Fatti i gatti tuoi
eBook - ePub

Fatti i gatti tuoi

Perché il tuo gatto la vince sempre e finisci per amarlo sempre di più

  1. 160 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Fatti i gatti tuoi

Perché il tuo gatto la vince sempre e finisci per amarlo sempre di più

Informazioni su questo libro

La tua sveglia è ormai diventata il miagolio del tuo gatto? Il suo posto preferito è sulle tue gambe e tu ti ritrovi immobilizzato per non disturbarlo? Il salotto è invaso da scatole in cui lui può accoccolarsi? Allora sei un vero gattaro e questo è il libro per te!
Federico Santaiti - ormai diventato il più celebre "gattaro del web" - racconta gli aneddoti e le curiosità sulla vita insieme all'animale domestico più amato, accompagnando con immagini irresistibili le (dis)avventure che chiunque abbia un gatto si ritrova a vivere ogni giorno.
Un libro di coccole e fusa, un concentrato di tenerezza e divertimento perfetto per ogni "gattaro irrecuperabile".

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2019
Print ISBN
9788817143370
eBook ISBN
9788858699041
1

Come tutto è cominciato

Se soltanto cinque anni fa mi aveste chiesto: «Preferisci i cani o i gatti?», probabilmente avrei risposto: «I cani!»…
Questo perché non avevo mai avuto un gatto.

