Al buio
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Al buio

Il viaggio nel grande Nord di una donna che ha sfidato l'oscurità per poi innamorarsene

  1. 208 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Al buio

Il viaggio nel grande Nord di una donna che ha sfidato l'oscurità per poi innamorarsene

Informazioni su questo libro

Da che lei si ricordi, Sigri Sandberg è sempre stata terrorizzata dal buio. E non è la sola, perché quella dell'oscurità è una paura ancestrale che condividono tutti i bambini. Eppure oggi, nelle nostre città perennemente illuminate da lampioni e schermi, da automobili, fabbriche e insegne, possiamo dire di conoscere il buio? Ne abbiamo mai fatto reale esperienza? Mossa da questo desiderio, Sigri intraprende un viaggio di cinque giorni a Finse, nel cuore della Norvegia, poco più di 300 abitanti a 1222 metri sul livello del mare, "ribattezzata l'Artico del Sud per le sue temperature, i suoi paesaggi, i venti e gli inverni così simili a quelli artici". Un luogo dove notte e stelle regnano incontrastate, con una temperatura media sempre sotto lo zero, passaggio obbligato per tutti i grandi eroi polari della storia. Ed è qui che si dirige, sola, con un bagaglio essenziale nel quale figura il diario di Christiane Ritter, che nel 1934 lasciò l'allora Cecoslovacchia per raggiungere il marito alle isole Svalbard, a metà strada tra Norvegia e Polo Nord, ancora oggi avamposto quasi mitico ai confini del mondo. Le parole di Christiane saranno pungolo e ispirazione, balsamo e compagnia e motivo di coraggio, e aiuteranno Sigri non solo a vincere le proprie paure, ma a ritrovare se stessa. Al buio è un libro poetico dedicato agli amanti del profondo Nord: è la storia di due donne, di due viaggi, di un tesoro troppo prezioso per essere dimenticato.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2019
Print ISBN
9788817143752
eBook ISBN
9788858698839
Categoria
Travel

Secondo giorno

MARTEDÌ
Al mio risveglio, martedì, è ancora buio, e capisco che alla fine devo essermi addormentata. E mi sembra di aver dormito anche parecchio. Non ho idea di che ora sia. A modo suo, il buio del mattino è più delicato di quello della sera. Non so come mai: sarà perché ormai sono sveglia e devo alzarmi e uscire o perché non mi sento stanca e impaurita. Decido di fermarmi ancora un giorno qui in montagna. Come minimo. Ho lasciato fin troppo spazio alle mie paure quassù, devo darmi una regolata. Nella stufa ci sono ancora delle braci rossastre e rianimare il fuoco è un gioco da ragazzi.
MATTINA D’INVERNO
Quando mi sono svegliato, oggi, i vetri erano gelati,
ma io ardevo per un bel sogno.
E la stufa diffondeva nella stanza il calore
di un ceppo di cui si era nutrita durante la notte.
Olav H. Hauge
Ora sono pronta ad affrontare qualsiasi cosa. O quasi. Che strani questi sbalzi d’umore. Il caldo che emana dalla stufa comincia a diffondersi nella stanza e per colazione mi preparo una fetta di pane croccante ricoperto di paté di uova di pesce. Poi faccio il caffè. Osservo il paesaggio bianco e nero. Non c’è molto che ostacoli la vista qua attorno. Guardo fuori dalla finestra e vedo, nell’ordine: il lago gelato, sassi, neve, il ghiacciaio di Hardanger e un cielo plumbeo con nuvole in fuga verso est, né di corsa né a passo di lumaca, ma a ritmo giusto. Altre piccole baite oltre alla nostra sono sparse a macchia di leopardo nel circondario. Dagli anni Settanta non sono più state concesse licenze edilizie e le norme su cosa costruire, come farlo e quanto in grande sono molto severe. Meglio così. È per questo che non abbiamo l’acqua corrente e non ci sono chalet di lusso qui. Oggi poi è un giorno feriale e fuori stagione e non si vede anima viva. Nemmeno una traccia di sci a tagliare la neve. Nuvoloso, venticello leggero, giusto qualche grado sotto lo zero. Finisco di fare colazione, metto le scarpe da sci di fondo, salopette, giacca, berretto, scaldacollo, muffole. Prendo a due mani il coraggio ritrovato e mi lancio ad affrontare la giornata.

