Il team invisibile
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Il team invisibile

Come diventare una squadra vincente e affrontare le sfide del lavoro e del mondo che cambiano

  1. 192 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Il team invisibile

Come diventare una squadra vincente e affrontare le sfide del lavoro e del mondo che cambiano

Informazioni su questo libro

"10 febbraio 2021. Eccomi per la terza volta al campo del Manaslu. Il mio sogno è sempre quello: salirci d'inverno. Mentre rifletto, mi rendo conto però che non sto lavorando al mio progetto da solo. Penso a Marianna che sta facendo tante cose... Noi due siamo quelli che vanno nel pollaio, che piantano le patate, le raccolgono, le pelano, le cucinano e le servono. Cosa vuol dire? Che abbiamo le mani segnate, teniamo sempre i piedi per terra e siamo polivalenti. Perciò, quando nasce un progetto, sappiamo fin da subito che cosa bisogna fare in ogni passaggio. E questo è il nostro lato ruspante, che è abbastanza inusuale nel mondo del management. Ma in un team invisibile ci deve stare tutto, anche questo". (Simone). Simone Moro e Marianna Zanatta sono un team invisibile in costante evoluzione dal 2008. In tutti questi anni il loro modo di collaborare si è adattato al cambiamento delle condizioni esterne, delle esigenze del business e delle rispettive legittime ambizioni. Al contempo la loro squadra ha superato crisi, lutti, noia, scontri frontali, elaborato un linguaggio funzionante, affinato doti relazionali e di gestione del conflitto, integrato collaboratori, imparato a delegare e a condividere. Insomma, il loro è stato (e continua a essere) un team in cui il successo crescente è frutto del contributo di tutti, visibili e invisibili, ciascuno per la propria parte. In un momento storico in cui il mondo del lavoro sta cercando nuove modalità organizzative a seguito della pandemia, in cui i singoli si sentono spesso isolati a casa davanti al pc, Simone e Marianna - smart worker ante litteram - offrono a tutti la propria esperienza in team per aiutare a valorizzare quella parte fondamentale della vita che è il lavoro e a districarsi nella selva della comunicazione che, con l'avvento dei social, è diventata sempre più fitta e insidiosa. Il loro esempio e i loro consigli non si rivelano utili solo per moltiplicare stimoli e opportunità, ma soprattutto per crescere come professionisti e come persone. Cosa che può avvenire soltanto se ci si mette correttamente in relazione con gli altri. In team, su un palcoscenico e dietro le quinte.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2021
Print ISBN
9788817149433
1

COME NASCE UN TEAM

Invisibile. E invincibile
Nel libro Devo perché posso, pubblicato da Rizzoli nel 2017, abbiamo già raccontato come ci siamo conosciuti, quando abbiamo iniziato a lavorare insieme in The North Face Emea, rispettivamente in qualità di sport marketing manager e di atleta di punta del team, e anche delle ragioni per cui, dopo una pausa, ci siamo ritrovati professionalmente fuori dall’azienda da cui eravamo partiti.
Quello di cui non abbiamo mai parlato sono i nostri percorsi come individui e professionisti che ci hanno portato negli anni a costruire e definire il team che siamo oggi.

La molla del cambiamento…

Tutto è partito dal fatto che a entrambi, in parallelo, è scattata la molla del cambiamento.
Tra le due fasi della nostra collaborazione, prima in azienda per nove anni e poi all’esterno, da imprenditori di noi stessi, per altri undici anni (fino a oggi!), ce ne sono stati tre “cuscinetto” durante i quali siamo rimasti connessi ma non totalmente allineati.
Nei primi Marianna, come manager aziendale, ha vissuto un momento di scontentezza e di disagio che, per etica professionale, non poteva certo comunicare al “proprio” atleta Simone, e che l’avrebbe presto condotta alla decisione di uscire da The North Face. Il terzo anno, corrispondente al periodo sabbatico di Marianna, seppur ancora connessi, ci trovavamo in fasi diverse delle nostre vite e avevamo bisogni e desideri differenti. Marianna, sposata da poco, si era trasferita in un’altra città e, sul piano professionale, per lei quello era un periodo di smarrimento, in cui sentiva l’urgenza di chiarirsi le idee su chi era, cosa voleva e dove stava andando. Simone, invece, stava diventando papà per la seconda volta e stava conquistando pubblicamente piano piano il “titolo” di alpinista delle invernali. Entrambi nel pieno della carriera, Marianna aveva dato uno stop forte mentre Simone stava schiacciando sull’acceleratore.
In quei tre anni vissuti diversamente, disallineati fra noi, connessi da un dialogo limitato dai ruoli precedenti, abbiamo maturato separatamente la decisione di cambiare. Questo ci porta a porre un interrogativo generale che può toccare – anzi deve, è bene che tocchi – chiunque nell’arco della propria vita lavorativa: come si arriva a capire che è il momento di cambiare? E ancora: in che modo scatta la molla che fa passare dall’idea ai fatti? E poi: come gestire questo momento in maniera virtuosa, così che la mutazione sia una vera crescita?
Come si arriva a capire che è il momento di cambiare?
Come vedete, c’è tanta carne al fuoco.
Proviamo ad avvicinarci con le nostre storie personali.

