Quel maledetto Vronskij
eBook - ePub

Quel maledetto Vronskij

  1. 240 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Quel maledetto Vronskij

Informazioni su questo libro

Dalla penna di un grande narratore, la storia di un uomo che non crede alla fine di un amore. Un romanzo irresistibile di ossessioni, tenacia e tenerezza. "Perdonami, sono tanto stanca. Non mi cercare." Solo questo lascia scritto Giulia, prima di scomparire nel nulla. E suo marito Giovanni, nella casa improvvisamente vuota, si sente un naufrago. Il loro è un amore fatto di cose minime: la colazione al mattino, con le fette imburrate e la marmellata; un bacio volante prima di andare al lavoro e un altro più lungo la sera, quando lui torna dalla tipografia con le dita sporche d'inchiostro; abbracciarsi in giardino, tra le rose che lei ha potato con cura. Dopo una vita insieme, non hanno ancora perso la voglia di farsi felici l'un l'altra. O almeno, così credeva lui.
Adesso Giovanni, in cerca di risposte, guarda tra i libri di Giulia e dagli scaffali pesca il più voluminoso: Anna Karenina. Comincia a leggere. E si convince che sua moglie abbia trovato un altro uomo, un amante focoso, un maledetto Vronskij.Gelosoe amareggiato, si chiude in tipografia, deciso a creare una copia unica del capolavoro di Tolstoj: carta pregiata, copertina in pelle, nella speranza, un giorno, di farne il suo ultimo pegnod'amore per Giulia.
Ma la vita non è un romanzo, procede per strappi lievi e imprevedibili. Quando il mistero della scomparsa si svela, Giovanni capisce che c'è sempre qualcosa che ci sfugge, e tutto ciò che possiamo fare è smettere di averne paura.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Quel maledetto Vronskij di Claudio Piersanti in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2021
Print ISBN
9788817154925
eBook ISBN
9788831803397

1

Non si piaceva, non si era mai piaciuto, neanche da ragazzo, e forse per questo già allora cercava di vestirsi con cura, da uomo, non come i suoi coetanei che accanto a lui sembravano fratelli minori. Anche continuando a frequentare malvolentieri la scuola aveva cominciato a lavorare a quattordici anni, d’estate e nei pomeriggi liberi, e con i suoi primi risparmi si era comprato un vestito blu e una cravatta. Sua moglie ci teneva quanto lui e nei suoi cassetti non mancavano mai camicie ben stirate e gilet senza maniche di diversi colori, che essendo da anni il regalo fisso di Natale si potevano definire una collezione. Ma se non si apprezzava troppo fisicamente, anche per il corpo assurdo che aveva, lungo e magrissimo, non era meno severo con le sue caratteristiche psicologiche. E quelle neppure una cravatta sgargiante poteva nasconderle. La gentilezza lo avvolgeva come una camicia di forza. Magari di buon tessuto morbido ed elastico, poco appariscente. E dello stesso tessuto doveva essere il bavaglio invisibile che lo costringeva al suo detestato sorriso. Detestato solo da lui, in verità, da quando se lo vedeva rinfacciare dalle troppe fotografie della sua vita. Troppe per quel sorriso che nei decenni era cambiato pochissimo, assumendo forse una piega leggermente malinconica. Le prime rughe in fondo lo miglioravano, gli davano un’aria più misteriosa, e neppure veder spuntare qualche capello bianco sopra le orecchie gli dispiaceva. Aveva sempre giocato d’anticipo, con il tempo. A vent’anni ne dimostrava trenta, ci teneva a sembrare un adulto e non voleva essere trattato come un ragazzo.