CHRISTIANE

Quando Christiane era in rotta verso nord, uno dei suoi compagni di viaggio le aveva dato alcuni consigli su come comportarsi per superare l’inverno. «Faccia una passeggiata ogni giorno, anche durante la notte polare, anche se infuria la tempesta. È importante come l’acqua e il cibo. Sia sempre di buon umore e mai corrucciata, o meglio: non abbia mai troppi pensieri! Così facendo, andrà tutto bene.» Christiane Ritter segue religiosamente il consiglio sul passeggiare. Ogni giorno esce per un giretto, anche se con l’avvicinarsi dell’inverno e con il tempo che tende a guastarsi si trasforma più in un trascinarsi. Spesso cammina da sola, risalendo il fiordo verso sud. Il sole è scomparso fuggendo in quella direzione ed è da lì che tornerà a fare capolino tra quattro mesi.

Il bisogno della luce del sole

Muoversi è un vero toccasana. Perfino lo Stato consiglia una mezz’oretta di camminata a passo veloce due o tre volte a settimana. La cosa interessante è che la ricerca suggerisce che l’effetto è maggiore quando dal non fare nulla si passa a fare un minimo di attività. E posso essere breve su questo perché ormai l’effetto dell’esercizio fisico è dimostrato e sono molti gli studi che indicano che l’attività fisica aumenta il livello di felicità e di salute, nonché la capacità di ricordare, dormire, apprendere, digerire e difendersi dalle malattie. C’è chi dice di aver partorito le proprie idee migliori camminando. Chi sostiene che permetta di vedere le cose con più chiarezza. Chi riesce a uscire da una depressione camminando fino a trovare una luce che lo allontani dal buio interiore in cui si è perso. Io spesso lo faccio per scappare dalle mie paranoie. L’esercizio fisico mi permette di trovare la chiave per interpretare la realtà e la vita quotidiana. Inoltre sento che il mio corpo ne ha bisogno: necessita di movimento.
In più, in questo modo mi espongo alla luce del sole.
Il nostro ritmo giornaliero è scandito dall’alternanza di luce e buio. È così fin dall’alba dei tempi, da quando la terra ha cominciato a girare attorno al sole e sono nati il giorno e la notte. Da allora, tutti gli esseri viventi si sono adattati al cambiamento della luce nel quotidiano e al passare delle stagioni. Gli esseri umani seguono il cosiddetto ritmo circadiano. Questo significa che abbiamo bisogno di giorno e notte, luce e buio, periodi di attività e di riposo. Dato che siamo animali diurni subtropicali non siamo progettati per un’estate di luce perenne, e men che meno per l’inverno nordico. Abbiamo bisogno di un po’ di buio d’estate e di luce durante l’inverno. Il calore e l’energia del sole sono alla base della vita sulla terra. Con i suoi cinque miliardi di anni, non possiamo fare altro che dirci fortunati per il fatto che abbia combustibile sufficiente per almeno altrettanto tempo.
La luce diurna si divide in luce solare diretta, luce diffusa in cielo e luce riflessa dalle nuvole e dagli altri elementi del paesaggio. Quando la luce colpisce la retina, si attivano delle cellule nervose fotosensibili che inviano un segnale al cervello, stimolando la produzione di sostanze eccitanti, come il cortisolo, un ormone.
La luce è una grande fonte di vitamina D. Risulta quindi cruciale esporsi a un’adeguata ed equilibrata quantità di luce solare. Se è insufficiente possono insorgere sbalzi d’umore, depressione, senso di affaticamento, disturbi del sonno e incapacità di controllare i propri impulsi.
I ricercatori sostengono che avere una cucina esposta a est è un’ottima soluzione. In questo modo la luce solare viene letteralmente servita a colazione. Esistono poi veneziane apposite che permettono di riflettere la luce verso il proprio letto e, con la giusta configurazione, è possibile svegliarsi accarezzati dai primi raggi di sole, accompagnati dal canto degli uccelli. Ci sono poi lampade apposite da utilizzare al lavoro quando fa buio.
Nonostante le luminose estati norvegesi, svariati studi dimostrano che la Scandinavia gode di una minor esposizione alla luce solare diretta rispetto a quanto registrato ad altre latitudini. Questo è dovuto sia alle condizioni metereologiche, che fanno sì che solo raramente ci siano giornate di cielo sereno e azzurro, sia al fatto che il sole si trova a un angolo molto basso rispetto all’orizzonte (tra gli zero e dieci gradi) per il trentacinque per cento del tempo.
Ciò significa che la luce del sole è difficilmente accessibile per almeno un terzo dell’anno. Se poi vi capita di abitare dietro la cresta di una montagna o in una città con palazzoni e condomini, ecco che vi perderete anche i raggi del sole quando questo accarezza l’orizzonte. Per fare un paragone, a Madrid la stessa situazione si presenta solo per il dieci per cento di tempo all’anno.
Inoltre, oggigiorno le città seguono criteri urbanistici completamente diversi rispetto al passato. Una volta era importantissimo massimizzare l’uso della luce diurna, dato che l’elettricità non esisteva e che all’inizio era troppo costosa e inaccessibile ai più.
Insomma, esattamente come per molte altre cose, anche per la luce del sole esiste una sola verità: a giuste dosi va tutto bene, ma non bisogna esagerare, perché altrimenti si rischiano scottature, melanomi, cecità da neve, cecità da mare… O addirittura di impazzire.

