«È colpa mia» disse Ash. Greta aprì la porta della sua camera il mattino dopo e lui era piantato nel mezzo, come se fosse rimasto lì in piedi tutta la notte.
«A volte mi fai paura, Ash. Cosa puoi aver mai fatto?» I due fratelli avevano aspettato per vedere se Roger e Patty fossero riapparsi per miracolo. Non era successo.
«Ti ricordi quando mi avevi detto tipo due settimane fa che pensavi che papà se ne sarebbe potuto andare?» disse Ash.
«E tu non mi avevi creduto?» rispose Greta.
Ash chinò la testa. «A dire il vero, non volevo crederti.»
Neppure lei voleva crederci. Alle spalle di Ash c’era la camera di Roger e Patty e la porta era socchiusa, rivelando un luogo oscuro. «Comunque sia, che hai combinato?»
«Ho montato sul telefono di papà, un giorno che era in carica sul comò, un’app di localizzazione.»
Lei cercò di metabolizzare l’informazione. «Stai dicendo che tu potresti sapere dov’è papà?»
Ash annuì. «Se non l’ha già trovata lui. È nella sua cartella delle app, ma lui non ci guarda quasi mai. Possiamo usare il tuo telefono per trovare la loro posizione.»
Greta si girò per prendere il telefono ma tornò a voltarsi di scatto. «Perché non me lo hai detto ieri?» Per decidersi a farlo c’era voluta un’intera notte a far da sentinella alla porta della sua stanza?
Lui sospirò. «È stupido, ma ho pensato che sarebbero tornati.»
«Sì, è proprio da stupidi» ribatté Greta afferrando il telefono e sedendosi su un angolo del letto.
Ash entrò nella stanza e si mise accanto a lei, fissando lo schermo. «Dai, non arrabbiarti. Te lo sto dicendo adesso, no?» Greta aprì la cartella delle app. «Posso farlo io» disse il fratello, cercando di prendere il telefono.
«No, lo faccio io» ribatté lei, stringendo lo schermo scheggiato. Premette sull’app e selezionò il telefono di Roger, la sola scelta disponibile. «Sono a…» disse Greta fissando la mappa, «Whitecourt?». Un istante di sollievo. Erano in un posto con un nome, nella stessa provincia, un punto preciso su una mappa.
Ash afferrò il telefono per controllare lui stesso. «È a due orette a nord-ovest da qui.»
«Dovrei dirgli che sappiamo dove sono?» chiese Greta. Lei aveva già provato a chiamarlo e a scrivergli almeno dieci volte Dove siete? Quando tornate a casa? e lui non le aveva mai risposto, né ai messaggi né alle chiamate.
Ash scosse la testa. «Potrebbero tagliare la corda. È meglio un confronto faccia a faccia.»
«E come facciamo? La zia Lori è in Arizona fino a fine marzo, non ci può accompagnare.» Si misero a fissare il vuoto, seduti sul letto. «L’autobus. Tu per caso hai dei soldi?» chiese Greta.
«Ho tipo cento dollari, quelli che ho guadagnato tagliando prati tutta l’estate» rispose Ash.
«Io ne ho venti» disse lei.
Si appoggiarono al muro con le teste che quasi si toccavano mentre cercavano di vedere meglio il sito della compagnia di autobus che aveva trovato Greta. Inserì le informazioni di partenza e arrivo.
«Ne parte uno oggi pomeriggio.» Greta fu la prima a vederlo. «Hai ragione, sono circa due ore a tratta.»
Ash prese il telefono dalle mani della sorella «Ci vorranno praticamente tutti i nostri soldi per andare e tornare in due.»
«E che succede se lui se ne va prima che noi arriviamo lì? Ci serve un’auto» replicò Greta. «C’è la remota possibilità che possiamo affittarne una?»
«Essendo minorenni, con solo il permesso della scuola guida, nessuna carta di credito e 120 dollari in due? Impossibile.» Ash buttò il telefono sul letto e sospirò. «Mi sa che ci tocca l’autobus.»
«Ma non abbiamo amici che guidano?» ribatté la sorella.
Ash la guardò sarcastico. «Perché, abbiamo degli amici?»
Greta scosse la testa. «Non me ne viene in mente nessuno.»
