Quando sognate, capita anche a voi, a volte, di non volervi svegliare? A me accade di sapere benissimo che sto sognando, eppure l’idea di rimanere ancora un po’ aggrappata alle mie fantasie spesso è più forte della voglia di aprire gli occhi. Ma non oggi, perché oggi è il giorno in cui il mio più grande sogno diventerà realtà, e succederà tra poco, non appena suonerà la sveglia e spalancherò gli occhi.
7 settembre, il mio primo giorno al liceo, e soprattutto, il mio primo giorno in una delle più prestigiose accademie di danza della città.
Ore 8 in punto: salto giù dal letto e corro in cucina, le mie valigie sono già pronte dalla sera prima e sembrano osservarmi silenziose. Non posso credere che andrò a vivere in un’accademia, avrò una stanza tutta per me, dei nuovi compagni di classe e corsi di danza ogni giorno… Più che un nuovo liceo sembra una specie di Disneyland per ballerine.
«Evelyn, perché stai saltando? Ti scappa la pipì?» Mia mamma mi guarda stranita mentre intinge un biscottino nella tazza di caffè. Mia mamma lavora troppo, non ricordo nemmeno l’ultima volta che l’ho vista prendersi una pausa negli ultimi due anni.
«Io, ehm, stavo…»
«Un quarto d’ora e andiamo, sei pronta?» mi chiede, visto che ha intuito che non ho idea di come risponderle.
«Posso chiamare Chris?»
Alza gli occhi al cielo, è un modo per dirmi di sbrigarmi.
Okay, farò veloce, anche se quando sei innamorata perdi un po’ la cognizione del tempo, soprattutto se lui ti manca da morire. Mi ributto sul letto e accendo il MacBook. Chris è il mio ragazzo, l’ho conosciuto l’estate scorsa in montagna ed è un po’… strano. In breve: è maledettamente bello e matto come un cavallo, ha un anno più di me, vive in cima a una montagna con suo padre, lavora nei boschi, ha da poco ripreso gli studi da casa grazie a me, e anche se è stato il mio primo bacio e non posso confrontarlo con altri, vi posso garantire che quando mi prende per le spalle e mi attira a sé, io perdo sempre l’equilibrio (e non perché non sappia stare in piedi… studio danza!). Ve l’ho già detto che ci siamo fatti un tatuaggio insieme pochi mesi fa?
«Ciao, amore.» I suoi occhioni verdi dalla forma leggermente orientale illuminano la stanza più dello schermo del mio computer.
«Ciao, amore mio, mi manchi come l’aria.»
Lui ride, detesta queste cose romantiche, se è per questo detesta anche tutta la tecnologia e i social, e sono riuscita per miracolo a fargli installare da poco IG e WhatsApp, non so nemmeno io come: altrimenti come cavolo l’avremmo mandata avanti una relazione a distanza?
«Sei agitata?» mi chiede, e io noto solo ora che sotto la camicia a quadri sbottonata si intravedono i suoi pettorali.
Dio, quanto mi manca l’odore della sua pelle che sa di pino selvatico, e i baci che mi dava dopo aver mangiato i frutti di bosco!
«Sono agitata, sì, ma anche superfelice.»
Lui mi sorride timidamente, e quella sua maledetta fossetta mi fa subito venire voglia di saltare dentro allo schermo per stringerlo forte: è possibile che una faccia da schiaffi possa essere anche così bella? «Il tuo ragazzo è un demone con gli occhi verde acqua» mi aveva detto Leila, la mia migliore amica, la prima volta che l’aveva visto.
«Eeevelyn!» Mia madre mi chiama a rapporto: possibile che sia già passato un quarto d’ora?
«Devi andare?» mi chiede il mio amore.
«Già… Come ha fatto a passare così veloce il tempo?» gli domando, sovrappensiero.
«Il tempo con te non passa, Evy, si ferma» mi risponde lui ammiccando. Sa di aver appena detto una cosa superdolce che mi farà arrossire, e sembra piuttosto divertito.
«Ci sentiamo stasera?»
«Se c’è la luna piena, lo sai che mi trasformo in un lupo.»
«Quanto sei stupido? Quanto?»