L’immensa luce bianca

Le storie di persone che sono impazzite alle Svalbard non mancano. Il colpo di grazia non lo infliggeva tanto la notte polare, quanto la luce, al suo ritorno in primavera e durante l’estate. A Longyearbyen il fenomeno del sole di mezzanotte comincia il 19 aprile. All’inizio, è piacevole vedere il sole scendere e planare sul mare e colorare il cielo e le nuvole di rosa e violetto, ma via via che dalla primavera si passa all’estate il sole si tramuta in una boccia bianca che disegna una parabola in cielo e fa impallidire tutti i colori pervadendo ogni cosa.
Una delle prime cose che ho imparato lassù è stato proprio questo: spalmare detersivo per i piatti sui vetri della camera da letto e piazzarci sopra dei fogli d’alluminio per oscurare la stanza, in modo da ridurre la quantità di luce estiva che illumina a giorno il letto. E riuscire a dormire.
Anche dal nord della Norvegia arrivano testimonianze che raccontano di come, durante la guerra, la maggior parte dei tedeschi che furono rispediti a casa batté in ritirata quando il sole tornò a splendere in primavera e in estate. In fuga da quella immensa luce bianca.
Il sole perenne o il lungo buio invernale possono mandare in tilt i nostri ritmi. Per molto tempo, la psicologia ha etichettato questo fenomeno con il nome di disturbo affettivo stagionale: una forma di depressione legata alle stagioni. Recenti studi hanno però dimostrato che si tratta di una questione più complessa e anche la “fotostoria” personale di ogni singolo individuo svolge un ruolo rilevante. Su una cosa comunque tutti concordano: l’essere umano necessita sia di luce sia di buio per funzionare bene e, idealmente, in giusta quantità. La domanda è: qual è questa giusta quantità e che influenza esercita la luce artificiale sui ritmi naturali?

CHRISTIANE

Christiane scende al torrente con il bucato. Deve sciacquarlo. Ha gli sci ai piedi. In una mano brandisce un bastone, nell’altra tiene il secchio con i panni. Avanza a passo lento nell’autunno, nell’oscurità. «Un profondo silenzio avvolge il paesaggio in un abbraccio protettivo mentre la neve assorbe ogni rumore. (…) Un intenso crepuscolo sembra ormai aver inghiottito la terra.»

