superiori avevano preso a preoccuparsi di lui solo dopo la sua prima riunione settimanale degli Alcolisti anonimi. Da sempre il governo russo guardava a quegli incontri con sospetto. I raduni riservati, l’affidarsi a un potere che andava oltre quello statale: tutti elementi che acuivano la generale sfiducia verso qualsiasi programma sviluppato in Occidente. Ma a preoccuparli davvero era stato il suo nuovo atteggiamento.
La vodka faceva parte della cultura nazionale almeno quanto i pastrani e i poemi che magnificavano le corse sulla troika, il tradizionale tiro a tre.
Nel 1858 il governo aveva cercato di rimpinguare le casse statali, prosciugate dalla Guerra di Crimea, triplicando il prezzo della vodka. In segno di protesta i contadini avevano minacciato di astenersi dal bere. Erano nati movimenti per la sobrietà, le cui fila si erano gonfiate di cittadini pronti a rinnegare il proprio vizio; giuravano che da lì in avanti si sarebbero limitati alla birra. Inconcepibile. In difesa dei propri interessi lo Stato aveva schierato l’esercito, che era intervenuto con mano pesante sfoderando manganelli e imbuti. Avevano letteralmente cacciato a forza la vodka nelle gole dei manifestanti. I movimenti per l’astinenza dall’alcol erano stati banditi, e oltre settecento persone erano finite in prigione con l’accusa di ribellione.
E se ora, di colpo, Mikhailov si preoccupava del suo problema con l’alcol, forse avrebbero dovuto preoccuparsi anche tutti gli altri. Forse Mikhailov era un ribelle…
Per sua fortuna, tre decenni di servizio avevano procurato al colonnello alcuni angeli custodi ai piani alti: uomini che avevano volato con lui in Afghanistan negli anni Ottanta, e continuavano a mostrargli una certa lealtà sebbene nel frattempo avessero scalato le gerarchie. Era difficile trovare piloti con la sua esperienza, e lui continuava a ripetersi che persino da ubriaco valeva più di tanti sobri novellini dell’aeronautica federale.
Presenziare al procedimento disciplinare era stato un supplizio. Fronteggiare l’elenco delle proprie mancanze sarebbe stato pesante anche da ubriaco, ma la lucidità aveva reso quasi insopportabile ascoltare la commissione di generali che elencava una a una le sue sordide colpe. Nemmeno i suoi agganci gli avevano evitato la minaccia del congedo con disonore. Ma, sebbene la vergogna gli annebbiasse la mente, Mikhailov era ben conscio di una cosa: se avessero voluto portargli via la pensione si sarebbero limitati a farlo, senza bisogno di avvertimenti.
Durante l’udienza era riuscito a tenere la bocca chiusa, e a sopprimere il bisogno di ingollare della vodka da un bicchiere bello capiente (un secchio sarebbe stato perfetto). Aveva fatto quel che gli era stato detto, e alla fine aveva riottenuto le sue ali. E con esse la fiducia necessaria a essere incaricato dell’attuale missione.
Il giorno precedente aveva portato il suo Antonov da Migalovo all’aeroporto di Zhukovsky. La pista da cui era decollato – quella della 6955a base aerea – era infatti sufficiente a far staccare da terra il gigantesco velivolo solo finché era vuoto: una volta caricato era tutta un’altra storia. Con 74.352 chilogrammi in più rispetto al giorno precedente, adesso l’AN-124 aveva bisogno di una corsa ben maggiore. Inoltre Zhukovsky – a circa trentasei chilometri a sudest della capitale, lungo il corso della Moscova – ospitava non solo un aeroporto internazionale civile, ma anche l’Istituto di ricerca aeronautica Gromov, che sarebbe stato coinvolto nei rigidi protocolli di sicurezza richiesti da missioni di quel livello.