Si alzò e andò verso la doccia. «Okay, allora ci facciamo venire il mal di stomaco in pausa pranzo tutti e due e usciamo. Questo ci darà un’ora per andare al deposito degli autobus e fare i biglietti.» Ma quando fu sulla porta, si girò verso Ash.
«Ci sarebbe qualcuno…»
«Chi?»
Lei fece un respiro profondo, per prendere tempo. «Il nostro vicino che sta dall’altro lato della strada, il ragazzo che è in classe di inglese con te.» Dopo averlo detto Greta sentì salire l’ansia al pensiero di essere intrappolata in auto con lui, uno sconosciuto, ma poi si ricordò che ci sarebbe stato Ash con lei. Non si rimangiò quello che aveva detto.
«Ma non lo conosciamo!» protestò Ash.
«No» disse lei. «Noi non lo conosciamo ma lui sembra proprio voler conoscere noi. E scommetto che ci porterebbe per la metà dei soldi. Gli possiamo offrire cinquanta dollari.»
«Non è che hai voglia di saltare la scuola per accompagnare noi due, perfetti sconosciuti, a Whitecourt e ritorno per cinquanta bigliettoni?»
«Be’ sì. Una cosa del genere.»
«Non può essere che dica di sì.»
«E così torniamo al punto di partenza. Non abbiamo nulla da perdere.»
Ash scosse la testa.
«Lo farò io» disse Greta. «Vado a farmi una doccia e a rendermi presentabile e in mezz’ora vado a bussargli alla porta.» Sarebbe stata sul portico, all’esterno, e gli avrebbe detto di no se lui le avesse chiesto di entrare.
«Non ti mando da sola» disse lui sospirando. «E va bene.»
Quindici minuti prima dell’orario a cui solitamente uscivano per prendere l’autobus, i due ragazzi erano sul portico del loro vicino, dall’altro lato della strada. La sua casa sembrava una versione meglio conservata della loro, senza lo scantinato. Le loro scarpe avevano lasciato delle impronte sulla neve simile a zucchero filato che era caduta la notte prima, rivelando la vernice marrone sugli scalini del porticato. Ash suonò il campanello e si mise dietro le spalle di Greta.
Un uomo, probabilmente il padre del ragazzo, aprì la porta. A Greta mancarono le parole. Non avevano tenuto conto di possibili genitori. Lui sembrava uscito da un video su come diventare un taglialegna, o al massimo avrebbe potuto indossare un kilt e lanciare tronchi. Aveva una folta barba rossa e delle guance rubizze e portava un telo da bagno avvolto attorno al suo grande petto.
«Sì?» L’uomo si sporse fuori dalla porta muovendo lo sguardo tra Greta e Ash.
Il ragazzo parlò per primo: «C’è… suo… figlio?».
Per favore non dica «Quale?».
«Sì.» E senza muoversi dalla porta: «E voi sareste?».
Greta ritrovò la voce. «Siamo i vostri vicini, abitiamo qui di fronte» disse indicando oltre la sua spalla. «Andiamo tutti alla stessa scuola.» E fondamentalmente abbiamo ignorato i tentativi quotidiani di tuo figlio di diventare amici.
«Uhm. Giusto. Va bene.» L’uomo si sporse all’indietro e chiamò il figlio. «Nate, ci sono i tuoi amici alla porta.»
Nate, il rossiccio con la Volvo, apparve dietro il padre. Aveva lo spazzolino da denti in bocca e della schiuma in un angolo. Alzò un dito per dire loro di aspettare e scomparve. Suo padre si voltò e anche lui sparì in un’altra stanza, lasciando Greta a bloccare la porta d’ingresso col piede. Patty odiava quando facevano così, lo chiamava “scaldare gli esterni”.
«Ciao, ragazzi.» Nate era tornato, con la faccia un po’ arrossata. Fissò i due sul portico, ovviamente confuso. «Sono Nate comunque. Cioè, per la precisione Nathaniel, ma vada per Nate.»
«Sono Greta» disse lei «e questo è Ash.» Dette un’occhiata al fratello, chiedendosi se avrebbe ammesso che il suo nome era Ashwin ma lui aveva optato per Ash, ma niente. «Possiamo parlare un attimo fuori?» e gli mostrò il suo miglior sorriso da non siamo psicopatici.
