È una puntura di spillo, ma la ricorderà per tutta la vita come l’incornata di un toro e per tutta la vita ne sarà fiero. Come suo padre, Manuel Pio Valenzuela.
Francisco imbuca l’ingresso del Mezza Stella con una voluminosa pianta in braccio.
Patetici quei rapinatori che, sorpresi all’uscita dalla banca, si barricano all’interno con qualche ragioniere impaurito prolungando una resa inevitabile. Molto più dignitoso questo motel che alza le mani e si arrende già nel nome: Mezza Stella. Non aspettatevi di più. Date retta al linoleum verde che striscia dai cinque gradini d’ingresso fino al bancone della reception: non aspettatevi di meglio dall’arredamento delle stanze. E comunque se volevate di più e di meglio non era qui che dovevate cercarlo, su questo stradone buio che collega Lignano all’autostrada.
Francisco avanza con la faccia schiacciata tra le foglie, cedro tra i cedri, poi una specie di sole lo abbaglia filtrando fra i rami. È la testa bionda di una ragazza, che legge una rivista colorata piena di corpi in spiaggia, gomiti puntati sul bancone, e si rialza alla vista dell’uomo-pianta.
Il linoleum bianco del collo guida lo sguardo di Cisco allo slargo del petto, a un seno pieno che la canottierina strizza come il cellophane delle confezioni da due cachi. Cisco posa a terra il cedro.
«Encantado» saluta, dimenticandosi di tradurre.
Anika non risponde e non sorride, seccata per avere dovuto abbandonare i corpi in spiaggia e indispettita dal sospetto di dover raffreddare il solito brillantone. «Fa lo spagnolo, questo…»
La bellezza della ragazza tintinna sullo scenario del Mezza Stella come una fede d’oro sul tombino di una fogna.
Scampoli d’estate sulla pancia del bancone: il manifesto di un circo passato un mese fa (con «leoni veri»), la «famosa» Orchestra Guadagno che ha fatto ballare gente ormai rientrata in ufficio. Settembre è già al lavoro.
Dalle chiavi appese al muro penzolano carte da gioco; sono state spalmate di bianchetto per poi scriverci sopra il numero delle stanze col pennarello blu. Sotto la scala che porta al primo piano si curvano cinque pile di riviste d’enigmistica.
La ragazza dev’essersi tenuta lontana dalla spiaggia. È bianca e liscia come una tazzina da caffè. Ha braccia di ceramica, spalle strette e fianchi asciutti che la canottierina Hello Kitty non riesce a coprire del tutto. Un puzzle leggero e delicato che i due cachi gonfi mandano all’aria, come due bulli che fanno le corna nella foto di classe per attirare l’attenzione. Lo sguardo cade lì. Per forza.
Più che avvicinarsi al bancone, Cisco ci va a sbattere. È in quel momento, quando la pancia si appoggia all’impiallacciato di infimo rango che gli arriva l’incornata.
Smorfia di sorpresa e di leggero dolore.
Anika se ne accorge e avvicina le sopracciglia con espressione interrogativa.
Cisco avanza una mano aperta, come a dirle: «Aspetta, dammi un secondo…».
Lentamente si sfila la cintura dei calzoni, si sbottona, abbassa la cerniera lampo. La ragazza osserva.
Dalla porta accanto alla griglia delle chiavi si affaccia un omone con una camicia a quadri aperta su una canottiera bianca che meriterebbe la lavatrice. Un elastico gli raccoglie sulla nuca capelli bianchi e giallastri, non più puliti della canottiera. Ha in mano la protesi di una gamba. Commenta: «Gli uomini che arrivano da noi hanno sempre fretta, ma tu esageri, amico».
Cisco mostra la mano aperta anche a lui, poi torna a concentrarsi sul suo basso ventre.
Con l’accortezza di uno sminatore afgano solleva un lembo della camicia bianca e finalmente lo trova. È con una certa soddisfazione che lo indica e poi guarda negli occhi i due spettatori al di là del bancone.
Alla ragazza stavolta sfugge un sorriso. L’omone recupera da una delle cento tasche dei pantaloni da lavoro un paio di occhiali e li inforca. Posa la gamba finta sul tavolo e si sporge per vederlo meglio.