«La domanda è: perché a te piacciono gli stupidi?»
«Eeevelyn!» La voce della mamma ha la forza di un tornado.
«Vai, amore, e… in bocca al lupo!» Ve l’ho detto che il mio amore è matto come un cavallo, no?
Gli mando un bacio e chiudo il MacBook appena in tempo, quando la mamma spalanca la porta.
«Sono pronta!» le dico alzandomi in piedi di scatto con il computer in mano e la borsa in spalla.
Lei sembra stupita, non sa che quando parlo con Chris sono sempre pronta a qualsiasi cosa, non sa che solo la sua voce mi dà la carica per affrontare la giornata, e se potessi baciarlo ora, se solo potessi sfiorargli le labbra, la paura del primo giorno di scuola svanirebbe come una goccia d’acqua in un prato fiorito. «Bisogna imparare a essere forti da sole prima di pretendere che gli altri ci donino la loro forza» mi aveva detto nonna Lea, in montagna, osservando un albero crescere storto, sotto il peso delle piante rampicanti.
«Evelyn B.» dico alla Direttrice, con le spalle dritte e l’espressione più sicura che possiedo.
Da fuori l’accademia sembra uno di quei famosi college americani che si trovano sulle riviste patinate: una sorta di villa liberty un po’ austera con mura in pietra rossiccia, giardino in ghiaia bianca dotato di aiuole e siepi tagliate alla perfezione, un bosco di alberi secolari intorno e un mucchio di ragazzi e ragazze convinti che sia lo stile dei loro vestiti a dirti chi sono, prima ancora che tu gli rivolga la parola.
La Direttrice alza lo sguardo su di me coi suoi occhiali sottili. Indossa un vestito leggero a fiori che le fascia leggermente la pancia. In cinque minuti di colloquio non mi ha ancora teso un mezzo sorriso. «Come le anticipavo, Miss Evelyn, qui non abbiamo camere singole, sua madre deve averle riferito male, ogni ragazza divide la stanza con una compagna.»
Annuisco, non mi pare che sia questo grande problema, anzi, magari sarà un modo per fare amicizia più velocemente, mi dico, spostando il peso del corpo da una gamba all’altra.
«Bene, ha preferenze?» mi domanda, digitando sulla tastiera.
C’è un piccolo calendario appeso alla parete: il 25 febbraio è cerchiato in rosso, e accanto alla data riesco a leggere: “Festa delle maschere”. Una festa? Forse, a parte la Direttrice scorbutica, questo posto promette belle sorprese…
«In che senso?» le chiedo, recuperando il sorriso.
«Mi può fornire il nominativo di una delle ragazze con cui vorrebbe condividere la stanza?»
Sanno che oggi è il mio primo giorno, non capisco perché mi sottopongano a queste domande ma forse è un procedimento di routine per tutti i nuovi studenti: meglio non irritarsi subito. «Mah, non conosco nessuno…» Cerco di mantenere la calma, ma il mio sesto senso mi avverte che ho dato una risposta avventata.
«Allora faccio io» risponde pronta lei, e il suo mezzo sorrisetto non mi piace per nulla. Come non mi sta piacendo stare in piedi davanti alla sua scrivania, mentre lei è comodamente seduta su una sedia in legno massiccio. Ma perché devo sempre pensar male? Insomma, è ovvio che sta solo facendo il suo lavoro. Cerco di immaginarmi cosa mi avrebbe consigliato di fare nonna Lea, il mio modello di vita, il mio concentrato preferito di saggezza.
«Rose Villa, le va bene?»
E chi cavolo è? «Ma certo!» squittisco con troppo entusiasmo.
La Direttrice mi fa ancora quel suo sorrisetto indecifrabile, prende a digitare frettolosa sulla tastiera, poi sporge i gomiti in avanti sul tavolo, guardandomi dal basso all’alto. «Bene, Rose è stata per due anni di fila la migliore allieva di questa accademia, ha anche ottimi voti in quasi tutte le materie, sarà sicuramente un valido esempio per lei…»
«E la sua compagna di prima… non c’è più?» chiedo, e le parole mi sono uscite di bocca prima ancora di decidere se fosse o meno una buona idea pronunciarle. Mi rendo conto di essere stata piuttosto maleducata.