Infidi strati di ghiaccio e una sventurata festa con casa libera

Mi metto gli sci ai piedi. Scivolo verso il lago ricoperto di neve e ghiaccio. Tutti i torrenti qui attorno sono ormai gelati e solitamente per avere acqua d’inverno siamo costretti a perforare il ghiaccio del lago e recuperarla da lì. L’inverno però è appena cominciato, Natale è ancora lontano e non sono sicura di quanto possa fidarmi della superficie gelata. La colpisco un paio di volte con il bastone e decido di non avventurarmi oltre.
Mai fidarsi del ghiaccio sull’acqua: bisogna fare attenzione a tutto. Verificare quali sono affluenti ed emissari, guardare se è coperto da neve fresca, fare attenzione lungo la costa e vicino a ponti e stretti, tenere gli occhi aperti attorno agli isolotti, ai promontori e ovunque si veda spuntare della vegetazione, per non parlare del ghiaccio attorno a grandi rocce.
Mentre si cammina poi non si può mai abbassare la guardia. Ondeggiamenti, scricchiolii, crepe, acqua in superficie, tutto può indicare la presenza di uno strato troppo sottile. Lo stesso vale per il ghiaccio bianco come il latte o quello più scuro in alcune zone.
Un dicembre di alcuni anni fa, io e una mia amica ci avventurammo sul lago di Finse gelato. Eravamo dirette verso la stazione dei treni e seguivamo la traccia battuta da un altro escursionista con gli sci che ci aveva preceduto. Parlavamo tra di noi quando, improvvisamente, tra due parole della stessa frase, tra un fiocco di neve e una risata persa nel vento, esattamente a metà giornata, metà tragitto e nel bel mezzo del lago, con quattro gradi sotto zero e un ventaccio, sentii uno dei miei sci cedere sotto il mio peso. Non riuscii nemmeno a registrare il pericolo e mi ritrovai in acqua. Sotto di me, non sentivo il fondale. Cercai disperatamente il bordo del ghiaccio per avere un appiglio, spingendo in acqua con gli sci.
Di testa c’ero. Avevo letto e scritto articoli che parlavano di cosa fare quando si finisce in acqua sotto uno strato di ghiaccio. La teoria la conoscevo. Sapevo che la finestra di tempo per agire è molto limitata prima che il corpo cominci a dire basta e che non bisogna farsi prendere dal panico.
I sistemi d’allarme del mio corpo scattarono in contemporanea, come quando ci si prende un bello spavento. Il mio corpo si stava preparando: fuggire o lottare. Sentii le forze moltiplicarsi e mi ritrovai a essere lucida come mai prima.
La mia amica si sdraiò sul ghiaccio, porgendomi il suo bastone. Avvicinatami al bordo, con mia grande sorpresa lo trovai solido, riuscendo a risalire in superficie con gli sci ai piedi. Zuppa.
Assieme alla mia amica ci lanciammo verso la baita, percorrendo a rotta di collo il chilometro che ci separava dal calore necessario per asciugarmi e parlare dell’accaduto.
In seguito a questa esperienza ho avuto modo di leggere molti articoli e discutere dell’episodio con parecchie persone. La mia conclusione è che probabilmente non c’era nemmeno ghiaccio sotto il punto in neve fresca dove ero scivolata in acqua. Forse per colpa di una grande roccia o forse per la direzione in cui soffiava il vento, lì il ghiaccio non si era formato. Forse il livello dell’acqua era stato abbassato artificialmente operando sulla diga locale. Ma come è possibile farsi trovare preparati allo shock di cadere in acqua perché ti cede il ghiaccio sotto i piedi?
Impossibile, dicono gli esperti. Qualcosa si può comunque fare: immergersi in acqua gelata in condizioni controllate, un esercizio propedeutico per automatizzare la risposta del corpo, sperando poi che sappia entrare in modalità pilota automatico quando la situazione lo richiede. È sicuramente di aiuto sapere che molto probabilmente andrà tutto bene, che se fi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Al buio
  4. Prefazione
  5. Primo giorno. Lunedì
  6. Secondo giorno. Martedì
  7. Terzo giorno. Mercoledì
  8. Quarto giorno. Giovedì
  9. Quinto giorno. Venerdì
  10. Epilogo
  11. Fonti
  12. Ringraziamenti
  13. Copyright