… per Marianna…

Da un paio d’anni Marianna aveva iniziato a provare malessere e insoddisfazione in The North Face, a non sentirsi più a proprio agio nel ruolo. In quel periodo tenne duro solo perché il rapporto con gli atleti e la partecipazione agli eventi sportivi costituivano una parte del suo lavoro che le piaceva così tanto da non essere pronta a rinunciarvi. Trovava la sola idea più dolorosa che passare sopra alle situazioni e alle sensazioni che iniziavano a starle strette: stanchezza vera e propria per i ritmi di lavoro serrati, un rapporto non facile con il suo capo diretto, una difficile intermediazione tra ambiente interno, organizzato secondo la piramide aziendale, ed esterno molto vario e frammentato nel suo essere composto da fornitori e, ovviamente, dal variegato team di atleti.
L’opzione di uscire dall’azienda però si era insinuata nella sua mente a seguito di un evento traumatico (anzi due). Nell’agosto del 2006 la norvegese Karina Hollekim aveva avuto un incidente quasi fatale, mentre eravamo tutti a Chamonix per un servizio fotografico e l’attendevamo… Arrivò la chiamata di un medico dell’ospedale di Losanna che chiedeva a Marianna di recarsi in ospedale perché Karina si era sfracellata al suolo durante un’esibizione dimostrativa di BASE jumping, uno sport estremo che consiste nel lanciarsi nel vuoto da varie superfici e atterrare mediante un paracadute. Inizialmente Karina era stata data per spacciata, non avrebbe camminato mai più. Invece, piano piano, dopo numerose operazioni, e grazie a tanta determinazione, Karina non solo è tornata a camminare ma si è trasformata fortunatamente in una mamma felice di due bambini e sta davvero bene! Però i mesi successivi a quella chiamata furono davvero tosti e noi, più volte, ci recammo a Oslo per darle almeno un supporto psicologico oltre che garantirle la continuazione del contratto.
Il 20 dicembre 2006, poi, Barbara, moglie di Simone, avvisò per telefono Marianna dell’incidente di un altro atleta del team, Harald Berger. Hari, campione a livello mondiale di arrampicata su ghiaccio e scalatore-esploratore di cascate di ghiaccio in tutto il mondo, morì mentre si allenava proprio dietro casa, in una grotta di ghiaccio chiamata Eiskapelle vicino a Hintersee, in Austria. Mancavano pochi giorni alla nascita di Zoe, figlia tanto desiderata e aspettata. Zoe nacque poche ore dopo la morte del papà.
Per Marianna fu il colpo di grazia. Al di là del dolore per la perdita in sé, s’insinuò in lei il dubbio sul valore del proprio lavoro. “Sono quella che finanzia i sogni che portano alla morte?” Questo interrogativo scatenò il pensiero: è ora di cambiare. Tra l’altro proprio Harald, all’ultima riunione del team al completo, le aveva chiesto a bruciapelo: «Quand’è che inizi anche a vivere la tua vita?».
Il dubbio sul valore del proprio lavoro può scatenare il pensiero: è ora di cambiare.
Stanchezza, insoddisfazione, dolore, dubbio e la domanda di Harald nelle orecchie, a un certo punto la spinsero a prendere la decisione di uscire dall’azienda per un periodo di pausa. Era la fine del 2007.
Fu una scelta coraggiosa che sicuramente le costò fatica.
O fu una scelta folle? Molti la consideravano una sprovveduta: come si fa ad abbandonare un posto che tutti invidiano senza nessuna alternativa concreta e immediata? In più, in piena crisi economica mondiale?
Ma per Marianna era arrivato il momento, ed era stato necessario e importante mettere tutto in discussione. E facendolo, attraverso un lungo percorso ha messo a fuoco che per lei il punto di svolta non consisteva tanto nel cambiare lavoro o ruolo, quanto nel riuscire a svolgerlo al di fuori di una struttura organizzativa che le stava stretta.