Le persone che erano con lui sul tram diretto verso il centro lo avrebbero definito un sobrio signore di mezz’età, magrissimo e alto com’era, e piuttosto elegante anche se i suoi abiti e le sue scarpe, di buona qualità, sembravano un po’ fuori moda. In effetti abiti scarpe e cravatte erano stati acquistati molti anni prima ma una delle sue caratteristiche era appunto questa: era un conservatore. Non in politica ma nell’economia domestica. Conservava tutte le sue reflex, le sue macchine per scrivere Olivetti, il suo primo Apple con hard disk esterno made in Los Angeles, l’enciclopedia storica regalata da suo padre per il matrimonio, e appunto tutti i suoi vestiti degli ultimi trent’anni. Quando sua moglie se ne lamentava riusciva a comprimere le sue collezioni in spazi sempre più ridotti. Non c’erano cassetti normali in casa sua, ma puzzle a geometrie variabili e neppure un centimetro cubo andava sprecato. Restava un angolo nel mobile sottoscala? Lui ci sistemava un portapenne rovesciato pieno di Bic rosse a punta fine. Ne aveva almeno un centinaio, nascoste in posti strategici che ricordava senza problemi. In meno di mezzo centimetro erano raccolti i suoi tipometri. Lì c’era la sua collezione di lastre in rame con le illustrazioni di un antico volume di botanica, lassù i suoi contafili, i più belli mai costruiti, con lenti perfette senza neppure un graffio, accanto alle piccole scatole in legno con punzoni ancora nuovi. Aveva anche vecchissimi caratteri cinesi in legno, prezioso regalo del suo ex capo che li aveva comprati in un mercatino per due soldi. Per non parlare delle sue collezioni di segni ortografici: frecce, grappe e parentesi, mani indicative, chimica, ecclesiastici, astronomia, matematica, caratteri fonetici, asterischi e stelle. Ogni collezione occupava un posto preciso. Come se vedesse attraverso il legno dei cassetti e delle ante degli armadi, poteva trovare tutto in un minuto. A volte sentiva la nostalgia di una delle sue prime regimental e ricordava sempre dove l’aveva riposta. In effetti aveva diverse manie, su questo concordava con sua moglie.
Il tram andava più lentamente del solito ma c’erano pochi passeggeri. Almeno tre gli erano familiari perché li vedeva da anni. Era uno strano conoscersi, senza saluti e senza conversazioni. Solo sguardi sfuggenti, in cui però la conoscenza reciproca si manifestava in qualche modo rassicurante. È invecchiato, è dimagrita, sta male, sta bene. Quando era bambino, appena arrivato in città con la famiglia un po’ smarrita, pensava che ci fosse un solo tram con il numero 14 ma gli altri scolari gli spiegarono che si sbagliava. La linea era così lunga che ce n’erano diversi in movimento. Perse addirittura una scommessa, aspettando il transito del secondo 14, visibilmente diverso dal precedente. La prima tratta del suo spostamento quotidiano finiva a piazza Cordusio, dove adesso si sarebbe fermato, ma per i vent’anni precedenti prevedeva un’altra tappa in metrò per raggiungere quello che chiamava “il vecchio lavoro”. Non pronunciava mai il nome della storica azienda editoriale che l’aveva licenziato. Tutta quella parte di città era diventata tabù e se ne teneva alla larga come se fosse contaminata: certi incontri e certi stupidi rimpianti sui vecchi tempi andati non facevano per lui. Un signore avvolto in un pesante cappotto avvicinandosi verso l’uscita lo sfiorò e gli chiese scusa. Giovanni si affrettò a rispondere: «Per carità» e gli scattò in automatico l’odiato sorriso accomodante. Ma perché la sua faccia e le sue parole subivano un automatismo del genere? Non voleva certo trasformarsi in un mostro scortese ma così era troppo, mellifluo addirittura. Mellifluo, che bella parola! Non aveva letto molti libri ma disponeva di ben quattro grandi dizionari, uno più vecchio dell’altro, e gli piaceva consultarli quando aveva dei dubbi. Che soddisfazione per il tipografo segnalare gli errori sfuggiti ai signori redattori, ai giornalisti, ai dirigenti, tutti quelli del piano di sopra che in reparto chiamavano Fantozzi. Giunti al capolinea i pochi viaggiatori si alzarono tutti insieme, e lui fece un quasi invisibile cenno di passare alla signora vista mille volte, che passò rivolgendogli un cenno di apprezzamento. E naturalmente lui ricambiò con il suo sorriso. Era davvero una “persona tanto gentile” come veniva dipinto? O la sua era una maschera? Anche il capo del personale che lo aveva licenziato si era rammaricato dicendo: “Una persona così gentile…”. Una persona gentile e anche un po’ pirla, si disse con sincerità. Cos’altro era stato? Da vicecapo del più grande tipografo d’Italia, così giudicava Attilio, aveva insegnato a tutti a usare le nuove tecnologie, perché