Estate 2015

La sveglia suonò presto, ma non fu lei quel giorno a farmi aprire gli occhi: qualcun altro l’aveva anticipata. Ancora. Già, perché in quella calda estate del 2015 erano in tanti a sfidare il mio sonno, e a gareggiare su chi dovesse interromperlo prima. Un’accesa bagarre che vedeva contrapposti a competere per il podio: il caldo, afoso e pesante, che ormai da diverse settimane aveva preso residenza a Torino, rendendo inutile qualsiasi ventilatore; la luce, accecante e precisa, che riusciva sempre a intrufolarsi tra gli interstizi della tapparella e a colpire il mio volto; i lavori in strada per l’installazione della fibra, accompagnati dal dolce suono delle ruspe e dei martelli pneumatici.
In questo scenario la sveglia trillava senza assolvere al proprio compito, e quello che sembrava essere un caso eccezionale non fu che il preludio di molto altro. Col senno di poi, posso affermare che comunque da metà agosto in avanti non avrebbe nemmeno più avuto senso possederla.
Mentre arrivava dalla tv accesa la voce di Jovanotti che intonava la sua canzone Estate, titolo adattissimo alle circostanze, in casa stavano finendo i preparativi per la partenza. L’ingresso dell’appartamento via via si riempiva di valigie, un lungo serpentone che partiva da camera di mia sorella e arrivava alla porta. L’arduo compito di caricare le macchine spettava ad Alex, il suo fidanzato, e al sottoscritto. Niente di nuovo, la solita storia dove i ragazzi si spaccano la schiena per risolvere il tetris del bagagliaio, cercando di incastrare nella vettura ogni sacca e valigia, mentre le ragazze provano a far entrare tutto l’armadio dentro agli zaini. Per ogni borsa che usciva di casa ne compariva una nuova, là dove prima era posata una valigia ora spuntavano magicamente due zaini. Il mostro tanto temuto: l’Idra dei bagagli. Ma come nelle più belle leggende, dopo ore di fatiche riuscimmo a domare la bestia e a caricare le due auto.
Chiusi con forza il cofano della mia macchina, dopo qualche tentativo andato a vuoto. Asciugandomi con un fazzoletto la fronte imperlata di sudore, mi sedetti al posto di guida. «Ok, il peggio è passato!» Prima di partire presi il telefono per chiamare Francesca, la mia ragazza, e avvertirla: «Ehi, Fra, abbiamo finito di caricare, massimo dieci minuti e siamo sotto casa tua». «Sì, sì, tanto sono pronta! Puoi salire, così mi aiuti con le valigie?» Avvertii un tonfo al cuore nel sentire quelle parole, la frase rimbombò nelle orecchie e subito un pensiero mi fulminò: il mostro dei bagagli era appena riemerso dagli abissi. Mentalmente cercavo di capire quanto spazio ci fosse ancora nella macchina e le chiesi: «Fra, quante cose ti porti?». Cercando di rassicurarmi, ribatté con decisione: «Il minimo indispensabile, tranquillo!».
Il minimo indispensabile!
Non mi dilungherò a raccontare il viaggio o a elencare quante valigie, zaini, borse o beauty erano inclusi dentro quel «minimo indispensabile», ma vi assicuro che di «minimo» c’era ben poco.
Un sole caldo ci accolse al nostro arrivo, il profumo degli abeti portato dal vento riempì di allegria i miei polmoni. Il cinguettio degli uccelli e il suono dei campanacci delle mucche al pascolo presero il posto dei rumori della città. Tutto intorno si apriva un panorama mozzafiato.
Le alte montagne striate di bianco sulle cime circondavano il terrazzamento naturale sul quale si ergeva il villaggio turistico Dalai Lama. Incastonato come un diamante nel cuore delle Alpi della Valle D’Aosta, era ormai da anni il mio rifugio, un luogo magico dove con la famiglia passavamo le nostre vacanze.
Ricordo bene la sensazione di quando vidi questo posto per la prima volta a 10 anni. Ero un bambino iperattivo, praticavo nuoto, cantavo nel coro della scuola, recitavo a teatro e amavo leggere libri fantasy; quest’ultimo è forse più di tutti il dato importante. In quel periodo stavo leggendo Le Due Torri della trilogia del Signore degli Anelli, e quando quel giorno, dopo un’interminabile serie di tornanti, arrivammo al villaggio, rimasi folgorato. Quanto letto nel libro di Tolkien sembrava aver preso vita. «Edoras» pensai, «la città dei signori dei cavalli!» Il villaggio fatto di casette di legno rispondeva perfettamente alla descrizione della capitale di Rohan, e nei giorni spensierati che seguirono, insieme agli altri ragazzini sognavamo di essere cavalieri erranti e partivamo all’avventura nei boschi limitrofi in cerca di orchi.
A differenza di quei tempi da piccolo eroe, nell’estate 2015 non desideravo nulla se non un po’ di tranquillità e di riposo, più che meritato dopo la sessione di esami appena conclusa. Ma si sa, le cose belle arrivano quando meno te lo aspetti.
Una di quelle mattine mi trovavo seduto sui gradini d’ingresso della mia casetta; ero probabilmente distratto e impegnato a contemplare lo schermo dello smartphone e quindi non mi accorsi di essere osservato.
Con la coda dell’occhio intravidi qualcosa di piccolo e scuro avvicinarsi trotterellando verso di me, alzai lo sguardo e incrociai subito il suo: due occhi verdi dall’aria vispa e furba mi stavano fissando. Non appena l’animale capì di avere la mia attenzione, aumentò il passo e intonò, quasi a volermi salutare, un dolce e suadente miagolio.
Non ebbi nemmeno il tempo di rendermene conto che in pochi secondi me lo ritrovai tra le gambe. «Ehi, ciao! E tu da dove salti fuori?»
Una gattina nera a suon di fusa e miagolii aveva iniziato la sua danza.
La coda sollevata verso il cielo ondeggiava da un lato e dall’altro, mentre con le zampette anteriori, quasi a simulare una marcia sul posto, «impastava» il terreno alternando la destra alla sinistra. Non ero un esperto di gatti, ma dalla corporatura minuta o dai lineamenti del musetto intuii che potesse trattarsi di una femmina. Il pelo era corto, un po’ arruffato e impolverato, apparentemente nero a tinta unita, ma accarezzandolo si riuscivano a intravedere delle leggerissime striature più chiare tendenti al rosso. Al centro e sotto al petto, una piccola macchia bianca.
«Hai fame, non è vero? Aspettami qui!» Entrai in casa e la gatta rimase seduta sulla soglia in paziente attesa. Tornai poco dopo con un piattino e una scatoletta di tonno al naturale.
«Perdonami ma non ho altro, non aspettavo visite da un gatto!»
Aprii la scatoletta e iniziai a versarla quando la gatta, sentendo il profumo, riprese a miagolare. «Un attimo, un attimo!» Posai il piattino sull’erba e lei con un balzo si gettò sul cibo, spazzolando via tutto in meno di un minuto. «Wow, avevi proprio fame!» Raccolsi il piattino e andai a gettarlo, nel frattempo la gatta si era spostata di qualche metro ed era andata a «farsi il bagno» sotto il tavolo sul prato davanti alla nostra casetta.
Chiamai mia sorella: «Ele, vieni a vedere!». Quando uscì, la gattina smise subito di leccarsi il pelo, si alzò e ricominciò il suo convincente «ballo del cibo». A questo giro ci guadagnò del prosciutto cotto.
Dopo aver mangiato si avvicinò nuovamente a me, decisa ad arrampicarsi sulle gambe per accomodarsi sulle ginocchia. Per la prima volta avvertii il pizzico delle unghie che penetrano la pelle.
Completamente impreparato su come trattare un gatto, con fare schizzinoso la presi e la rimisi a terra: «No, no! Sei tutta impolverata, stai giù!». Lei a quel punto decise di sedersi sul gradino al mio fianco. «Ecco, così è meglio!» Le accarezzai la testolina e come un trattore riprese a fare le fusa. «Come la chiamiamo?» chiesi a mia sorella. «Non lo so!»
«È una femmina tutta nera... Che ne dici di Blacky?!» «Ci sta! Mi piace» ribattè, ed entrambi tornammo a guardarla mentre fra una coccola e una carezza Blacky iniziava a socchiudere gli occhi e a addormentarsi.
Restammo così per diversi minuti, quando a un certo punto, dopo essersi stiracchiata, così come era arrivata se ne andò.
I giorni seguenti le sue visite si fecero sempre più frequenti, ormai era diventata una presenza costante; noi di conseguenza ci eravamo attrezzati rifornendoci di alimenti per gatti, crocchette e bustine di cibo umido. E puntuale come un orologio svizzero, alle 12 la si vedeva arrivare.
L’unica che ancora non aveva visto Blacky era la mia ragazza. Francesca si era dovuta assentare per qualche giorno per sostenere un ultimo esame e, proprio mentre ci stava raccontando di come fosse andata la prova, la piccola Blacky si presentò per la prima volta a lei, come al solito annunciandosi con un miagolio. «Eccoti!» esclamò mia sorella mentre si avvicinava per accarezzarla. Sorridendo le dissi: «Oh! Ben arrivata, Blacky», e rivolgendomi a Francesca continuai: «È la gattina di cui ti parlavamo, la piccola e spelacchiata Blacky».
Francesca era l’unica tra noi quattro a sapere qualcosa sui gatti, ne aveva due in casa e fin da bambina era sempre stata abituata a convivere con gli animali. Forse fu per quello che le bastò un’occhiata per accorgersene.
«Ma tu sei incinta!»
La gattina, quasi come se avesse compreso il significato della frase, immediatamente si sdraiò a pancia all’aria proprio ai suoi piedi. «Incinta?!» domandai sorpreso. «Sì, fidati!» ribatté lei. «Mi sembra così gracile...» «Scusa, ma non vedi che pancia ha?» Mi indicò il pancino della gatta che con dolcezza stava accarezzando e seguì qualche secondo di silenzio, interrotto solo dal suono delle fusa.
Rimasi a osservare la scena e iniziai a rendermi conto che effettivamente non era poi così tanto gracile, quindi provai invano a giustificarmi: «Be’, comunque saranno le prime settimane di gestazione, perché ti assicuro che prima di oggi era completamente piatta...». Dopo questo intervento, Fra mi ammonì prima con lo sguardo e poi con le parole: «Guarda che partorirà al massimo tra qualche giorno».
Detto, fatto!

