Il bar puzza di fritto e di un sentore che a Tanino Barcellona ricorda i turni in mensa al servizio militare. Sotto le armi, mensa e cucina erano le corvée più odiate, lo schifo dei depositi di pasta brulicanti di scarafaggi, le carni congelate vent’anni prima, e su tutto, almeno per lui, quell’odore che si attaccava addosso, un misto di sugo di carne decomposta e detergente. Non è un tipo schizzinoso, ma quell’odore era davvero offensivo, era la promessa di una cosa buona come il sugo della mamma tradita dalla corruzione del mondo e trasformata in parodia, nella sua versione malvagia. Ragù di zombi, lo chiamavano. Ecco, questo bar puzza di fritto e di ragù di zombi.
È una bottega dozzinale dalle parti di piazza Colonna, uno di quei posti che non avrebbero ragione di esistere senza il flusso incessante di turisti con pochi soldi in tasca. Tanino Barcellona non è un turista, ma ha solo dieci minuti prima che il turno cominci e questo schifo di bar almeno è a un passo da Montecitorio. Guarda ancora il supplì e si decide ad addentarlo.
«Perché quella faccia?» Il collega seduto davanti a lui rigira il coltello nella piaga.
Tanino agita lento il supplì smozzicato davanti al volto dell’altro, mentre il formaggio fuso gli cola sulle dita. «Lo vedi questo, Raffae’? Sai cos’è?»
«Non è un supplì parmigiano e mozzarella?»
Barcellona dà un altro morso poco convinto e il volto florido gli si altera in una smorfia. «Questa è una caricatura. La caricatura di un prodotto culinario di altissimo livello e nobile tradizione, tipico della mia terra, che si chiama arancino. L’arancino in Sicilia è una religione, è ammissibile mangiarlo solo in due modi, al ragù e al burro. Tutto il resto è volgare imitazione, come questa porcheria fradicia di olio, che mi ammazza il fegato e mi piglia pure per il culo. Supplì ai quattro formaggi, supplì alla zucca, ai gamberi, al pesto. Usanze da barbari.»
«Perché non hai preso la pizza come me, allora?»
Tanino occhieggia il trancio salsiccia, pomodoro e funghi, pensando alla focaccia tipica della sua città : pomodoro fresco, scarola, tuma e acciughe. Si sente impotente e solo.
«Che ne vuoi capire tu che sei del Nord?»
«Che Nord e Nord, so’ di Pescara, io!»
«E perché, rispetto alla Sicilia non sta a nord?»
Lungo via del Corso, Barcellona si asciuga ancora le dita unte sul retro dei calzoni del completo. In pochi minuti raggiungono le due Alfa blindate, una bianca e una blu, in una via laterale rispetto alla Camera dei deputati. Il caposcorta e il maresciallo Gianvito sono già arrivati, figurarsi. Gli altri quattro si materializzano poco dopo.
Il caposcorta si chiama Pellecane Rodolfo, di Bergamo, ed è un cacacazzi. Molto bravo, molto attento, ma un cacacazzi. Gianvito è bravo uguale e preciso quanto e più di lui, ma non si sogna di passarti in rivista come un sergente dei marines. Pellecane, invece, lo fa ogni volta che si presentano in servizio.
«La cravatta, Barcellona.»
«Tenente, ce l’ho.»
«Barcellona, non mi rispondere come un carabiniere, che qua i carabinieri siamo solo io e il maresciallo. Il nodo… stringilo.» Pellecane è un cacacazzi, ma almeno ha il senso dell’umorismo e le battute sui carabinieri se le dice da solo, senza aspettare che gli altri sei agenti di scorta, che invece sono poliziotti, gliele facciano alle spalle.
Tanino si aggiusta appena il nodo della cravatta e si accende una Marlboro, appoggiandosi al bagagliaio dell’Alfa bianca. Dalla falda della giacca semiaperta, riluce la placca del distintivo appesa alla cintura. Sono le due e gli smontanti si sono già eclissati. Il Presidente, a quanto ne sanno, non si muoverà ancora per un pezzo; li attende un lungo sabato pomeriggio.
