I quattro autori, Wainwright e Kate si fermarono tutti appena entrati nell’atrio, ad ascoltare la casa, e l’aria che si spostava invisibile al suo interno.
Entrando non avevano sentito nulla di particolarmente strano, nessun repentino calo della temperatura, nessuna sensazione di essere osservati, nessun improvviso brivido di paura. Ci fu solo la percezione, lievissima, di un cambiamento nella pressione atmosferica, e una momentanea chiusura delle orecchie. Fu così leggera che nessuno di loro ne parlò. In meno di un minuto era già passata.
Per Daniel Slaughter, la cosa più sorprendente della casa sul Kill Creek era il calore che emanava. Il pavimento, piallato e lucidato a mano più di un secolo prima, mostrava un disegno incoerente di listelli di acero e noce, alcuni più chiari, altri più scuri, in un contrasto di grane, nodi e anelli, di varie lunghezze e larghezze. Quelle imperfezioni, tuttavia, servivano solo ad aggiungere fascino alla struttura. Dove i listelli incontravano le belle cornici lungo ogni parete, erano tutti a filo, tutti a posto.
Un’ampia scalinata dritta era appoggiata al muro occidentale, e portava al piano superiore. Con i suoi pilastri squadrati e le colonnine arrotondate, la scala era una struttura ingannevolmente semplice. Guardandola più da vicino, ogni pilastro era decorato con delle tacche, intagliate in maniera meticolosa, e ogni colonnina ornata da un sottile motivo a spirale.
Alcune delle assi erano crepate, la vernice si era in parte staccata, e su ogni superficie si era posato un leggero strato di polvere. La pregevole fattura di quei lavori, tuttavia, rendeva trascurabile qualunque difetto. Joshua Goodman si era assicurato che ogni centimetro della sua casa fosse fatto con amore, semplice ma elegante.
La luce del sole che filtrava attraverso gli archi a destra e sinistra non era tanto riflessa, quanto assorbita dal legno e poi proiettata di nuovo al di fuori, come un bagliore dorato, brillante. Daniel seguì quella luce attraverso la stanza fino al muro opposto al quale era appeso, storto, un crocifisso. Era molto semplice, fabbricato con lo stesso legno del pavimento, senza dubbio intagliato dallo stesso Goodman.
Daniel attraversò l’atrio e aggiustò il crocifisso, girandolo di una ventina di gradi in senso orario.
Ecco fatto.
Sentì Moore che ridacchiava, e chiuse gli occhi.
«“Dalla collina arrivò un forte brontolio. Si voltarono e videro il diavolo sopra di loro. L’Antico sbirciò dentro alle loro anime e apprese i loro segreti. Sarebbe tornato per loro. La loro lussuria avrebbe segnato la loro rovina.”»
«Fammi indovinare. Il Vangelo secondo Paolo?» domandò lei.
«In realtà è dal Libro di Daniele» la corresse lui, con una strizzata d’occhio mentre le passava accanto. Daniel notò i sorrisi sul volto di Sam e del fragile Sebastian. Sorrise anche lui. «Va tutto bene, Moore, ho abbastanza fede per entrambi.»
Daniel diede un’occhiata, e vide che Kate aveva alzato la macchina. Aveva ripreso il loro scambio di battute.
Ottimo, proprio quello che vogliono per il loro spettacolo, pensò Daniel.
Wainwright si girò sui consunti scarponi da lavoro neri e guardò il gruppo. «Benvenuti alla casa sul Kill Creek. Che ne dite se diamo un’occhiata in giro?»
Daniel Slaughter guardò di nuovo la casa. Non gli sembrò cattiva. In realtà, in quel momento, pensò che gli stesse dando il benvenuto.
Attraversarono l’atrio, passando sotto l’arco alla loro sinistra.
Ah, pensò Sebastian. Ecco una stanza come piacciono a me.
Erano in uno studio. La parete occidentale era occupata da grandi finestre con i vetri sporchi, che tuttavia lasciavano entrare abbastanza luce da far sembrare la stanza allegra e accogliente, malgrado la malinconia di quella giornata nuvolosa. Due sedie di mogano erano disposte ad angolo, ai lati di un tavolo riccamente decorato. Scaffali incassati, carichi di libri, rivestivano la parete opposta alla porta.
«Tutti i mobili appartenevano alle sorelle Finch» spiegò Wainwright. Aveva nella mano destra la sua copia di Prateria di fantasmi. «Nel loro testamento disposero che, anche se fosse tornata di proprietà della contea, nella casa doveva restare tutto come lo avevano lasciato. Intatto.»