«Oh, be’, la sua vecchia compagna ha lasciato l’accademia…» risponde soltanto, presa in contropiede. «Non sono comunque informazioni che posso darle» conclude seria.
Io mi mordo il labbro. Non so se sono più tesa per la conversazione con questa donna o perché tutto ciò che sto venendo a sapere di Rose non mi piace per niente. «I pregiudizi sono il nostro peggior nemico, riescono a crearci problemi che ancora non esistono!» Mi viene in mente una conversazione avuta con nonna Lea, mentre mi preparava una crostata di marmellata di fragole in montagna. «Mi scusi se ho insistito, ora potrei per caso vedere la mia stanza?» chiedo gentilmente.
Devo averla convinta.
La Direttrice mi scorta alla mia camera, e non pensa minimamente ad aiutarmi con le mie pesanti valigie.
Questo posto da fuori sembra una villa per ricconi ma dentro è quasi come una prigione, spartana e fredda. Passiamo attraverso uno stretto corridoio in pietra, c’è poca luce perché ci troviamo al piano terra e le finestre sono molto strette, scorro con lo sguardo alcune targhe sulle porte: sono delle aule di musica e canto… Non sapevo ci fossero anche questi corsi, ma dubito che anch’io debba frequentarli. Saliamo una scala a chiocciola e la situazione cambia completamente: a questo piano attraversiamo un luminoso salone in parquet con tende color menta – credo che sia una delle tante aule di danza – facciamo una deviazione verso destra e ci imbuchiamo in un altro corridoio stretto. Le porte qui sono più massicce e hanno una serratura bella spessa: si tratta delle camere. Stanza 203.
Saluto cordialmente la Direttrice anche se non ci siamo più dette una parola, appoggio sfinita le mie valigie a terra e spalanco la porta. Il sorriso mi si cristallizza sulla faccia.
«E questa chi cavolo è?» dice lei.
Su uno dei due letti c’è un ragazzo in mutande avvinghiato a una ragazza in reggiseno.
Chiudo d’istinto gli occhi ma non posso fare a meno di notare che lui ritira velocemente la mano dai jeans della tipa. Poi si alzano entrambi in piedi. Lui ha capelli ricci scuri e una piovra tatuata appena sopra un pettorale, lei lunghe trecce rosse, quattro quintali di eye-liner, piercing all’ombelico, e decisamente un reggiseno troppo stretto rispetto alla sua taglia esuberante.
«Che palle» sbotta la ragazza, recuperando da sotto il letto la maglietta di lui, per niente imbarazzata.
«Ma chi è?» ripete lui, che in tutto questo tempo è rimasto immobile a fissarmi il seno, nonostante la mia T-shirt sia accollata e io sia piatta come una tavola.
Ti prego, fa che questa non sia Rose, o che questo sia solo un incubo: ora sì che vorrei svegliarmi. La ragazza si siede sul letto, si piega per infilarsi una scarpa da ginnastica in vernice. Rose ha decisamente troppe curve per essere una ballerina professionista. «Non è nessuno» mi dice, guardandomi dritta negli occhi, con un mezzo sorriso.
“Rose Villa è decisamente la creatura più arrogante, maleducata e vanitosa che esista sulla faccia della Terra.”
Ho deciso di tenere un diario: nonna Lea mi aveva detto che quando le idee iniziano a schizzarti in testa come schegge, l’unico modo per domarle è metterle per iscritto, ed è esattamente ciò che sto facendo ora, dal mio letto, mentre osservo Rose ingurgitare senza alcun rimorso un Crispy McBacon grondante di maionese. Essere una ballerina richiede disciplina, ci sono alcuni passi parecchio complicati, soprattutto quelli con le prese, che non possono essere eseguiti se superi un certo peso forma. Io sono la prima che adora mangiare, ma per amore della danza ho dovuto fare i miei sacrifici, anche perché di essere tonica per la spiaggia sinceramente non me ne frega molto.
“Rose Villa non nutre alcun amore per se stessa e per la danza” butto giù sul mio diario. Io fortunatamente h...