«Uh, certo.» Nate afferrò un giaccone da un appendiabiti e si infilò un paio di stivali da neve che erano abbandonati su un tappeto fangoso. Probabilmente erano di suo padre. Ash scese i gradini all’indietro mentre Nate si fermò appena fuori dalla porta in attesa. Greta si bloccò accanto a lui sentendosi di punto in bianco una stupida. Ma chi fa così?
«Nostro padre è sposato con questa donna…» iniziò a spiegare lei.
«Donna è essere gentili» ribatté Ash. «Immaginati uno spettro, ossuto e odioso.»
Greta gli rivolse un’occhiataccia. «Ehm… insomma noi abbiamo qualche problema con lei e nostro padre» inspirò, «ed è successa una cosa».
Nate si piegò in avanti, aspettando che continuasse.
Ash aveva ragione. La peggiore idea di sempre.
Il ragazzo tornò dietro la sorella e fu lui a scoccarle un’occhiataccia questa volta. «Praticamente, nostro padre se ne è andato con la nostra matrigna e ci ha abbandonati. Abbiamo scoperto che sono a Whitecourt e ci serve un passaggio fino a là per provare a parlargli e farlo tornare a casa. Ti possiamo offrire cinquanta bigliettoni. Ti interessa?»
Il volto di Nate si distese. Aveva iniziato a sembrare doloroso il modo in cui le sue sopracciglia quasi invisibili si erano corrugate. «Oh, va bene.» E tirò il fiato.
«Dovrai saltare la scuola» disse Greta, «prima partiamo meglio è».
«A me sta bene qualsiasi cosa comporti saltare la scuola.» Nate tamburellò le dita sulle sue gambe. «Fatemi parlare con mio padre.»
«Ecco.» Ash alzò il braccio per fare un’osservazione. Un buon genitore poteva far saltare quell’operazione in cinquanta diversi modi. «C’è modo che tu possa non raccontargli proprio tutta la verità?» gli domandò. «Stiamo cercando di tenere un profilo basso per il momento.»
Nate lo fissò per un intero minuto prima di annuire lentamente, e la sua bocca si muoveva come se stesse succhiando una biglia. «Io di solito non mento a mio padre ma ho capito cosa intendete. Mi inventerò qualcosa.» Quindi scomparve di nuovo, lasciandoli sul portico. Greta appoggiò la testa alla porta ma non riuscì a sentire nulla dall’interno. Ash giocava con il sottile strato di neve sotto il suo piede, disegnando la forma di un tornado per poi calciarlo di lato.
Dopo qualche minuto Nate aprì la porta e si sporse fuori, nello stesso modo in cui aveva fatto suo padre prima. «Ha detto che va bene. Sarò pronto in cinque minuti.» Quindi richiuse e li lasciò fuori ad aspettare.
«Va beeeeeeeene?» disse Ash.
«OK! Andiamo a prepararci!» Greta quasi schizzò via dal portico e corse al loro seminterrato. Presero due bottiglie d’acqua e si infilarono in tasca delle barrette ai cereali. Ash prese i soldi dal contenitore di margarina nel suo sgabuzzino: cinquanta per Nate e altri dieci per ogni evenienza. Greta si muoveva in preda all’ansia, come se la sua preoccupazione potesse farli andare più in fretta.
Quando uscirono, Nate stava già togliendo il ghiaccio dal parabrezza dentro una nuvola di gas di scarico. «Rebus non ama molto il freddo» disse il ragazzo facendo scorrere il raschietto lungo ciascun tergicristallo.
Greta per un attimo pensò che si riferisse al padre, il boscaiolo, poi capì che era il nome della macchina, Rebus. Dietro di lei, Ash la incenerì con lo sguardo. Sarebbero state quattro ore molto lunghe.
Nate sbloccò manualmente la portiera del passeggero e la aprì. Greta scavalcò il sedile anteriore e si sedette dietro. Ash iniziò a piegare il suo corpo longilineo per salire dietro con lei, con il collo incastrato in un angolo innaturale, ma Greta esclamò: «Vai davanti. Non è mica un taxi».
Lui ribatté Vacci tu davanti allora, gesticolando verso lei e Nate.
«Tu sei… un ragazzo… e siete nella stessa classe.» E rendendosi conto di quanto era stata scortese, aggiunse: «Al ritorno vado davanti io». Sperava che Nate, che era ancora fuori accanto alla portiera aperta, non avesse sentito.
Ash serrò le labbra e la fissò con uno sguardo omicida. Distese il corpo e si sedette sul sedile a...