Sotto l’ombelico di Cisco, un paio di centimetri sopra l’elastico delle mutande è piantato uno spillo da sarto. Da solo, in una spiaggia di pelle bianca, triste come l’ultimo ombrellone di Lignano Sabbiadoro.
«Come ci è arrivato lì?» domanda l’omone.
«La lavanderia» spiega Cisco, togliendoselo dalla pancia e rivestendosi.
«Lavanderia cinese, immagino» ghigna Germano Lorenzon, titolare del Mezza Stella.
«Otto spilli per ogni camicia lavata. Mai uno di più, mai uno di meno. Alla partenza da Pontevedra ne avevo contati sette. Ecco dove si era cacciato l’ottavo.»
«Pontevedra in Toscana, dove fanno i motorini?»
«Spagna» risponde Cisco, allungando il passaporto all’omone.
La ragazza sbircia l’anno di nascita: l’uomo-pianta ha quarantun anni.
«Mai data una stanza a uno spagnolo con la patta aperta» ghigna ancora Lorenzon, mentre annota i dati.
«Mai ricevuta da un italiano con una gamba in mano» ribatte Cisco.
«E poi la pianta» aggiunge Anika. «In effetti la situazione è particolare.»
«Non avete ancora visto il meglio» li avvisa Cisco. «La mia auto.»
«Cioè?» domanda la ragazza.
«L’ho parcheggiata qui davanti.»
Anika raccoglie una borsetta rossa, aggira il bancone e imbocca il linoleum verde. Lorenzon molla la penna sul registro dei clienti, aggancia la protesi all’arto mozzo e zoppicando si lancia all’inseguimento.
L’estate arrivata a fine corsa, le mani sulle ginocchia, sbuffa una notte calda e sudata.
È un Mercedes nero con una croce d’argento sul cofano e il vano per il trasporto delle salme al camposanto.
«Diobono c’è anche la bara dentro!» esclama l’omone.
«Ci ho messo le valigie» spiega Cisco. «Meglio di un antifurto. Difficile che all’autogrill qualcuno provi a forzarla.»
«Perché non un furgone portavalori, allora?»
«Perché io tratto morti, non soldi.»
«Però il carrozzone qui non rimane. Lo prendi e lo parcheggi sul retro, altrimenti i clienti passano, si tastano i coglioni e tirano dritto. Chiaro, spagnolo?»
Lorenzon torna al registro, la ragazza pesca un mazzo di chiavi dalla borsetta e raggiunge la Clio blu parcheggiata nel piazzale.
Cisco la insegue: «Scusa…».
Anika si è già seduta al posto di guida, lo guarda dal finestrino. Si è accesa una sigaretta.
«Sai per caso, dove abita el señor Enzo Bearzot?»
La ragazza mette in moto. Sputa fuori del fumo: «So solo che lo odio».
E sgomma via. Per quanto possa sgommare una Clio.
Lorenzon restituisce il passaporto allo spagnolo: «Parti domani?».
«Fra due settimane, forse.»
Il padrone solleva uno sguardo scettico dal registro: «Qui gli orologi vanno a ore e nessuno fa colazione al mattino».
«Ventiquattro ore fanno un giorno, sette giorni una settimana. Non è difficile. La colazione mi piace farla in riva al mare. Problemi?»
«Se mi paghi subito la prima settimana, quasi nessuno. Scordati la tv in camera, ma se ti piacciono i porno, basta che tendi l’orecchio. Che stanza ti do? Vediamo…»
L’omone si volta e scruta la griglia delle chiavi grattandosi la barba, come alla ricerca di un senso che evidentemente riconosce nel momento in cui ne stacca una, sorridendo.
«Se scrosti il bianchetto, ci trovi sotto il due di picche. La do a chi entra qui senza donne.»
Cisco paga due settimane di pensione, s’infila in tasca la chiave, fa per raccogliere la pianta, ma Lorenzon lo ferma: «Prima di salire, sposta il carrozzone».