Figlia non di imprenditori bensì di lavoratori dipendenti, quindi non con il fare impresa nel DNA, Marianna non aveva capito subito che quello che le mancava non era un avanzamento di carriera, ma l’opportunità di mettersi in prima linea, scommettendo su una nuova formula come freelance, con oneri e onori che questa condizione comporta. Gli ingredienti di base del lavoro – lo stile di management degli atleti, le competenze specifiche e le abilità “gentili”, il network – rimanevano assolutamente gli stessi, cambiava solo la posizione che passava da esecutore a intermediario, mediatore, moderatore, e ovviamente cambiava la sovrastruttura… che non c’era più!
Ripensandoci tanti anni dopo, la svolta è avvenuta attraverso un processo molto più lento di quanto percepito al momento delle dimissioni. Queste infatti sono state il frutto di tante esperienze vissute e di un processo complesso di crescita e consapevolezza.
Che cosa è servito per compiere l’ultimo salto?
La risposta non vorrebbe sentirla nessuno: bisogna entrare pesantemente in crisi.
Effettivamente il passaggio attraverso un momento di crisi o un episodio traumatico è uno dei possibili motori del cambiamento. Almeno per Marianna è stato così.
Il passaggio attraverso un momento di crisi o un episodio traumatico è uno dei possibili motori del cambiamento.
Prima di tutto, però, va fatta una precisazione: quando parliamo di crisi e di trauma, non facciamo riferimento solo a eventi ed episodi macroscopici, che appaiono tali anche a un osservatore esterno. Il meccanismo che innesta il cambiamento è qualcosa di molto più soggettivo e personale: nel percorso professionale di ciascuno di noi sono tantissimi i fattori che concorrono al nostro benessere e alla nostra soddisfazione. Spesso poi si tratta di un equilibrio delicato e può bastare poco per uno sbilanciamento e una conseguente crisi. Gli esempi sono tantissimi e anche molto diversi tra loro: può essere percepito per esempio come traumatico il cambiamento del nostro responsabile diretto, lo spostamento di un membro del nostro team di lavoro che era per noi molto importante, la ridefinizione dei nostri compiti e del nostro ruolo, una valutazione che non tiene conto del nostro impegno o delle nostre competenze… E si potrebbe andare avanti all’infinito.
Quello che davvero conta, in questo discorso, è restare in ascolto di noi stessi per cogliere lo stato d’animo che la nostra situazione professionale ci induce: solo così infatti saremo in grado di riconoscere una crisi che potrebbe essere motore di un cambiamento.
Quello che davvero conta è restare in ascolto di noi stessi: solo così saremo in grado di riconoscere una crisi motore di un cambiamento.
Volendo ricondurre a uno schema i passaggi, e di conseguenza semplificando un po’, possiamo descrivere così questo percorso:
  • inizia con la comparsa dell’insoddisfazione, che tende a crescere nel tempo;
  • a un tratto, un fatto inaspettato di grande impatto mette a dura prova le “antiche” convinzioni e fa andare oltre le proprie paure;
  • accade così che non ci si sente più a proprio agio in un ambiente, che da zona di comfort si trasforma in zona di discomfort;
  • a quel punto si innescano altri meccanismi: il sentirsi non gratificati, non appagati, e bisognosi di altro, anche ignoto.
Per un po’ puoi andare avanti a pillole di placebo – nel caso di Marianna, dai corsi di formazione sulle vendite, o di sport marketing in giro per l’Europa fino a decidere di passare l’esame Delf B1 di francese, anche se ha poca attinenza con il lavoro –, ma trattandosi appunto di placebo l’effetto ha una durata limitata, e a un certo punto ti rendi conto che non basta più la ricarica di energia che ti può dare ascoltare alla radio Il Volo del mattino mentre percorri la strada verso l’ufficio, e non basta più l’affetto per i tuoi atleti, né l’amore per quello che fai. Tutto questo rischia di trasformarsi soltanto in freno o addirittura in prigione, e o decidi di guardare bene dentro alla questione, di capire cosa non va, di trovare il bandolo della matassa e sbrogliarla raggomitolando il filo nel modo giusto, o il rischio è di rimanerci bloccato a vita, perché a quel punto lo sai bene che, se non ti muovi tu, tutto resterà com’è e non ci sarà nessun miglioramento calato dall’alto.