lui non era rimasto inchiodato in fotoincisa e si era sempre aggiornato. Una volta trasmesso tutto o quasi il suo sapere lo avevano licenziato. Aveva addestrato un drappello e i suoi uomini come primo incarico l’avevano fucilato. Per poi essere fucilati anche loro dopo qualche mese. Quando i morti sono pochi la gente se ne frega, ci ha fatto il callo. Si ha un momento di commozione dopo i cento. Per quattro o cinque, o dieci, quindici, non si modifica neanche il gesto della mano che sta afferrando un bicchiere. La strada del suo negozio era tranquilla, si trovava addirittura qualche posto per parcheggiare e i suoi rari clienti lo apprezzavano. Un giovane africano lo seguì per qualche passo proponendogli accendini e fazzoletti di carta, ma alla fine si accontentò di una moneta, che Giovanni non poteva negare a nessuno. Per anni aveva comprato accendini fazzoletti e calzini, ora viveva come una conquista il gesto liberatorio di una moneta.
«Grazie babbo» gli disse quello voltando i tacchi.
«Buon lavoro» rispose lui e purtroppo gli sorrise. Sollevò la pesante saracinesca che sognava da anni di elettrificare e accese le luci al neon nei due ambienti poco illuminati continuando a darsi del cretino. Da quando sua moglie si era ammalata aveva comprato due telefoni cellulari e chiamò subito a casa. Avevano preso un impegno preciso: quando Giovanni usciva di casa tutti e due dovevano tenerlo acceso e a portata di mano.
«Ciao Dolcezza» le disse e ascoltò con piacere la bella voce della moglie, che gli chiese anche com’era andato il viaggio, perché così chiamava da sempre quel piccolo spostamento urbano di pochi chilometri. Dopo il consueto scambio di informazioni lei gli annunciò una notizia straordinaria, che gli disse abbassando la voce e separando bene le parole.
«Non hai visto che è fiorito l’ibisco? All’improvviso!»
«Ma quando? Ieri sera non c’erano fiori.»
«Penso all’alba.»
Parlarono a lungo di fioriere e fertilizzanti da comprare, di bulbi e infine della cena. A pranzo sarebbe andato con Gino, l’amico di una vita, nella solita tavola calda che frequentavano da anni. Non aveva molta voglia di lavorare, già stava pensando al pranzo. A volte riuscivano a prendere il tavolo da due appoggiato al muro, il più riservato, e quando ci riuscivano mangiavano con il doppio del gusto. Lungo e magro com’era, Giovanni nascondeva un discreto appetito, che negli ultimi anni si era molto attenuato. Quando sua moglie era stata operata si era dimenticato di mangiare per due giorni. Aveva paura di quei giorni, cercava di non pensarli ma ogni tanto gli apparivano come un fantasma spietato davanti agli occhi, qualunque cosa facesse. Indossò il camice e lo abbottonò completamente come aveva sempre fatto, poi sedette davanti al grande schermo che lo aspettava e iniziò a lavorare. Doveva finire di montare testi e fotografie di un grande catalogo pubblicitario che costituiva quasi un terzo del suo non invidiabile fatturato. Non conosceva i redattori del testo, li sentiva soltanto al telefono, ma per la correttezza e per la decenza grammaticale si affidavano da sempre a lui. Trovava circa venti errori, grammaticali e di battitura, in ogni pagina che controllava. Nessun quotidiano in città poteva vantare pagine corrette come le sue, chissà se qualcuno se ne sarebbe accorto prima o poi. Ecco dov’era arrivato il giorno prima: “La nostra splendida cassettiera di Grande Design!”. Addirittura con il punto esclamativo, che cancellò senza esitare un istante. Avrebbe voluto cancellare anche “Grande Design” ma lo lasciò facendo spallucce. Non poteva battersi con il mondo intero. Del resto cos’altro potevano dire di una cassettiera identica a mille altre: che era splendida. Il legno chiaro esibito in superficie non era altro che una pellicola incollata su volgare truciolato, cosa si poteva pretendere per quella cifra insignificante? Forse il quadruplo del suo valore, ma in fondo i clienti non capivano niente e avrebbero spolverato e lucidato con cura la loro stupida cassettiera. Che faceva la sua figura in fotografia, inquadrandola meglio e raddrizzandola, visto che la foto era stata scattata da un dilettante. Aggiunse anche una didascalia in corsivo. Basta un dettaglio, per dare eleganza a una pagina. Giovanni non era un grafico, ma un tipografo con la sua esperienza sapeva fare un po’ tutto. Era anche un ottimo rilegatore, gli bastava sfiorare una carta per capirne qualità e grammatura. Da apprendista aveva anche pigiato i tasti di una gloriosa linotype russa. Novanta tasti: a sinistra cassa bassa, al centro i numeri, a destra le maiuscole. “Il buon veleno del piombo!” diceva il vecchio tastierista mandando giù un lungo sorso di latte disintossicante.
