Al tavolo da gioco mancavano solo le carte, ma all’appello c’erano tutti i giocatori.
Camilla accanto a Gaetano, a sinistra Alberto, a destra Giosuè.
Il luogo dell’appuntamento lo aveva deciso Alberto: uno dei loro circoletti.
Per non insospettire nessuno, l’incontro fu fissato in orario di apertura. In altre sale si giocava, si beveva, si puntava e in altre si facevano affari.
«Hai sentito l’avvocato, Gaeta’?» chiese Alberto.
«Si sta recando a colloquio con vostro padre» rispose.
«Che aria tira?» chiese Giosuè.
«Staranno cercando anche voi. Avete fatto bene a lasciare subito casa, a quest’ora ve l’avranno già messa sottosopra.»
«Lo sanno che questo circoletto è nostro?» domandò preoccupato Giosuè.
«Questo posto è sicuro, l’ho intestato io a una società con sede legale a San Marino.»
«Siamo sereni, Gaetano le cose o le fa bene oppure si tira indietro, vero?» aggiunse Alberto con ironia forzata.
«Puoi stare senza penzier’.»
«Come ci muoviamo ora?» chiese Giosuè visibilmente preoccupato.
«La finanza sta facendo porta a porta. Stanno bussando alle aziende di centinaia di imprenditori in tutto il Paese…»
Gaetano venne subito interrotto da Alberto.
«E noi siamo coperti con i nostri prestanome, vero Gaeta’?»
«Così sembra» gli rispose.
«Che significa così sembra?»
«Significa che io posso garantire per i nostri, ma vi vorrei ricordare che siete in tanti. E io non mi prendo la responsabilità delle altre famiglie. Aspettiamoci di tutto, anche il peggio.»
Non disse altro ma fece intendere che il futuro sarebbe stato precario.
«Io mi aspetto che le nostre aziende non vengano sequestrate, che i nostri bar restino aperti, che i nostri tir continuino a viaggiare, che le nostre cooperative non smettano di fare affari, che le nostre slot restino accese. Questo mi aspetto» gli disse Alberto con tono minaccioso.
«Qualcosa andrà sacrificato, lo sai bene.»
«No! Sei pagato per tutelarci, porta a casa il risultato migliore» aggiunse Giosuè urlando e, con l’ansia che gli deformava il volto, rovesciò il suo bicchiere di whisky sul tavolo.
«Io rispondo a vostro padre. Non a voi!»
«Per ora rispondi a me» ribatté Alberto. «Hai qualcosa in contrario?» Gaetano non rispose, girò lo sguardo dall’altra parte del tavolo cercando quello di Camilla. «Non ho sentito la risposta… Hai qualcosa in contrario?»
«No.»
«Chiama l’avvocato» continuò Alberto.
Giosuè gli allungò il telefono facendolo strisciare sul tavolo.
Gaetano compose il numero. Al quarto squillo riattaccò.
«Non risponde…»
«Prova ancora…» gli disse Alberto.
Anche il secondo tentativo andò a vuoto.
«Ritenta, sarai più fortunato» insistette Alberto.
Nessuna risposta. Gaetano passò il telefono a Giosuè che infastidito lo scaraventò a terra.
«L’agenda nera, sappiamo dove papà tiene la sua agenda nera? Se la trovano loro siamo fottuti» chiese Giosuè.
«Non la troveranno» rispose Gaetano calmo.
«Come fai a essere così sicuro, sai qualcosa che noi non sappiamo?» aggiunse Alberto con tono infastidito.
«Io so quello che vostro padre vuole farmi sapere.»
«Dobbiamo parlare con papà . Ora!» disse Giosuè alzandosi di scatto dal tavolo.
«Provo a sentire i nostri amici in questura…» rispose Gaetano.
«Begli amici che tieni. Dovevano avvertirci, li paghiamo anche per questo» sottolineò Giosuè.
«Li paghiamo per tenere d’occhio magrebini e albanesi, mica per spiare un procuratore» lo mise in riga Gaetano.
«E allora da adesso in poi cerchiamo di controllare anche questo. E smettiamo di mettere a libro paga gli incapaci» ribatté Giosuè.
«Non li ho scelti io, sono nomi a cui mi ha indirizzato tuo padre» puntualizzò Gaetano.
«Stronzate.»
«Stronzate un cazzo!»
Gaetano alzò il tono di voce, non ci stava più a subire quell’attacco psicologico che mirava a fargli perdere la pazienza. Ma lui ne sapeva una più del diavolo.
«Cosa ne sai tu di chi abbiamo sul libro paga? Cosa ne sai tu di quello che sta succedendo alle vostre aziende, delle guardie al culo, dei telefoni intercettati, delle spie ambientali, dei giornalisti che rompono le palle a tutte le ore? Cosa ne sai tu, Giosuè? Ti sei scetato ora? Hai finito la dose di cocaina, hai perso qualche carta di credito nelle mutande di qualche troia che ti porti a spasso? Eri in letargo fino a qualche ora fa, che ti è successo? Siamo già in primavera?»
Ci andò giù pesante, perché in fondo era quella l’opinione che il padre aveva di suo figlio e finalmente gli fu consegnata in un unico pacco.
«Ma da dove l’hai cacciata questa cresta? Ma lo hai capito che sei solo un povero faccendiere allevato per convenienza e se non sei più conveniente ti sparo in bocca e ti lancio da un ponte sul Po? Lo hai capito, strunzille!» gli urlò Giosuè a pochi centimetri dal volto, e Gaetano, impassibile ma senza cedere di un millimetro, subì quello sfogo.
«Giosuè, datti una regolata» Alberto richiamò all’ordine il fratello.
«Si atteggia a esperto criminale» continuò Giosuè.
«Ringrazia che sei figlio di Alfonso perché altrimenti saresti già finito a pezzi in un pilastro di un viadotto» concluse Gaetano.
«E saresti tu quello che mi farebbe a pezzi?» chiese ironico Giosuè.
«No! Io sono solo quello che, quando a Castelfranco Emilia i calabresi volevano spararti alle gambe, ha patteggiato due circoli per la tua vita.»
«Tenevo il guardaspalle e nessuno me lo aveva mai detto, che culo…»
«Per non parlare di quando a Piacenza ti sei messo a fare tarantelle con i siciliani: ci sei costato centocinquantamila euro di gratta e vinci che ho fottuto a un tabaccaio cinese.»
«Io ti sparo in bocca mentre dormi…»
«E quando ti hanno beccato a un posto di blocco con decine di schede video per slot, tutte truccate? Chi ha affittato l’auto a nome di un povero cristo pakistano per tenerti fuori dalla tarantella? Io. Sempre io. Tu mi devi ba...