Galileo
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Contro i nemici del pensiero scientifico

  1. 384 pagine
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Contro i nemici del pensiero scientifico

Informazioni su questo libro

Galileo è forse lo scienziato più celebre di tutti i tempi: il suo approccio allo studio dei fenomeni naturali - basato su osservazioni dirette e misurazioni concrete - ha contribuito a spalancare le porte alla modernità ed è alla base del metodo che guida ancora oggi ogni seria ricerca sperimentale. Le sue teorie hanno rivoluzionato la nostra visione del mondo e delle leggi fisiche che lo regolano, non meno di quelle di Einstein; non stupisce, quindi, che sia tuttora considerato uno dei padri della scienza, accanto a figure quali Copernico, Newton o Darwin. Ma a farne un'icona del pensiero moderno è stata soprattutto la sua battaglia con quanti, all'interno della Chiesa e della società del Seicento, preferivano rifugiarsi in una visione dogmatica dell'universo anziché accettare le evidenze poste davanti ai loro occhi. Sappiamo tutti come andò a finire: il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo messo all'Indice, il processo davanti al Sant'Uffizio, l'abiura. Per la prima volta, l'intera parabola di questo gigante dell'astronomia ci viene raccontata da un grande astrofisico che ha a lungo lavorato al programma del telescopio spaziale Hubble, il pronipote del cannocchiale galileiano. Grazie alle sue indiscusse doti di divulgatore, Mario Livio ci accompagna in un viaggio alla scoperta della vicenda umana e scientifica di Galileo per mostrarci quanto sia incredibilmente attuale. Ancora oggi, infatti, vediamo all'opera lo stesso cieco atteggiamento antiscientifico di chi allora sosteneva - sulla sola base dell'autorità di Aristotele e delle Sacre Scritture - la correttezza della teoria geocentrica tolemaica, ignorando le prove inconfutabili a favore del modello eliocentrico copernicano. Allo stesso modo, ai giorni nostri sempre più persone rifiutano i vaccini, negano il fenomeno del cambiamento climatico o la sua origine antropica, sposano il creazionismo o si dicono convinte di vivere su una Terra piatta. Acuta, precisa, brillante e coinvolgente, questa biografia di Galileo è anche una strenua difesa della sua eredità più grande: il metodo scientifico, l'unica chiave capace di darci accesso alle verità fisiche dell'universo.