Ma, questioni tecniche e burocratiche a parte, i duecento chilometri di volo da Migalovo avevano svolto anche un’altra funzione: permettere ai sei uomini del nuovo equipaggio di rodare un minimo le proprie meccaniche. Mikhailov aveva già volato con uno dei due tecnici; ma l’altro, l’operatore radio, il navigatore e il copilota non facevano parte del 224°. Le sostituzioni non erano cosa rara, soprattutto per missioni di quel genere, ma la comunità dell’AN-124 era relativamente piccola e il colonnello si era sorpreso constatando di non averli mai incontrati. In altre circostanze, con le ali ben salde sulla divisa, avrebbe fatto più domande. Era conscio di avere un’ottima reputazione quale pilota di AN-124, un aereo difficile, ma la nomea di ubriacone non era da meno, persino fuori dagli ambienti militari. I nuovi membri dell’equipaggio l’avevano studiato con attenzione durante la riunione prevolo, cercando indizi del fatto che avesse bevuto.
Quella sera era arrivato presto, e si era fatto strada con il cartellino identificativo attraverso anelli concentrici di cancelli, porte e guardie armate, fino ad arrivare al suo aereo; era giunto in tempo per osservare le gru di bordo e i potenti verricelli caricare attraverso il portellone di coda due casse di legno da ventidue metri. Stando al registro di volo il loro contenuto era osoboy vazhnosti, ovvero «di particolare importanza». Gli americani l’avrebbero definito «top secret». Tuttavia, la secretazione era in buona sostanza inutile, data la loro destinazione: Sary-Shagan, nel Kazakistan centrale, dove sorgeva una struttura per test missilistici. Nessun dubbio sulla natura del carico. A parte i codici a barre, i contenitori erano privi di marchi identificativi, ma i dosimetri fissati all’estremità anteriore di ogni cassa erano più che sufficienti a segnalare la presenza di armamenti atomici. E, in quanto primo pilota, Mikhailov era stato informato che ogni collo pesava poco più di trentasette tonnellate. Peso e dimensioni restringevano ulteriormente il campo: doveva trattarsi di missili a medio raggio di un qualche tipo; di certo un nuovo modello, visto che andava testato.
In ogni caso, lo pagavano per consegnare quelle casse, non per fare supposizioni sul loro contenuto. E, finché poteva volare, al colonnello non interessava cosa dovesse trasportare.
Alcuni fori praticati nei contenitori in legno davano accesso a punti di aggancio posti direttamente sui missili, grazie ai quali il sistema di gru dell’Antonov poteva caricarli attraverso l’enorme portellone posteriore e stivarli in tutta sicurezza. Avanzava ancora parecchio spazio.
Con quell’aereo Mikhailov aveva trasportato un battaglione intero, enormi camion militari, carri armati, altri velivoli e persino un sommergibile da salvataggio. Lui e gli altri piloti scherzavano spesso sulla capienza dell’AN-124, sostenendo che avrebbe potuto spostare persino il Cremlino, purché il peso fosse distribuito in modo adeguato.
Una volta posizionato l’Antonov per il decollo, i responsabili delle operazioni di carico avrebbero stivato al suo interno anche l’enorme barra di traino; loro sarebbero rimasti a Zhukovsky, lasciando ai colleghi a Sary-Shagan il compito di scaricare il materiale «di particolare importanza».
Completata l’ispezione prevolo, il colonnello imboccò la rampa di poppa, superò le casse appiattendosi contro la fusoliera e infilò le scale per il ponte superiore. Il resto dell’equipaggio, già in cabina, lo salutò come richiedevano il suo grado e il suo ruolo, mentre Mikhailov si sistemava nella postazione di pilotaggio di sinistra. Non importava quante volte si fosse seduto di fronte alla cloche di un aereo: provava sempre una sorta di meraviglia, che gli scaldava la pancia come… be’, come un bicchiere di vodka.
Inforcò gli occhiali da lettura, pronto a effettuare i controlli prevolo di sua competenza mentre il copilota, un uomo imponente e taciturno di nome Cherenko, leggeva punto dopo punto da una checklist plastificata. Cherenko – un civile, anche se lo si poteva benissimo scambiare per un pilota del Federal’naja Služba Bezopasnosti Rossijskoj Federacii, il servizio d’intelligence interna meglio noto come FSB – indossava una divisa con pantaloni neri e camicia bianca, ornata da spalline nere con tre strisce gialle.
