15 dicembre 1952
I vecchi stivaletti logori di Vivian Dalton facevano scricchiolare la neve compatta del marciapiede, illuminato a giorno dalle luci del grande magazzino Freedlander e dai lampioni. Vivian sollevò una mano inguantata per un rapido saluto garbato a Betty Miller, che l’aveva intravista da dietro la vetrina principale. Per le feste il negozio era sempre molto addobbato, con luci e campane e quella sostanza che spruzzavano sui vetri per dare l’idea che dentro nevicasse.
Vivian aveva sentito che si chiamava flock, non aveva idea di che materiale fosse, ma sembravano fiocchi di neve. Quello che sapeva, però, è che avrebbe voluto essere anche lei al di là di quel vetro impiastricciato di neve finta, al calduccio, invece che fuori a congelarsi i piedi mentre andava al lavoro con quegli stivaletti così consumati che avrebbero potuto essere di pellicola trasparente.
Betty Miller non aveva certo bisogno di lavorare. Lei sì che poteva starsene tranquilla e beata al riparo nel grande magazzino: con i due figli più piccoli, Little Bitty e Charles Junior, era nella lunga fila in attesa di vedere Babbo Natale, il che non sorprendeva affatto Vivian. Quell’anno Babbo Natale era abbastanza azzeccato, doveva ammettere. Grasso, rubicondo, e sobrio, quantomeno, motivo per cui i Miller erano lì, e le code erano molto più lunghe dell’anno prima. L’anno prima Jimmy Hixson aveva detto che l’alito di Babbo Natale aveva lo stesso odore che c’era da Sunoco, alla pompa di benzina. Il fratello maggiore di Jimmy, Albert, lavorava lì, quindi Jimmy parlava con cognizione di causa.
Quando aveva sentito il commento di Jimmy Hixson, Betty Miller era stata la prima mamma a boicottare Babbo Natale e le altre non avevano tardato a seguire l’esempio, come del resto facevano sempre. E non si era neanche presa la briga di fare una telefonata per spiegare educatamente a qualcuno di Freedlander, con quelle sue parole esageratamente calcate: «Il vostro Babbo Natale ha un, mmh, un odore davvero singolare». Avrebbe sprecato troppo tempo. Vivian non sapeva esattamente come Betty impiegasse il suo tempo, ma sapeva che lo considerava più prezioso di quello altrui. Betty Miller era certa che il boicottaggio avrebbe funzionato, e le altre madri condividevano questa certezza, e ben presto anche da Freedlander capirono che sarebbe stato meglio procurarsi un Babbo Natale nuovo. A prescindere da cosa avrebbero detto Little Bitty e Charles Junior al Babbo Natale sobrio, issato sul suo lucido trono rosso del Polo Nord, Vivian Dalton era certa che i Miller quell’anno avrebbero avuto un magnifico Natale. Perché tutti gli anni i Miller avevano un Natale magnifico.
Era sempre così, nelle piccole città: tutti sapevano tutto di tutti. Vivian di sicuro ne sapeva degli affari degli altri, e, cosa ancora più importante, ne sapeva delle persone. Vivian Dalton ne sapeva delle persone, questo era indubbio, e l’avrebbe detto lei per prima. Lei avrebbe detto che c’entrava con l’intuito, più che con il fatto di origliare le telefonate altrui, mentre sua figlia Charlotte avrebbe detto: «No, no, è perché hai origliato».
Charlotte ci scherzava sopra con gli amici, li faceva divertire, dicendo che sua madre era edotta su una miriade di conversazioni intercorse tra gli abitanti di Wooster. Ora, «edotta» e «miriade» erano due parole che Vivian avrebbe usato, se ne avesse conosciuto il significato. Non era stupida, ma era andata alla scuola di Bowman Street solo fino alle medie inferiori, e non aveva mai trovato «edotta» o «miriade» vicino alle foto delle sue riviste patinate di moda o di cinema. Charlotte alzava gli occhi al cielo e spiegava ai suoi amici: «Mia madre diffida di quelli che leggono i libri».
Era un vero peccato che Vivian non conoscesse parole come queste, perché le sarebbero piaciute tanto. Sembravano sofisticate e costose. Erano parole che i palloni gonfiati dei quartieri a nord di Wooster probabilmente usavano di continuo, anche da Buehler, quando ci andavano per comprare qualunque cosa si comprasse lì. L’entrecôte, le chele di aragosta, le confezioni di caviale eccetera eccetera. Vivian in effetti origliava, e sbirciava anche nei carrelli della spesa degli altri al supermercato. Sì, quelli come i Miller probabilmente usavano parole come «edotta» e «miriade», anche da Buehler. Tutti e quattro i loro ricchi figli probabilmente educevano e miriadavano a più non posso. Little Bitty e Charles Junior probabilmente avrebbero usato queste parole, parlando con il Babbo Natale sobrio da Freedlander.