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Un ribelle con una causa

Nel dicembre 1613, durante una colazione a Palazzo Medici a Pisa,1 i presenti chiesero a Benedetto Castelli, ex studente di Galileo, di spiegare l’importanza delle scoperte fatte dal suo maestro con il cannocchiale. Durante la discussione che ne seguì, la granduchessa Cristina di Lorena torchiò Castelli con una serie di domande su quelle che riteneva contraddizioni fra alcuni passi biblici e la visione copernicana della Terra come un oggetto in orbita attorno a un Sole stazionario. In particolare citò una scena descritta nel Libro di Giosuè, nella quale, su richiesta di quest’ultimo, il Signore ordinò al Sole (e non alla Terra) di fermarsi sopra l’antica città cananea di Gàbaon, e alla Luna di rimanere immobile sulla valle di Àialon.2 Castelli raccontò la vicenda in una lettera inviata a Galileo il 14 dicembre 1613, affermando di aver indossato i panni del teologo «con tanta riputazione e maestà» che il maestro sarebbe stato felice di sentirlo. Nel complesso, dichiarò Castelli, «mi diportai da paladino».3
A quanto pare, però, Galileo non era altrettanto convinto del successo ottenuto dal suo studente nel chiarire il punto. Infatti, nella lunga risposta indirizzata a Castelli il 21 dicembre,4 spiegò nel dettaglio la sua visione, indicando quanto fosse improprio usare la Scrittura per discutere delle questioni di scienza. «Io crederei che l’autorità delle Sacre Lettere avesse avuto solamente la mira a persuader a gli uomini quegli articoli e proposizioni, che, sendo necessarie per la salute loro e superando ogni umano discorso, non potevano per altra scienza né per altro mezzo farcisi credibili» dichiarò. Secondo lo stile che caratterizza gran parte dei suoi scritti, aggiunse subito, con sarcasmo, che non riteneva «che quel medesimo Dio che ci ha dotati di sensi, di discorso e d’intelletto, abbia voluto, posponendo l’uso di questi, darci con altro mezzo le notizie che per quelli possiamo conseguire». In breve, la tesi di Galileo era che, di fronte a un apparente conflitto tra la Scrittura e ciò che l’esperienza e la dimostrazione stabiliscono riguardo la natura, i testi sacri andassero reinterpretati in modo alternativo. E ciò soprattutto «in quelle scienze delle quali una minima particella e in conclusioni divise se ne legge nella Scrittura; qual appunto è l’astronomia, di cui ve n’è così piccola parte, che non vi si trovano né pur nominati i pianeti».
Anche se tale ragionamento non era del tutto nuovo – già nel V secolo sant’Agostino aveva affermato che gli autori delle Sacre Scritture non erano mossi dall’intenzione di insegnarci la scienza, in quanto «quelle cose […] non avrebbero giovato a chi le apprende per il conseguimento della vita eterna»5 – le dichiarazioni ardite di Galileo lo avrebbero presto messo in rotta di collisione con la Chiesa cattolica. La Lettera a Benedetto Castelli fu infatti solo l’inizio di un cammino pericoloso che lo avrebbe infine condotto, il 22 giugno 1633, a essere considerato «veementemente sospetto d’eresia». Nel complesso, se esaminiamo la vita di Galileo in termini di appagamento personale, possiamo dire che abbia seguito un percorso simile a una U capovolta, con un netto picco poco dopo le sue numerose scoperte astronomiche seguito da una rapida discesa. Per ironia della sorte, questa curva parabolica è simile a quella del moto dei proiettili, che proprio Galileo fu il primo a determinare.
Di fatto, comunque, la tragica fine di Galileo non fece altro che contribuire a trasformarlo in uno dei più straordinari eroi della nostra storia intellettuale. In fin dei conti, non ci sono molti scienziati alle cui vite e ai cui successi siano stati dedicati interi drammi (come l’indimenticabile Vita di Galileo di Bertolt Brecht, messa in scena per la prima volta nel 1943) e un gran numero di poesie, o su cui sia stata composta un’opera lirica. E, a ulteriore riprova di un impatto che molti degli accademici odierni sognerebbero di avere, cercando su Google «Galileo Galilei» si ottengono nientemeno che trentasei milioni di risultati.
Albert Einstein lo definì «il padre della fisica moderna e soprattutto delle scienze naturali moderne». Il suo giudizio veniva a riprendere quello del filosofo e matematico Bertrand Russell, che aveva a sua volta visto in Galileo «il più grande tra i fondatori della scienza moderna».6 Einstein aggiunse che «la scoperta e l’uso del ragionamento scientifico» da parte di Galileo erano stati «una delle conquiste più importanti nella storia del pensiero umano». Questi due illustri personaggi non erano soliti profondersi in lodi, ma in questo caso c’era una solida ragione alla base dei loro riconoscimenti: attraverso la sua rivoluzionaria e ostinata insistenza sul fatto che il libro della natura fosse «scritto in lingua matematica», e grazie al suo successo nel fondere assieme sperimentazione, idealizzazione e quantificazione, Galileo aveva letteralmente riplasmato la storia naturale, trasformandola da una mera collezione di vaghe e nebulose spiegazioni verbali, abbellite da metafore, a una splendida opera che faceva uso – dove le conoscenze contemporanee lo permettevano – di teorie matematiche rigorose. Nel quadro di tali teorie, le osservazioni, gli esperimenti e il ragionamento diventavano gli unici strumenti accettabili per indagare il mondo e ricercare nuove connessioni in seno alla natura. Per citare le parole di Max Born, vincitore del premio Nobel per la fisica del 1954: «L’atteggiamento scientifico e i metodi della ricerca teorica ed esperimentale sono rimasti immutati nei secoli successivi a Galileo e continueranno a restare tali».7