Lavorava e pensava, i ricordi gli facevano compagnia apparendo in rapidi frammenti spesso sconnessi tra loro. Verso le dodici il dépliant poteva considerarsi finito e pronto per la stampa. Il focolare, così si chiamava il supermercato che gli commissionava ogni sei mesi il catalogo delle offerte imperdibili. Il loro capo l’aveva incontrato una volta soltanto: un bel sorriso e anche una certa simpatica faccia tosta. “Vogliamo apparire più belli di quello che siamo” e aveva scoperto i denti piccoli e furbi, accattivante e rapace. I suoi assegni erano sempre coperti e andava in giro con una grande Mercedes nera a ruote alte. Alla fine qualcuno quei mobili stupendi li comprava. Sì, il mondo era dei furbi, si disse, e lui furbo non era mai stato. Inviò il menabò al supermercato e accese la radio per ascoltare le ultime notizie. Nel pomeriggio doveva rilegare soltanto due tesi che aveva già stampato e sarebbe tornato a casa presto. Puntuale come sempre Gino entrò nel negozio all’una meno un quarto. Si era messo in tasca dei semi di zucca senza buccia e ogni tanto ne masticava voracemente uno.
«Buongiorno. Hai stampato la Divina Commedia
«Sì, anche I promessi sposi
Sullo schermo giganteggiava ancora la prima pagina del dépliant pubblicitario e Gino lo guardò scuotendo la sua grande testa.
«Ma mi spieghi perché non la mandano per posta elettronica ’sta roba? Che differenza c’è?»
«Che differenza c’è? Tra guardare uno schermo e guardare un foglio di centoventi grammi di buona carta? C’è la stessa differenza che c’è tra uscire con una delle fotomodelle che vedi alla fila dei taxi e toccarsi davanti al PC a casa tua guardando le donnine nude.»
L’amico ci pensò preoccupato e stabilì che uscire con quelle stangone che avevano trent’anni meno di loro poteva essere più stressante che altro.
«Oggi tanto per cambiare ho di nuovo litigato con mia moglie…» accennò giocando con una vecchia F di legno.
«Povera donna!»