Ma Vivian non pensava alle parole che non conosceva mentre camminava per andare al lavoro sbuffando nuvolette gelate, e con la neve scricchiolante sotto i piedi. Pensava a quanto era contenta che Betty Miller l’avesse vista con il cappellino nuovo. Era l’ultimo rimasto da Beulah Bechtel, quel pomeriggio, e Vivian l’aveva poggiato sul bancone vicino alla cassa con dita tremanti e colpevoli, che invece avrebbero dovuto spingere quei soldi verso l’impiegato della banca per chiedergli di versarli sul suo libretto di risparmio. Aveva visto Betty al reparto pellicce, che guardava il cappello con bramosia. Come se fosse pronta a mangiarselo per pranzo, se solo avesse potuto, con i suoi dentini bianchi e aguzzi. I denti di Betty Miller non erano realmente aguzzi, solo che Vivian li immaginava così. Denti aguzzi in una boccuccia feroce, apparentemente pronta a strapparti la carne dalle ossa con la stessa indifferenza con cui sorrideva e faceva commenti sul tempo.
Vivian aveva risparmiato per mesi per potersi comprare quel cappello. Un cappello bellissimo che, lo sapeva, non era stato creato per una come lei, ma che forse, se l’avesse comprato, l’avrebbe fatta sentire un pochino come i palloni gonfiati. Degna di qualcosa di bello. Se avesse detto a Edward quanto costava, lui l’avrebbe fatta rinchiudere in manicomio. Betty Miller probabilmente avrebbe potuto comprarsene quattro o cinque di quei cappelli quel giorno, così, su due piedi. Se ce ne fossero stati altri, s’intende. «È fortunata» aveva detto a Vivian la commessa (Doris, forse?) mentre avvolgeva il cappello nella soffice carta velina color lavanda. «Questo è l’ultimo che ci è rimasto.»
Vivian, con i vecchi stivaletti sfiniti e l’elegante cappello nuovo, abbandonò l’aria gelida della notte ed entrò nell’edificio in mattoni, chiudendosi la porta alle spalle con un «Brrrr!» prima di avviarsi verso il guardaroba. Si scrollò di dosso il cappotto e poi si tolse con grande attenzione il bel cappello nuovo. La commessa da Beulah Bechtel l’aveva chiamato «blu di Prussia», ma Vivian non sapeva cosa fosse. Secondo lei era più un blu marino scuro. Beulah prendeva come commesse le ragazze del college e chissà, Doris magari studiava il prussiano, o qualcosa del genere. A ogni modo quel punto di blu si accompagnava bene agli occhi di Vivian, e in particolare le piaceva come il cappello le scendeva sulla fronte sul lato destro. Chic, aveva letto nelle sue riviste di moda, e tra sé lo pronunciava chick, come pollastrella. Posò con cura il cappello sopra il vecchio paltò che aveva appeso a uno dei ganci nel guardaroba e poi raggiunse la sala dei centralini, afferrò la sedia con le ruote facendola scorrere sulle assi rovinate del pavimento e si riavvicinò al tavolo per indossare la cuffia.
«Chi è che aveva moglie?» domandò a Dorothy Hoffman che doveva essere lì seduta già da un quarto d’ora.
«Eeh?» Dorothy spostò l’auricolare sui capelli, dietro l’orecchio, e si girò verso Vivian.
«Chi è che aveva moglie nella filastrocca del contadino col podere? Chi è, la coccinella?»
«La coccinella?» Le sopracciglia di Dorothy disegnate con la matita formarono una m dentellata sulla sua fronte pallida.
«No?» chiese Vivian, studiando le sopracciglia di Dorothy. Avrebbe dovuto usare la matita marrone, anziché nera. Il nero le dava un’aria arrabbiata, mentre Dorothy forse era soltanto un po’ seccata, come sempre succedeva quando Vivian arrivava in ritardo e poi attaccava a parlare di filastrocche infantili.
«Una coccinella sposata? E che senso ha?»
«Non lo so. Un senso c’era, solo che non me lo ricordo. Mi ricordo solo il suono…» Tornò a girarsi verso il centralino muto davanti a sé, inclinò la testa e rimase a fissarlo.