12 agosto

Le sere d’estate in montagna hanno un fascino particolare, i verdi prati spazzolati con delicatezza dal vento al calar del sole diventano il palcoscenico ideale per migliaia di grilli. In quelle ore di crepuscolo il più delle volte il cielo si veste di giallo e di rosso, e mentre i flebili fasci di luce si perdono dietro le creste delle montagne, le stelle si accendono. Nel giro di qualche minuto pennellate di blu colorano la volta, l’aria tiepida si fa fresca, e la Via Lattea si mostra in tutto il suo splendore.
Come era mia abitudine, ogni giorno dopo il tramonto mi sedevo sulla soglia a godere del panorama e dell’atmosfera alpina.
Era una serata normale, e tra una chiacchiera e un sorso di birra ammiravamo il firmamento in cerca di qualche stella cadente. La notte di San Lorenzo era passata solo da due giorni e c’era ancora la possibilità di vederne qualcuna.
«Eccola, l’ho vista!» ruppe d’un tratto il silenzio Fra. «Bellissima, l’ho vista anche io!» aggiunse Ele. A quel punto Alex intervenne con aria scocciata: «Ma possibile che sono l’unico a non averne vista nemmeno una?». Ele, che ha sempre la battuta pronta, disse: «Se sei sfigato e guardi il telefono non è colpa nostra!». Seguirono i soliti battibecchi tra fidanzati, intervallati dalle risate mie e di Fra.
A un certo punto, con il suo solito miagolio, arrivò trotterellando la piccola Blacky. Ogni volta che la gattina irrompeva nella scena sbucando letteralmente dal nulla attirava su di sé le attenzioni di tutti. Da buona ru...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. 1. Come tutto è cominciato
  4. 2. Avere un gatto significa…
  5. 3. I 10 comandamenti del tuo gatto
  6. 4. Sintomi da gattaro irrecuperabile
  7. 5. Paese che vai, gatto che trovi
  8. 6. A domanda rispondo
  9. 7. L’autosgatto perfetto
  10. Copyright