Il battito dei ricordi
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Il battito dei ricordi

  1. 300 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il battito dei ricordi

Informazioni su questo libro

Isabel e Javier hanno una vita perfetta: sono giovani, ricchi e innamorati. Lui è un industriale del vino dell'Andalusia, brillante e di successo, padre affettuoso di Luz, mentre lei è una moglie e una madre innamorata della sua famiglia.
Tutto finisce all'improvviso quando Javier, dopo un incidente d'auto, si risveglia dal coma: racconta dettagli di un'altra vita, cerca una donna che non è sua moglie. Neanche l'amore e le cure mediche riescono a riportarlo indietro dal nascondiglio buio e tetro in cui si è rifugiato. Così Isabel, disperata, decide di affidarsi alle teorie non convenzionali del dottor Pellegrini, neuropsichiatra italiano che ha dedicato l'esistenza allo studio dei reminiscenti, persone che sarebbero in grado di ricordare le proprie vite passate. Il viaggio alla ricerca della verità condurrà Isabel dai vigneti di Huelva alla città di Argenteuil in Francia, fino alle Stanze Vaticane con i capolavori di Raffaello, dove spera di trovare le risposte a tutte le domande. Un evento inaspettato la porterà a capire che la vita è un mistero molto più grande di quanto lei stessa immagini.
Vanessa Roggeri, ancora una volta, ci regala un romanzo travolgente, una storia che sfida il tempo e le convenzioni: l'incontro tra due anime che non possono fare a meno di stare insieme, oltre ogni ragione.

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1

10 dicembre 2015, Andalusia

La Pontiac GTO del ’69 rosso fiammante, il gioiellino che per gran parte dell’anno restava parcheggiato in garage come una preziosa reliquia, aveva compiuto la sua magia. Javier Santiago ci aveva visto giusto: era bastato esibirla sotto il naso dell’amministratore delegato degli Aurora Hotels, la catena alberghiera tedesca che progettava di aprire quattro filiali in Spagna, per attirare subito la sua attenzione e strapparlo alla concorrenza. Appena le sue fonti lo avevano informato che Roy Schmidt avrebbe incontrato in via ufficiosa i produttori di vino più importanti di Malaga, non ci aveva pensato due volte a montare in macchina e raggiungerlo al Golf Club Torrequebrada. Javier era abituato a vincere, e soprattutto negli affari non lasciava mai nulla al caso; suo padre Oliverio gli aveva insegnato a studiare i punti di forza e le debolezze delle controparti, e le auto d’epoca erano di certo il punto debole di Roy Schmidt. Javier voleva l’esclusiva per rifornire i suoi ristoranti, voleva quel contratto e non si sarebbe fermato fin quando non l’avesse ottenuto.
La giornata aveva dato i suoi frutti e adesso non vedeva l’ora di ritornare a casa. Il sole era tramontato da ore, doveva sbrigarsi se voleva arrivare in tempo per la festa di compleanno di sua madre. Girò la chiave nel quadro e fece rombare il motore; due accelerate e partì sgommando sulla ghiaia del parcheggio. Finalmente aveva l’occasione di sperimentare se davvero la sua Pontiac riusciva a coprire la distanza tra Malaga e Huelva in meno di due ore. Il cellulare vibrò e sul display apparve il nome di sua moglie Isabel.
«Signor Santiago, ti sei perso? Qui aspettiamo soltanto te.»
Javier sorrise pensando alla villa dei suoi genitori gremita di ospiti e all’ansia di sua madre per l’assenza inopportuna del secondogenito.
«Mia bellissima moglie, non preoccuparti, sto arrivando.»
«Aida non vuole tagliare la torta senza di te. Lo sai com’è fatta tua madre: vuole che sia tutto perfetto. Ho già messo Luz a dormire.»
«Tesoro, cavalco una Pontiac, arriverò prima che lo champagne si riscaldi.»
«Che sbruffone!»
La sentì sorridere attraverso il telefono; anche se non poteva vederla, lo intuiva sempre dal modo impercettibile che aveva di sospirare.
«Oggi abbiamo due buoni motivi per brindare.»
«Va bene. Mi racconterai tutto quando arrivi. Fai attenzione, non correre troppo.»