La radio dell’auto gracchia, Pellecane rivolge un cenno agli altri. «Cambio di programma. Lo andiamo a prendere adesso.»
Le due macchine si muovono insieme, lente, fino a emergere in piazza Montecitorio, e infilano una dopo l’altra l’ingresso principale, fermandosi poco più avanti nella corte interna dove la Thesis con la portiera posteriore aperta attende il Presidente, che dopo qualche secondo sbuca dal portone.
Il terzetto di auto parte sgommando. Barcellona guida l’Alfa blu che chiude la colonna. Mentre le auto accelerano a sirene spiegate, alla radio la voce di Pellecane dice: «Piazza del Gesù. Percorso tre».
In corso Rinascimento una moto si mette in scia. L’agente Baldini, il più giovane del gruppo, seduto dietro, si volta a controllare. «Ma che vuole questo?»
Raffaele, dal sedile del passeggero, si volta anche lui. «E che pensi che vuole? Usare a sbafo la sirena e levarsi un po’ di traffico davanti, il coglione. Tira fuori la pistola e puntagliela addosso, vediamo se capisce.»
Il ragazzo esita. «Dici che è il caso?»
«Lascia perdere, Baldini.» Tanino Barcellona accelera, sempre col motociclista dietro, e quando sono ancora a duecento metri dalla svolta in corso Vittorio frena di colpo, senza apparente motivo. La moto sbanda, pattinando con la ruota posteriore, il centauro evita il parafango dell’Alfa per un pelo, scartando a destra, e viene risucchiato dal traffico. Barcellona riguadagna in pochi secondi la distanza corretta dalla Thesis del Presidente.
«Con le buone maniere si ottiene tutto.»
«Prendi un imbecille come quello di prima. Lo spavento che s’è pigliato credi che gli ha insegnato niente?»
«Il nostro Tanino… sempre che vuole insegnare a campare a tutti quanti.» Il maresciallo Gianvito ammicca all’indirizzo di Baldini, seduto in auto con la portiera aperta che ascolta senza intervenire le chiacchiere dei colleghi più anziani. Il Presidente è in riunione alla sede del partito e l’affare sembra andare per le lunghe. Mezz’ora prima si è affacciato dal balcone il tenente Pellecane e gli ha indirizzato un gesto con la mano come a dire qua facciamo notte.
«Maresciallo, io vivo e lascio vivere, altro che, ma se a uno gli pare normale mettersi nella scia di una scorta di polizia solo per arrivare prima dalla fidanzata, o magari posteggiare a cazzo di cane, insomma se non riesce a vedere la differenza fra la libertà e i propri comodi alle spalle degli altri… be’, la volta che finisce col culo per terra io certo non piango per lui.» Barcellona cerca uno sguardo di approvazione in Baldini. Lui e il maresciallo sembrano avere tacitamente eletto il ragazzo ad arbitro della discussione, senza chiederglielo.
Ma quello, per tutta risposta, fissa le finestre dei palazzi intorno.
«Baldini! Qua non ce ne stanno cecchini, che ne pensi tu?» domanda Tanino.
Gianvito toglie il giovane dall’imbarazzo: «E che ne deve pensare? Hai combinato una bella cazzata, ma non te lo vuole dire perché è troppo educato».
«Io?!»
«E chi, io?» replica il maresciallo. «Un conto è ridersela quando un cretino prende una culata per terra, altro è speronarlo con l’auto di servizio mentre sei di scorta al Presidente, non credi?»
«Non ho speronato nessuno.»
«Avresti potuto.»
«Semmai era lui che mi tamponava e secondo il codice della strada…»
«Me stai a cojona’?» Quando Gianvito vira al romanesco è segno che bisogna smetterla.
Tanino alza le mani in segno di resa. «A Milano me ne dovevo rimanere, altro che. C’avevo la Mobile nella sacchetta, c’avevo. Operativo a tremila, invece come un minchia mi sono lasciato convincere e ora devo giocare alle belle statuine, manco lavorassi al ministero.»