Sebastian fece scorrere un dito sui dorsi dei libri sullo scaffale. Non gli importava dei titoli. Erano comunque libri. Pieni di pensieri. La loro rilevanza era discutibile; era sicuro che alcuni fossero eccezionali, mentre altri erano opera di menti inferiori. Non si faceva scrupoli prima di definire un libro illeggibile. In quel momento, tuttavia, il merito letterario di quei volumi non era importante. Erano parole messe in fila per testimoniare il contatto dei neuroni, e il trasferimento di informazioni tramite sinapsi. Erano menti umane trasferite su carta, e Sebastian li amava tutti, uno per uno, perfino quelli che si potevano leggere e poi buttare.
Come il dannato libro di Adudel, pensò.
Sì, perfino il libro di Adudel meritava di esistere, perché il suo autore si era seduto e aveva battuto sui tasti fino a mettere in ordine tutto il caos che aveva in mente, e mostrarlo agli altri perché potessero farne esperienza.
Lo facciamo per questo, si disse Sebastian, mentre guardava quella fila di tomi rilegati in pelle.
Per continuare a vivere. Per esistere ancora quando non esisteremo più.
Per essere ricordati.
«È una bella stanza.»
Distolse lo sguardo dallo scaffale.
Accanto a una delle sedie c’era Daniel Slaughter, con le mani in tasca. Guardava quello spazio come un turista che ha dieci minuti per visitare tutta Notre Dame.
«Le sorelle Finch amavano questa casa» disse Wainwright.
La sua voce. Non mi ci abituerò mai. Rimbomba. Come se arrivasse direttamente da un megafono puntato verso di me.
Gli altri stavano parlando. Discutevano degli anni in cui c’erano ancora Rebecca e Rachel Finch, il tempo in cui le sorelle camminavano per le stanze della casa. Sebastian però non li ascoltava. Erano solo un muro di rumore. Pensava ai milioni di parole che aveva affidato alla carta. Pensava alle innumerevoli idee che gli erano passate per la mente, come tanti colibrì sospesi sui boccioli appena schiusi. E batté gli occhi, per allontanare la nebbia.
Sam oltrepassò la porta a battente ed entrò in cucina.
Questa casa è più bella della mia, si disse.
Era una stanza molto spaziosa e organizzata in maniera classica, a forma di L, con pensili di noce scuro lungo due delle pareti. Dalle portefinestre alla loro sinistra si intravedeva una veranda chiusa, con un divano e una poltrona di vimini circondati dai cadaveri bruni e raggrinziti di piante trascurate per troppo tempo. Al centro della cucina, l’aggiunta moderna di un’isola restava come sospesa davanti a un profondo lavandino da fattoria. La malta bianca tra le mattonelle bianche scheggiate aveva conosciuto giorni migliori, ma a parte quello la stanza era in buone condizioni. Quanto ai mobili, risalivano tutti a decenni passati: una stufa a gas a quattro fuochi in acciaio inossidabile e un frigorifero male assortito, bianco, in stile anni Cinquanta e con una grossa maniglia di metallo.
Come l’atrio e la biblioteca, anche la cucina era immersa nella calda luce del pomeriggio.
Moore si fermò accanto a Sam. Portava ancora gli occhiali da sole. «È un po’ strano, vero?» domandò.
Sam scosse la testa, confuso. «Che cosa?»
«Quanto è bella questa casa. Eppure quanto avrà, centocinquanta anni?»
Aveva ragione. Fatta eccezione per la polvere, le piastrelle scheggiate e l’odore stantio delle stanze rimaste chiuse troppo a lungo, la casa era immacolata.
La pressione che Sam aveva sentito la prima volta che erano entrati tornò, premendogli contro i timpani. Immaginò di affondare in un oceano sempre più scuro. Sopra c’era la luce. Sotto, le profondità impenetrabili di un abisso infinito.
Si guardò intorno nella cucina.
Sentì le grida di suo fratello. Sentì quelle di sua madre.
La cucina è il cuore della casa, pensò Sam. È il luogo dove ci si riunisce, si fa conversazione, il luogo dell’amore.
Dovrebbe essere, si corresse.
Quella casa però non era un luogo d’amore. Era un luogo di morte. Le speranze di Goodman, i suoi sogni, il suo amore gli erano stati brutalmente strappati.
Wainwright aprì lo sportello del frigo, da dove uscì un alito di aria gelida. «Anche se resteremo qui solo una notte, ci siamo assicurati che il frigo fosse ben rifornito» disse al gruppo. «Acqua, bibite, vino, birra. Affettati. Verdure. Frutta.»
Uno stridere di stanchi cardini fece sussultare Moore. Daniel aveva aperto la porta sul retro, e guardava una fila di pietre nel cortile.
«E che cazzo, Slaughter!» scattò Moore.
Il grosso uomo accennò al vialetto che si allontanava dalla casa verso uno spazio vuoto tra gli alberi. «Quello dove porta?»
«Al pozzo» disse Wainwright, come a dare per scontato che il sentiero potesse condurre solo in un posto. «È quasi nascosto dalla vegetazione, dunque state attenti, se ci andate. Mi hanno detto che il pozzo è stato coperto anni fa, ma per f...