Javier ingranò la quarta e affondò il piede sull’acceleratore. La notte senza luna era densa e silenziosa. Nera era la strada, neri i campi e i vigneti infiniti; ogni tanto due fari nel senso di marcia opposto fendevano l’oscurità, per poi scomparire subito dopo inghiottiti dal buio. Accese gli abbaglianti, mentre fermava la radio su una stazione che dava vecchie canzoni rock. Il cane apparve all’improvviso, una sagoma luminescente in mezzo alla carreggiata, immobile come in attesa della morte. A quella velocità, la cosa più giusta da fare sarebbe stata centrarlo in pieno e poi rallentare, invece Javier sterzò per istinto, una violenta virata che mandò la Pontiac in testacoda. Quando schiacciò il freno le ruote inchiodarono sull’asfalto con uno stridio sinistro, una manciata di secondi eterni in cui Javier, in completa balia dell’auto fuori controllo, non ebbe nemmeno il tempo di realizzare quanto stava accadendo. La Pontiac schizzò come un bolide impazzito, fermando di colpo la sua corsa contro un pino a bordo strada. Impattò frontalmente, il tronco si incuneò nell’abitacolo dal lato destro, risparmiando quello sinistro e imprigionando nelle lamiere accartocciate il corpo esanime di Javier. La cintura di sicurezza lo tenne al suo posto, ma l’urto fu così violento da sbalzarlo in avanti, contro il volante privo di airbag, e lateralmente, facendogli sfondare il finestrino con la faccia. Un boato metallico, un fragore di distruzione; poi sulla strada calò di nuovo il silenzio, rotto solo dal sottile sfrigolio del motore in agonia. La notte avvolse la sagoma deformata dell’auto come una sostanza fumosa; sorbì la debole luce dei fari spegnendoli per sempre e penetrò il metallo ferito, strisciando fin dentro la testa di Javier.
«Javier dovrebbe essere già arrivato. Non è normale che non risponda al telefono. Comincio a preoccuparmi.»
«Isabel, non c’è bisogno di immaginare subito scenari catastrofici. Sono sicura che avrà avuto un contrattempo. Magari la persona che doveva incontrare l’ha richiamato indietro per discutere i dettagli dell’accordo. Ora gli mando un altro messaggio.»
All’apparenza sua cognata Dulcina sembrava padrona della situazione, razionale come al solito, ma Isabel sapeva che nonostante gli sforzi anche lei cominciava a impensierirsi. Non era da Javier ignorare le chiamate e non avvertire del ritardo. Per tenersi occupata e non pensare al peggio, diede una mano con il catering, mentre gli ospiti chiacchieravano gustando cocktail di gamberi e vino della casa. Più controllava il display del cellulare in attesa di una risposta che non arrivava, più le pareva di impazzire. A ogni cenno negativo di Dulcina, sentiva un forte presentimento crescerle dentro. Alla fine della serata la torta fu tagliata senza la presenza di Javier al fianco della madre Aida, e un’ora più tardi, quando la piccola orchestra affittata per l’occasione chiuse gli spartiti e i primi ospiti diedero la buonanotte, la famiglia Santiago si trovò in pieno subbuglio.
«Sono passate quattro ore dalla telefonata, è successo qualcosa, me lo sento!» Aida si strinse al fianco del marito in cerca di conforto. Avrebbe voluto che la contraddicesse trovando un’altra spiegazione all’assenza del figlio, ma Oliverio con aria grave si stava già dando da fare per organizzare una spedizione di ricerca.
«Chiamo un po’ di ragazzi che oggi non sono di turno alla tenuta e ci facciamo la strada fino al Golf Club. Se ha avuto un incidente lo troveremo.»
«Oh, Signore!» piagnucolò la moglie, portandosi le mani al volto.
«Calmati, mamma! Abbiamo bisogno di rimanere tranquilli» l’ammonì Dulcina, fermandola prima che si lasciasse andare a una scenata di disperazione.
Isabel non si rese conto di tremare finché non prese in mano la tazza di tisana che Anita aveva preparato per tutti. Come aveva potuto, una giornata di festa, tramutarsi così in fretta in un incubo? L’orologio in salone segnava mezzanotte e mezza. Isabel provò a richiamare Javier per l’ennesima volta.
Chiuse gli occhi e inspirò a fondo. «Squilla ancora a vuoto.»