Gianvito ride. «Eh, è arrivato Tomas Milian…»
Baldini ci aggiunge il carico: «Be’, tecnicamente lo fai».
«Cosa?»
«Lavorare al ministero. Sei un impiegato del ministero degli Interni.»
Barcellona si passa la mano sulla guancia ispida di barba. «Baldini, io ti voglio bene. Ma dimmi un’altra volta impiegato e parola mia ti sparo in un ginocchio.»
***
«Ma certo che ti amo, ciccina. Sei la gioia della vita mia.»
Barcellona guarda giù dal balcone di casa parlando al cellulare. Un condominio popolare fra ponte Milvio e Tor di Quinto, panni stesi anche sulla facciata esterna e orticelli sui balconi. Il marito della dirimpettaia, detto Cinquina, gran giocatore di biliardo e vecchia conoscenza della questura per trascorsi di reati contro il patrimonio, posteggia la sua Honda Enduro inzaccherata. Alla domenica, Cinquina, se non ha tornei al Bar Sport, se ne va a fare motocross, con buona pace della mogliettina, povera donna.
Bella vita, pensa fra sé Barcellona mentre si prodiga nell’ennesima rassicurazione a distanza.
«Stai tranquilla, ciccina. Vedrai che tempo due mesi mi danno il trasferimento. E una volta che torno in Sicilia diventa tutto più facile. Vedersi… Pensare, certo, anche più seriamente a…»
La giornata è stata molto calda, ma ormai, a pomeriggio inoltrato, l’aria è fresca, per cui Barcellona taglia corto, visto che è in mutande sul balcone da ormai dieci minuti. «Vabbò, piccola, ora devo andare che monto di turno… Eh sì, pure la domenica, che ti credi che la polizia di domenica è in vacanza? Vabbò, dà i, ciao ciao, cià cià . Ti chiamo io, ti chia… sì cià cià .»
Fa scorrere la porta a vetri e rientra nella stanza massaggiandosi il collo. La camera da letto è disordinata come se ci avesse appena messo mano una banda di topi d’appartamento. Il televisore acceso su un programma sportivo ronza in sottofondo, Loredana dorme ancora, nuda sopra le coperte. Barcellona ammira sovrappensiero il suo sedere florido e lunare in contrasto con le lenzuola di cotone rosso. Si mette a cercare i pantaloni.
Quando è vestito, schiaffeggia la luna piena della donna per svegliarla. «Lolò è tardi… Devo andare a lavorare.»
Loredana si stira piano, biascicando appena contro il cuscino: «E allora vai, no?».
«Appunto, sbrigati.»
«E famme sta’. Che è, non te fidi? Magari te riordino pure un pochetto.»
«Ma che c’entra, Lolò, devi andare pure tu che sennò tuo marito…»
«Quello sta ancora a festeggia’ coll’amici, che la Lazio ha vinto.» Annuisce verso il televisore mettendosi seduta. Sembra che la schiena le si incurvi in avanti per il peso del seno.
Tanino ha un moto di fastidio che dissimula sedendosi sul bordo del letto per allacciarsi le scarpe.
«È che tu non vuoi condividere er quotidiano. Vado bene solo pe’ scopa’…»
«Che dici, Lolò? Che t’è presa, la depressione domenicale?» Si sporge all’indietro, prendendole il viso tondo fra le mani. «Solo non voglio che ti ficchi in qualche guaio a causa mia…»
«Tanto io lo lascio, a quello.» Loredana mette su il broncio come una bambina.
«Va bene, ma devi essere tu a decidere come e quando, da una posizione di forza, ne abbiamo già parlato, no? Se invece ti becca che lo tradisci, tutto si complica e finisce a schifio.»
«E me pijo pure un sacco de botte, che non lo so?»
«Ci avissi a pruvari e ci fazzu passari a valìa.»
«Quanto me piaci quando parli siciliano, me dai sicurezza. Ma che hai detto?»
Barcellona riformula: «...