Lo spagnolo parcheggia il Mercedes nero sul retro del motel, scoperchia la cassa da morto, estrae una valigia di pelle nera e una gaita galiziana che porta al secondo e ultimo piano del Mezza Stella. Col viaggio successivo trasferisce in camera la borsa-frigo che lo ha dissetato durante il lungo viaggio e uno zaino viola che regge su una spalla soltanto. Lascia sul cruscotto il cappello da poliziotto che ha scordato a bordo l’amico Oracio. Non resta che recuperare il cedro nella hall.
«Sbaglio o quella cosa gonfia era una cornamusa?» domanda Lorenzon.
«Da un becchino con la patta aperta che si presenta senza donne si sarebbe aspettato una chitarra?»
«Mi avresti deluso. E scusami se non ti ho aiutato. Avessi avuto due gambe, l’avrei fatto. Giuro.»
L’omone punta la biro verso la protesi stesa sul bancone, accanto alla Settimana Enigmistica. Il suo alibi di ferro.
«Buonanotte» conclude Francisco Valenzuela.
«Buonanotte, spagnolo. Pontedera?»
«Pontevedra.»
La doccia gli scrosta di dosso la stanchezza brutta e gli lascia nei muscoli la fatica buona che lo introdurrà al sonno come una ninnananna. Cisco unisce i piedi nudi sul tappetino del microbagno, piega la schiena e spinge le mani tese verso il pavimento, che resta comunque lontano. Servirebbe almeno un’ora di stretching per sciogliere queste gambe di legno. Ha guidato per ventiquattro ore e duemilacinquecento chilometri. León, Burgos, la Francia, Bayonne, Pau, i Pirenei, Tolosa, Narbonne, Nîmes, poche ore di parcheggio in una piazzola di Aix-en-Provence, la Costa Azzurra, Genova, la Pianura Padana tagliata in due come un’anguria. L’acceleratore gli ha lasciato sul collo del piede destro un dolore di tendini.
Nell’armadio a muro c’è un solo ometto, ultimo glorioso sopravvissuto, come il generale Custer; nel frigobar un bicchiere di plastica, ma nulla da versarci dentro; dal soffitto pendono fili che un tempo dovevano trasmettere energia alle pale di un ventilatore; il calendario accanto alla finestra è quello dell’anno scorso. Il Cristo incoronato di spine, appeso sopra la testiera del letto, sembra soffrire per tutto questo.
Le pareti sono tinteggiate di verdino.
Cisco travasa biancheria e camicie nei cassetti dell’armadio. Carica sul generale Custer i quattro calzoni che si è portato dalla Spagna. S’infila una t-shirt nera, che è il suo pigiama.
Se c’è una cosa che non è mai riuscito a spiegarsi è perché i parenti non mettano il pigiama ai morti.
Sui voli intercontinentali la gente viaggia in tuta, che è molto comoda. Giusto, logico, ma l’eternità dura molto più di un Madrid-New York. Perché allora non preoccuparsi della comodità del trasferimento dei nostri cari? Perché l’abito buono e le scarpe da matrimonio che stringono i piedi? Coerenza. Ammesso che al capolinea ci sia un dio ad aspettarci, a giudicare da quanto ha lasciato scritto, non sembra il tipo che premia o danna per una cravatta. Il giorno del giudizio non sarà mai un colloquio di lavoro. Tanto vale arrivarci comodi, no?
Cisco Valenzuela non ha ancora deciso a chi lascerà i quattro soldi messi da parte su un conto del Banco di Galizia e quarantun anni sono troppo pochi per pensarci, ma a quarantun anni ha già deciso in modo definitivo che si farà seppellire in pigiama. Al momento giusto lo scriverà in un testamento. Col pigiama e il diario di jeans.
Dal termosifone, come dalla pancia di una petroliera, si allarga un alone scuro che inquina la parete e arriva a sfiorare la gondola sulla mensola. Il gondoliere sta remando verso la finestra per mettersi in salvo.
«Troverò il tempo per andare anche a Venezia» pensa Cisco, che annaffia il cedro e prova a far buio nella stanza, operazione non facile perché la tenda è più stretta della finestra e il neon difettoso dell’insegna Mezza Stella spara all’interno i suoi bagliori.
Cisco pensa di spostare l’armadio o di schermare i vetri con u...