«È Cincirinella, il contadino con il podere e la moglie» disse Dorothy, che per quanto fosse seccata non poteva lasciar credere a Vivian che esistessero coccinelle con tanto di mogli.
«Cincirinella? Sei sicura?» Vivian si girò di nuovo verso Dorothy con il dubbio stampato in faccia. Era una filastrocca, santo cielo. Perché non poteva esserci una coccinella sposata?
«Non credo neanche ci sia, una coccinella nella filastrocca, figurarsi sposata. Magari ti confondi con “mortadella”.»
«Mortadella?»
«Sì, tesoro, mortadella.»
Vivian tornò a guardare il centralino e scrollò vigorosamente i boccoli scuri che aveva acconciato con cura per somigliare alla Bette Davis di Eva contro Eva.
«Be’, la mortadella non prende moglie di sicuro» mormorò, poi scoppiò in una risatina all’idea di due fette di mortadella davanti a un prete. Una coperta da un velo.
«Infatti.» Dorothy alzò gli occhi al cielo come a volte faceva. Canticchiò le parole della filastrocca coprendo il microfono con la mano.
Ogni tanto c’era un corto nei circuiti elettrici, e anche se la centralinista si ricordava di escludere l’audio, si sentiva lo stesso la voce attraverso la linea attiva. Dorothy aveva imparato la lezione a sue spese, e ora era particolarmente attenta a escludere il microfono e a coprirlo quando parlava con le altre ragazze nella sala dei centralini. Perfino il sindaco di Wooster l’aveva sentita dire una parolaccia, e questo le era costato due settimane di sospensione senza paga. Vivian non diceva mai quella parolaccia, però diceva tutte le altre e stava sempre ben attenta a coprire il microfono con la mano quando parlava con le ragazze nella stanza.
Ora guardò il centralino corrugando la fronte, pensando ancora per un momento a quella fetta di mortadella solitaria. Le sembrava di vederla, una fetta di mortadella sotto la luce di un riflettore, sola soletta in mezzo a un tavolo. Una mortadella solitaria. Una mortadella single.
A un tratto una delle luci del centralino prese a lampeggiare davanti a lei.
Si affrettò a inserire il jack, azionò l’interruttore e sistemò il microfono.
«Numero, prego.»
Vivian era un po’ distratta dall’idea della mortadella solitaria sotto la luce, perciò inoltrò la chiamata e tolse l’audio. Se non fosse stata distratta avrebbe origliato.
«Si vengono a sapere un sacco di cose, così» aveva detto a Edward una delle prime volte che erano usciti insieme.
Per quanto non fosse consentito, Vivian e le altre ragazze che lavoravano al centralino della compagnia telefonica Ohio Bell in East Liberty Street ascoltavano le telefonate altrui. Ogni giorno inserivano i jack, azionavano gli interruttori e si attaccavano alle cuffie per scoprire cosa succedeva a Wooster e dintorni. Si sarebbe potuto dire che erano le orecchie della città. Se fosse stato per Vivian, sarebbero state molto più di quello.
A sentire lei, aveva una forte predisposizione a capire le persone e le loro personalità, e ascoltare le conversazioni alla Bell contribuiva in tal senso. Era capace di intuire molte cose basandosi solo su pochi dettagli. Per esempio, quando Ray Barnes chiamò sua madre da New York per dirle che aveva una grossa sorpresa per lei, Vivian capì subito che quella sorpresa era una nuova fidanzata, e capì anche che la ragazza alla signora Barnes non sarebbe piaciuta per nulla. A ragione, probabilmente, se doveva essere sincera; quella fidanzata doveva essere una ragazza poco seria. Le brave ragazze si trasferivano a New York dalle città più piccole, non andavano via da New York per spostarsi in periferia.
Ruth Craven era stata in ascolto il giorno che la madre di Ray Barnes aveva chiamato sua sorella a Mansfield per lamentarsi della «ragazzetta che Raymond si era portato a casa da New York», e di come quella stava rovinando il suo «povero bambino innocente». «E sapessi che musica da negri ascolta!» Ruth era stata così generosa da condividere le informazioni anche con le altre, e da ricordare loro le parole di Vivian. Alcune la prendevano in giro, quando lei diceva di conoscere le persone, però dopo quella telefonata tutte avevano preso a guardarla con più rispetto.
«Non c’è bisogno di una laurea in chissà cosa, e neanche di un diploma di scuola superiore, per conoscere le persone» soleva dire Vivian.