Alla fine è importante sentirsi responsabili del proprio destino, imparare ad ascoltare e ad ascoltarsi, e serve forza di volontà. È necessario affrontare l’ignoto accettando che sia ignoto, perché lo è sempre: che tu esca da una porta solo per metterti seduto un attimo sotto l’albero o per varcare un’altra porta. E, per affrontare l’ignoto, bisogna trattenere il respiro e fare il passo.
È importante sentirsi responsabili del proprio destino.
È chiaro che non lo fai da sprovveduto. Valuti il contesto in cui sei, cerchi di capire cosa sia già a tua disposizione, utile e funzionale, cosa sia a tua disposizione ma magari non totalmente funzionale però quantomeno adattabile, e cosa invece non hai, e devi in qualche modo trovare oppure strutturare.
Stiamo parlando di svolte affrontate in età adulta, e che quindi coinvolgono in un modo o nell’altro tutti gli aspetti della vita, sia professionale sia privata, e quindi la risposta alla domanda “Il mio cambiamento è ecologico per me e il mio contesto?” è la più importante a cui rispondere.
Può avere a che fare con il luogo in cui si vive, la condizione economica, la composizione della famiglia, gli obiettivi condivisi con il partner, ma può anche avere a che fare con altri obiettivi personali.
In quale modo tutto ciò influisce sul mio cambiamento? Quanto di questo cambiamento va a influire su tutto il resto? E come?
A meno che tu non sia nato ricco figlio di papà (e non era il nostro caso), la valutazione dell’autonomia economica nel compiere un passo come quello di Marianna è se non la prima, sicuramente la seconda cosa da fare. Su questo punto vale quanto appena detto: occorre fare i conti della serva con quanto hai a disposizione e quanto puoi durare in autonomia investendo sulla tua nuova attività, visto che vuoi scommettere da imprenditore e non passare a un’altra realtà con uno stipendio fisso.
A questo si aggiunga che Marianna – in una fase della vita in cui, da donna appena sposata, poteva ambire a una maternità sostenuta dall’azienda – si è trovata di fronte a un altro bel dilemma: attendere e godere dei diritti delle lavoratrici dipendenti, oppure perderli ma investire nella propria evoluzione professionale?
Considerando di diventare un lavoratore autonomo, devi comunque preventivare di provvedere in tutto a te stesso. Se prima potevi contare su una responsabile amministrativa, un IT organizzato, un centralino, un magazzino e un magazziniere, un esperto consulente per qualsiasi cosa, di punto in bianco ti ritrovi a essere tu il manager responsabile di ogni area dell’attività, e sei chiamato a diventare esperto di ogni settore, almeno in parte, così da individuare i consulenti giusti da tenere al tuo fianco. Insomma, la vita cambia per davvero.
Ma, ça va sans dire, che se è ciò che vuoi, tutto viene considerato e aggiustato per arrivare a quell’obiettivo, a quel cambiamento, non c’è ostacolo economico, famigliare o di conflitto con altri obiettivi che tenga! Sarà meno semplice, prevederà tempi di attuazione più lunghi, richiederà di mettere in campo maggior creatività e maggior coraggio, ma sarà possibile!
Un partner o...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il team invisibile
  4. Campo del Manaslu, 10 febbraio 2021
  5. Montello, 10 febbraio 2021
  6. 1. COME NASCE UN TEAM. Invisibile. E invincibile
  7. 2. COME CRESCE UN TEAM. Da “2 sognatori & 1 progetto” a una squadra complessa e articolata
  8. 3. VISIBILI & INVISIBILI. Fiducia, sintonia, autonomia, riconoscimento: quando tutti sono il team
  9. 4. SMART IN TEAM. Motivazione e responsabilità nel lavoro a distanza
  10. 5. IL TEAM NON CONOSCE SESSO. Superare gli stereotipi per lavorare e vivere meglio
  11. 6. VITA LUNGA (E SERENA) AL TEAM. Valori, linguaggio, gestione delle crisi e del cambiamento
  12. Ringraziamenti
  13. Copyright