Il controllo prevolo non rivelò particolari anomalie, fatta eccezione per la spia luminosa secondaria del sistema antincendio nella stiva, che già il giorno prima aveva dato problemi e che Mikhailov aveva deciso di far sostituire solo una volta rientrati a Migalovo. Il colonnello si rivolse dunque al navigatore seduto alle sue spalle, che aveva già ricevuto dal Controllo decolli l’autorizzazione alla partenza e le relative istruzioni. «Durata del volo?»
«Tre ore e trentasette minuti, colonnello, con vento contrario per gran parte del viaggio. Un Airbus 320 della Ural Airlines, proveniente da sud, ha segnalato forti turbolenze a FL uno-novezero.»
Il flight level, o «livello di volo», era utilizzato per indicare le quote di transito una volta superata l’altitudine dei rilievi;l’FL 190 si trovava a circa 19.000 piedi d’altezza. Mikhailov annuì senza scomporsi. «Benissimo. Partiamo, allora. A Sary-Shagan conosco una signora che prepara un ottimo stufato di montone.»
«Più probabile che sia stufato di cazzo di cavallo kazako» commentò Cherenko, per poi ridacchiare da solo mentre riponeva la lista di controllo nel raccoglitore accanto al suo sedile.
«Sia quel che sia» si strinse nelle spalle Mikhailov, «resta comunque buonissimo.» Il copilota gli stava sempre più antipatico. Controllò l’ora – 01:04 – e si sporse in avanti a impostare la frequenza radio sul canale con le informazioni per il decollo. Ascoltò fino alla fine il messaggio preregistrato con l’elenco di tutte le istruzioni in base alle condizioni, quindi fece un cenno di assenso al copilota. Dopo il volo del giorno precedente avevano stabilito che Cherenko si sarebbe occupato delle comunicazioni radio, mentre lui si concentrava sui comandi.
«Torre di controllo» chiamò Cherenko, «qui Antonov 2808. Siamo pronti al rullaggio sulla base delle informazioni Bravo.»
«Antonov 2808» rispose una voce maschile, «restate in attesa presso la pista uno-due. Impostate la radio sul canale della torre: uno-uno-nove-punto-cinque.»
I piloti militari della federazione comunicavano tra loro perlopiù in russo, una pratica a cui spesso – con costernazione dei piloti stranieri in transito – si adeguavano anche i controllori di volo. Ma l’inglese restava la lingua internazionale dell’aviazione, e quello spazio aereo era controllato da civili. L’uomo alla radio li mise in coda dietro a un enorme IL-76, avvertendoli delle possibili turbolenze che il gigante avrebbe generato in fase di decollo.
«Antonov 2808 in coda dietro l’IL-76» ripeté Cherenko.
Qualche istante più tardi, l’Ilyushin IL-76 – un quadrigetto da quarantasei metri – percorse la pista e si sollevò, lasciando dietro di sé invisibili vortici d’aria.
Nella cabina di pilotaggio risuonò di nuovo la voce del controllore. «Antonov 2808, siete autorizzati al decollo sulla pista uno-due. Volate sulla sua direttrice fino a cinquemila piedi e contattate Mosca Controllo.»
Cherenko ripeté le istruzioni e Mikhailov spinse lentamente in avanti la manetta. L’aeroplano cominciò a vibrare sul posto, mentre il colonnello faceva scaldare i quattro motori a turboventola Lotarev D-18T; dopo quasi cinque minuti lasciò andare i freni e cominciò il rullaggio per il decollo. Appena l’enorme aereo ebbe preso velocit...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Attacco dal cielo
  4. Personaggi principali
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
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  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
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  22. 18
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  39. 35
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  61. 57
  62. 58
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  65. 61
  66. 62
  67. 63
  68. 64
  69. 65
  70. 66
  71. Copyright