Di recente non c’era stato praticamente nulla da sapere su nessuno, e Vivian un paio di volte si era quasi addormentata davanti alla consolle. Gli abitanti di Wooster parlavano degli argomenti più noiosi che si potessero immaginare. Nell’ultima settimana, per esempio. Lunedì la signora Butler si era lagnata con la signora Young perché sua figlia Maxine non la chiamava mai, neanche dopo che lei le aveva inviato la magnifica trapunta patchwork con il motivo a girandola alla quale aveva lavorato tanto. Martedì Earl Archer aveva telefonato a sua moglie Dora dalla biglietteria ferroviaria perché aveva di nuovo dimenticato il portafoglio sul mobile della cucina, e l’aveva pregata di prendere l’autobus per andare a portarglielo. Mercoledì Clyde Walsh aveva chiamato Ginny Frazier per invitarla da A&W quel pomeriggio, una volta che Clyde avesse finito di spalare il marciapiedi davanti alla casa di sua madre, e Ginny Frazier (per l’ennesima volta) gli aveva detto di no.
Vivian aveva collegato fra loro gli utenti, e, per quanto fossero noiose, era stata ad ascoltare le telefonate e aveva tratto le sue conclusioni. Secondo lei la signora Butler avrebbe dovuto mettersi in macchina e andare a Columbus, fare irruzione in casa della figlia e riprendersi la trapunta. Earl avrebbe dovuto darsi una mossa e tornare a casa a recuperare il portafoglio, piuttosto che far prendere l’autobus alla povera Dora con quel freddo solo perché lui era un idiota distratto. E Ginny Frazier doveva pensarci bene, prima di rifiutare Clyde Walsh, perché non era affatto detto che avrebbe trovato di meglio. Se Clyde riusciva a non badare a quella sua faccia piatta come una padella, allora valeva bene un hamburger e un affogato da A&W. Quanti ragazzi della sua età spalavano ancora la neve davanti alla casa della madre? E poi aveva sentito abbastanza telefonate tra Clyde e Ginny per sapere che lui faceva sul serio. Secondo Vivian, quel genere di devozione andava ricompensato. Ma la signora Butler, Earl e Ginny non avrebbero mai ascoltato i consigli di Vivian, e questo non avrebbe giovato loro.
Vivian non sempre riconosceva le voci degli utenti o i numeri che fornivano. Wooster era piccola, ma non così piccola. Se la voce o il numero non le erano familiari, era impossibile sapere chi ci fosse all’altro capo della linea, ma lei trovava comunque delle soluzioni per i problemi di tutti. C’erano giorni in cui pensava che forse i chiamanti avrebbero dovuto essere consapevoli che li sentiva, così anziché limitarsi ad ascoltare avrebbe potuto intervenire e dar loro in diretta quei buoni consigli di cui sapeva che avevano bisogno. Per loro sarebbe stato un vantaggio, questo era sicuro. Ma non poteva farlo. Le operatrici telefoniche non dovevano ascoltare le chiamate. Vivian non sapeva se fosse proprio vietato da una regola o semplicemente non fosse visto di buon occhio; era passato tanto tempo da quando aveva letto il regolamento. Se qualcuno le avesse fatto un appunto, ci avrebbe riso sopra e avrebbe risposto che tanto non c’era niente che fosse degno d’essere ascoltato. Trapunte patchwork e portafogli dimenticati e A&W… santa pace!
Le telefonate che facevano aumentare le pulsazioni delle centraliniste erano quelle per l’ospedale e la polizia o i vigili del fuoco. Vivian aveva il buon senso di trasmettere quelle chiamate immediatamente.
Però sì, a volte poi le ascoltava anche, se non altro per accertarsi che non venissero da casa sua. Perché per quanto fosse intelligente, Charlotte a volte non stava attenta ai fornelli, e aveva preso l’abitudine di prepararsi i popcorn quando tornava da scuola, e lo sapeva il cielo, Edward un giorno o l’altro si sarebbe tagliato un braccio con uno di quegli attrezzi affilati che usava nella rimessa, o si sarebbe dato una martellata su una mano al tavolo da lavoro in cantina.
Quello che le sarebbe veramente piaciuto sentire era qualcosa di scandaloso, qualcosa di fuori dell’ordinario. Qualcosa come la questione di Julius ed Ethel Rosenberg di cui le aveva parlato Edward. Spie sovietiche! L’intrigo era finito sui giornali di tutto il mondo, ma quello che a Vivian interessava della storia era soprattutto il fatto che le spie fossero una coppia sposata. Quello sì, era un ...