«Ah lo so che tu le dai ragione…»
Si lanciò in bocca tre o quattro semi e li masticò sconsolato. Dopo di che Giovanni chiuse il negozio e se ne andarono a bersi uno spritz nel bar più vicino. Quando Gino si lagnava della moglie i loro dialoghi erano più brevi del solito e molto meno brillanti. Giovanni gli ripeteva le solite frasette di circostanza, le stesse da vent’anni, dette a mezza voce per non schierarsi totalmente con lui contro la Nina, che non aveva tutte le colpe ma neanche nessuna. Era troppo bella per Gino, l’aveva sempre pensato sin dai tempi della scuola e purtroppo l’aveva sempre pensato anche lei. In una battutaccia un suo giovane amante occasionale avuto durante una delle infinite crisi con Gino l’aveva descritta così: “Due palle, è una che si concede e guarda dall’altra parte. È come accoppiarsi con un quarto di manzo…”. Naturalmente non aveva riferito l’aneddoto a Gino ma l’aveva sempre condiviso. Nina era anaffettiva, e anche un po’ troppo viziata da una madre orribile. Si sentiva sprecata con lui. Lo chiamava “ragioniere” come se fosse un insulto. Anche “commercialista di merda”, qualche volta. Gino era una brava persona, anzi Giovanni l’avrebbe definito magnifico, a suo modo perfetto. Perché una bella donna, anche se sfiorita dai quasi cinquanta, non doveva apprezzare un uomo simile? Ottimo padre, marito premuroso, e pure innamorato. Un po’ noioso, questo sì, a volte un po’ noioso. Ma quale marito non lo è? E stava per aggiungere: e quale moglie? Ma non riuscì a pensarlo davvero e gli sfuggì un sorriso. No, sua moglie non era noiosa e non lo era mai stata. Testarda, umorale, a volte diffidente, questo sì, ma con lei in tanti anni non si era mai annoiato. Se avesse dovuto scegliere una persona da avere sempre al suo fianco avrebbe scelto lei. In questo lui e Gino erano molto diversi, ma gli sembrava inutile farglielo notare. Sarebbe sembrata una vanteria e invece aveva soltanto avuto fortuna.
La tavola calda era quasi deserta quando arrivarono e mangiarono nel loro angolo preferito, con vista sulla strada. Presero anche un caffè e il solito amaro con un cubetto di ghiaccio. I pochi presenti parlavano soprattutto di calcio e non incontrarono nessuna delle vecchie conoscenze. Giovanni non avrebbe saputo dire di cosa avevano parlato mangiando, e questo gli sembrò molto bello. Si conoscevano così bene che potevano parlare senza pensare, ripetendo aneddoti e commenti decine di volte. Potevano parlare di automobili, vacanze, calcio, barche, e perfino di motociclette. Come tutti i cinquantenni sembravano sempre sul punto di ricomprarsi una moto, anche se non ne guidavano una da decenni. Insomma non si vergognavano se non affrontavano temi fondamentali. Avrebbero anche potuto parlare dicendo numeri a caso e la loro passeggiata del dopo pranzo non sarebbe cambiata. Di solito Gino parlava e Giovanni ascoltava, e la voce dell’amico gli sembrava una musica qualunque cosa dicesse. Gli faceva compagnia, lo calmava se si sentiva nervoso. Era un piacevole ron ron, la voce di Gino, che solo lentamente saliva di tono fino a farsi quasi acuta. La tavola calda distava circa un chilometro dal negozio di Giovanni, ma era una bella passeggiata, e quando serviva potevano comprare quel che nei loro quartieri non avrebbero trovato. Per esempio la moglie di Gino esigeva una certa senape che si trovava solo in centro e tutte le altre le giudicava immangiabili. Il lungo dettagliato racconto della crisi con Nina occupò quasi tutta la passeggiata postprandiale, giovando all’umore di entrambi. Gino, inizialmente infuriato, parlava adesso con maggiore moderazione, Giovanni era sprofondato in una sorta di leggera ipnosi, e il solito sorriso gentile e accogliente si era impadronito come una maschera del suo volto. Purtroppo la piacevole ipnosi fu infranta da una domanda di Gino, affilata come un rasoio.
«Come sta la Giulia?»
«È ancora a casa, non si sa quando torna al lavoro.»
«Ma sta meglio?»
«Sì, sta meglio…» Ma si rese conto di aver risposto a caso, per non doversi dilungare.
«E la Bruna? non si fa più vedere?»
La Bruna era la cugina di Giovanni, montanara spilungona come lui e cassiera in un piccolo supermercato del centro. Ogni tanto la Bruna si univa al loro pranzo e alla loro passeggiata. In certi periodi partecipava quasi ogni giorno, in altri spariva senza dare notizie, come succede nelle grandi città. Forse per discrezione, o f...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Quel maledetto Vronskij
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. Copyright