Le sue parole suonarono come un verdetto quando poco dopo i fari di un’auto lampeggiarono all’ingresso della villa. Il conducente non varcò il cancello aperto, preferendo scendere dal veicolo e suonare il campanello. Appena i lampioncini da giardino illuminarono le divise dei due agenti della Guardia Civil il presentimento divenne certezza, per la famiglia Santiago. Si trovarono in bilico sul precipizio: cadere dipendeva dalla notizia che gli agenti portavano con sé. Con i volti contriti li informarono che c’era stato un incidente, ma non seppero dire se Javier fosse ancora vivo, né la gravità delle sue condizioni. Isabel lo considerò un brutto segno. Pensò a sua figlia Luz: come avrebbe fatto a dirle che suo padre era morto? Da quel momento fu risucchiata in un vortice di confusione. Si ritrovò all’ospedale, appesa a una sedia del pronto soccorso in attesa di ricevere notizie, senza avere contezza di come ci fosse arrivata. Il medico di guardia non fece previsioni; disse solo che era stato necessario operare d’urgenza Javier per un’emorragia interna. Poche lapidarie parole che però ebbero il potere di gettare la famiglia nell’angoscia. Passarono cinque lunghe ore, durante le quali Isabel morì un’infinità di volte. Quando arrivò il chirurgo ad annunciare che l’operazione era andata bene, i Santiago ringraziarono Dio per aver ascoltato le loro preghiere.
«Il paziente ha riportato un trauma cranico, la frattura dello sterno con versamento emorragico nella cavità toracica e una frattura scomposta della gamba destra. Le sue condizioni sono gravi, ma per fortuna stazionarie. Lo abbiamo trasferito in rianimazione. Sarò sincero: al momento possiamo solo monitorare la situazione e sperare che si risvegli.»
Anche se Javier era incosciente, in coma, ciò che davvero contava era che fosse vivo, pensò Isabel. A tutto il resto si poteva porre rimedio. Dopotutto, considerato lo stato in cui era stata ritrovata l’auto, era un miracolo che respirasse ancora.
In via eccezionale acconsentirono a far entrare i famigliari nel reparto due per volta. La moglie e la sorella furono le prime. Solo col senno di poi Isabel avrebbe capito quanto in quel momento fosse sotto choc. Non ragionava con lucidità. Temeva di non avere il tempo di dire addio a suo marito. L’odore dolciastro di disinfettante le diede la nausea; mentre passava davanti a una fila di letti separati da tende celesti si portò una mano alla bocca per soffocare un conato. Quando lo vide disteso con il volto tumefatto, il tubo della respirazione forzata, la gamba in trazione e la flebo e le sonde collegate al corpo, faticò a riconoscerlo. Quella persona non poteva essere il suo bellissimo Javier. Pensò che ci fosse stato un errore e per pochi istanti sperò si trattasse di qualcun altro. Non riusciva a vedere ciò che non voleva vedere. Fu Dulcina a stringerle la mano e comunicarle silenziosamente che era il suo Javier. In tanti anni non l’aveva mai visto malato o debole, mai così indifeso. Il bip costante della macchina che monitorava le sue funzioni vitali la riportò di colpo alla realtà.
Con coraggio Dulcina si fece avanti e baciò il fratello in fronte, mentre chiamava il suo nome, implorandolo di svegliarsi. Javier era caduto in coma e Isabel realizzò che la sua paura più grande non era che morisse, ma che rimanesse prigioniero di un sonno innaturale per mesi, forse anni, fino al giorno della sua morte. Si rifiutava di accettare che quello fosse il suo destino. Si chinò su di lui e gli bisbigliò a un orecchio. «Non hai il permesso di morire, Javier Santiago. Mi senti, amore mio? Non puoi morire senza il mio permesso. Torna da noi! Torna da me e da Luz! Abbiamo bisogno di te!»
Iniziò l’attesa. I medici non seppero che cosa aspettarsi con certezza; il coma poteva durare una notte, un mese o un anno. Nei giorni seguenti Isabel sopravvisse programmandosi piccole tappe quotidiane, e per quanto Oliverio, Aida e Dulcina cercassero di starle vicini, anche loro vivevano sospesi in un limbo di disperazione. Il suo unico pensiero fu che Javier doveva svegliarsi, al poi ci avrebbe pensato al momento giusto. Era pronta ad affrontare qualsiasi terapia riabilitativa, non le importava dei sacrifici che la aspettavano.
Aggrappata al suo capezzale, gli parlò fino a prosciugarsi. Le inventò tutte per risvegliarlo: le sue canzoni preferite degli U2, la voce registrata di Luz, persino un CD con le onde del mare. Le sembrava così strano vederlo senza la solita luce negli occhi e il sorriso accattivante. Osservò come in una settimana i muscoli persero tonicità e i capelli vitalità; anche il riflesso dorato che amava tanto si era spento. In compenso con il passare del tempo ci furono dei miglioramenti, tanto che i medici decisero di interrompere la respirazione artificiale.
Avere la possibilità di prendersi cura di lui la confortava; inumidirgli le labbra screpolate con una garza intrisa d’acqua, o soltanto toccarlo perché sentisse la sua presenza, le dava l’illusione che prima o poi lui avrebbe risposto al suo richiamo. La ferita che gli deturpava il lato sinistro del volto per Isabel era il male minore. Nel fisico non sarebbe stato mai più lo stesso, ma non le importava.
Javier rimase in coma per due lunghissime settimane. Sarebbe impazzita se al sedicesimo giorno non fosse accaduto il miracolo che tanto aveva implorato. Mentre gli accarezzava il dorso della mano intorno alle ecchimosi provocate dagli aghi, notò una tensione nei tendini che fino a quel momento non c’era mai stata. I dottori l’avevano messa in guardia sul fatto che i pazienti comatosi hanno spesso degli spasmi involontari, perciò fu cauta. Lo sorvegliò per un’ora, osservandolo con molta attenzione, finché non si accorse che dietro le palpebre semichiuse le pupille la stavano mettendo a fuoco. Quando Javier mosse la testa per inquadrarla meglio e schiuse le labbra per tentare di parlare, capì che era ritornato da lei.
«Oh, mio Dio! Javier! Javier! Infermiera, presto! Si è svegliato!»
Javier aprì la bocca, ma la gola asciutta gli impedì di articolare parola. Emise dei suoni confusi, incomprensibili. «Javier!»
Poi arrivarono i dottori e Isabel quasi svenne per il sollievo. Chiamò subito i suoceri e la cognata per dare la notizia, ma la felicità si tramutò in apprensione quando i medici lo spronarono a rispondere in modo coerente a delle domande e Javier non ci riuscì. Il volto era in parte ancora tumefatto, Isabel considerò che fosse troppo stordito dal sonno prolungato per permettersi di parlare come se nulla fosse accaduto. A momenti le sue parevano parole dette al contrario, in altri suonavano come una lingua straniera pronunciata in modo confuso. Per quanto la bocca fosse impastata, la paura che avesse riportato danni neurologici fu grande.
Per i primi due giorni l’équipe medica invitò i famigliari a stargli accanto il più possibile per stimolare la memoria. Javier però non diede segno di riconoscerli.
«Javier, figlio mio, sono la mamma. Ti ricordi di me? E papà, ti ricordi di lui?»
Più la famiglia Santiago cercava di coinvolgerlo, più Javier li rifiutava, chiudendosi in un mondo tutto suo. «Vedrai che andrà bene. Diamogli tempo» ripeteva Oliverio, con sempre meno convinzione. A poco a poco per Javier avvenne il riconoscimento delle cose quotidiane, ma fu come se la consapevolezza affettiva fosse rimasta intrappolata chissà dove, persa nell’oblio di un coma cosciente. Anche vedere i filmati che sua figlia Luz registrava ogni giorno, sentirsi chiamare papà, all’apparenza non gli procurava emozioni.
Le stranezze del linguaggio continuarono in maniera preoccupante. Soprattutto nel primo periodo dopo il coma, poteva accadere che pronunciasse dieci parole sconclusionate e due di senso compiuto. Ma la cosa più sconcertante fu che sembrava convinto di comunicare concetti logici, di porre domande per le quali pretendere delle risposte. Quando le parole di senso compiuto cominciarono a popolare con più frequenza il suo parlare, si delineò una situazione assurda. Il parente di una donna ricoverata nello stesso reparto, un professore che aveva insegnato all’Orientale di Venezia, dopo aver assistito ai vaneggiamenti di Javier disse che non era pazzo.
«Parla un miscuglio di lingue europee. Almeno quattro.»
Isabel e il resto della famiglia non diedero peso al commento, perché Javier aveva viaggiato molto e anche i medici trovarono plausibile che potesse aver mescolato temporaneamente gli idiomi. Non era raro che accadesse a chi si risvegliava dal coma, ma quando si resero conto che il disturbo non regrediva, non seppero più cosa pensare.
La diagnosi medica sentenziò che Javier soffriva di un grave disordine cerebrale e conseguente amnesia di tipo regressivo dovuta al trauma cranico. Probabilmente nel corso del tempo sarebbe stato in grado di recuperare completamente la memoria. Diagnosticarono anche un forte stato depressivo postraumatico e gli prescrissero dei farmaci antidepressivi. Se i sintomi fossero perdurati, consigliarono il ricovero in una clinica specializzata.
Javier divenne sempre più insofferente alle cure, ai famigliari che gli stavano intorno obbligandolo a reagire, al letto di ospedale che lo teneva inchiodato suo malgrado. Le crisi nervose si acuirono molto velocemente e toccarono il picco quando iniziò a chiedere come un forsennato di sua moglie. Non cercava mai Isabel:...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il battito dei ricordi
  4. Prologo
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. 17
  22. 18
  23. 19
  24. 20
  25. Epilogo
  26. Copyright