Nonostante la sua grandezza scientifica, Galileo non era comunque la persona più affabile, né la più facile con cui trattare; e non era neppure un libero pensatore idealista, un esploratore finito per caso in mezzo a una controversia teologica. Pur sapendo essere molto empatico e di grande sostegno verso i membri della sua famiglia, era anche capace di mostrare aggressività e intolleranza, e non si tratteneva dal brandire la sua tagliente penna contro gli scienziati che erano in disaccordo con lui. Diversi studiosi lo hanno descritto come un fanatico, anche se non sempre in merito alla stessa causa: per alcuni era un sostenitore accanito del copernicanesimo (la visione secondo cui la Terra e gli altri pianeti ruotano attorno al Sole), mentre per altri ciò che difendeva con tanto zelo era la propria convinzione di essere nel giusto. Altri ancora hanno persino ritenuto che stesse combattendo per il bene della Chiesa cattolica, mosso dalla volontà di impedirle di compiere un errore di proporzioni storiche con la condanna di una teoria scientifica che – era convinto – si sarebbe dimostrata una descrizione corretta del cosmo. In difesa del suo fervore, comunque, dovremmo tener presente che un atteggiamento del genere è probabilmente comprensibile in un uomo deciso non solo a cambiare una visione del mondo vecchia di secoli, ma anche a introdurre degli approcci del tutto nuovi a ciò che costituisce la conoscenza scientifica stessa.
Senza dubbio, Galileo deve gran parte della sua fama accademica alle spettacolari scoperte che compì con il cannocchiale e all’estrema efficacia con cui seppe divulgarle. Volgendo questo nuovo strumento verso il cielo (anziché usarlo per avvistare navi o scrutare i suoi vicini), riuscì a portare alla luce fenomeni meravigliosi: la presenza di montagne sulla superficie della Luna, quella dei quattro satelliti che orbitano attorno a Giove, l’esistenza di fasi di Venere simili a quelle lunari e il fatto che la Via Lattea sia composta da un numero enorme di stelle. Tuttavia, anche questi straordinari risultati non sono di per sé sufficienti a spiegare l’immensa popolarità di cui Galileo continua a godere tutt’oggi, né il fatto che sia diventato, più di ogni altro scienziato (con le possibili eccezioni di Sir Isaac Newton e Albert Einstein), l’imperituro simbolo dell’immaginazione e del coraggio scientifici. Nemmeno l’essere stato il primo a decifrare con solidità le leggi della caduta dei corpi e l’aver introdotto nella fisica il concetto cruciale della dinamica bastano a trasformarlo nell’eroe della rivoluzione scientifica. In fin dei conti, ciò che distingueva Galileo dalla maggior parte dei suoi contemporanei non erano tanto le sue convinzioni, ma piuttosto le ragioni dietro di esse, e il modo in cui le aveva raggiunte.
Galileo basava le proprie tesi non sull’autorità, ma sull’evidenza sperimentale (a volte concreta, a volte nella forma di quegli «esperimenti di pensiero» in cui esaminava mentalmente le conseguenze di un’ipotesi) e sulla riflessione teorica. Era disposto a riconoscere e accettare che delle convinzioni ritenute vere per secoli potessero essere sbagliate. Ebbe inoltre la lungimiranza di affermare con forza che la strada verso la verità scientifica è lastricata da un paziente lavoro di sperimentazione, che conduce a quelle leggi matematiche capaci di intessere tutti i fatti osservati in un unico, armonioso arazzo. Come tale, può essere senza dubbio considerato uno degli inventori di quello che oggi chiamiamo «metodo scientifico»:8 una sequenza di passi che, idealmente (anche se in realtà avviene di rado), vanno compiuti per sviluppare una nuova teoria o per acquisire conoscenze più avanzate. Nel 1759, il filosofo empirista scozzese David Hume mise a confronto la figura di Galileo e quella di un altro famoso empirista, il filosofo e statista inglese Francis Bacon: «Bacon indicò da lontano la strada che porta alla vera filosofia; Galileo, oltre a indicarla agli altri, la percorse in prima persona, facendo notevoli progressi. L’inglese non conosceva la geometria; il fiorentino fece rivivere tale scienza, in cui eccelleva, e fu il primo ad applicarla, assieme all’esperimento, alla filosofia naturale».
Tutte le straordinarie intuizioni di Galileo non sarebbero potute nascere dal nulla. Forse potremmo anche spingerci ad affermare che l’epoca plasma gli individui più di quanto gli individui plasmino l’epoca. Come scrisse lo storico dell’arte Heinrich Wölfflin, «persino il talento più originale non può andare oltre determinati limiti che gli vengono imposti dalla sua data di nascita».9 Qual era, quindi, il contesto in cui Galileo venne a muoversi e a produrre la sua magia senza pari?
Galileo nacque nel 1564, solo pochi giorni prima della morte del grande artista Michelangelo (e nello stesso anno in cui venne al mondo il drammaturgo William Shakespeare), e morì nel 1642, quasi un anno prima della nascita di Newton. Non serve credere alla trasmigrazione delle anime da un corpo all’altro – anzi, fareste meglio a non crederci in ogni caso – per capire che la torcia della cultura, della conoscenza e della creatività passa sempre da una generazione a quella successiva.
Sotto molti punti di vista, Galileo era un prodotto del tardo Rinascimento. Per citare le parole del suo studioso Giorgio de Santillana: «il classico esempio di umanista, che tenta di risvegliare la propria cultura alla consapevolezza delle nuove idee scientifiche».10 L’ultimo discepolo e primo biografo (o forse sarebbe meglio dire «agiografo») di Galileo, Vincenzo Viviani, scrisse del suo maestro: «Lodava ben sì il vedere quanto in filosofia e geometria era stato scritto di buono, per dilucidare e svegliar la mente a simili e più alte speculazioni; ma ben diceva che le principali porte per introdursi nel ricchissimo erario della natural filosofia erano l’osservazioni e l’esperienze, che, per mezzo delle chiavi de’ sensi, da i più nobili e curiosi intelletti si potevano aprire». Questo stesso modo di vedere le cose era stato espresso, circa un secolo prima, dal grande Leonardo da Vinci, che, sfidando quanti lo avevano deriso per «non essere io litterato», esclamò: «quegli che solamente studiano li altori [autori] e non l’opere di natura, sono per arte nipoti e non figlioli d’essa natura, maestra de’ boni altori».11 Viviani ci riferisce inoltre che i giudizi dati da Galileo su varie opere d’arte erano tenuti in gran conto da famosi artisti, come il pittore e architetto Lodovico Cardi detto il Cigoli, suo amico personale e, in alcune occasioni, collaboratore.12 Di fatto, a quanto pare proprio in risposta a una richiesta di Cigoli, Galileo scrisse un saggiò in cui discusse la superiorità della pittura sulla scultura. Anche la famosa pittrice barocca Artemisia Gentileschi si rivolse a lui quando ritenne che il nobile francese Carlo di Lorena, IV duca di Guisa, non avesse apprezzato a sufficienza uno dei suoi quadri. Inoltre, nel dipinto Giuditta che decapita Oloferne, la Gentileschi rappresentò gli schizzi di sangue in accordo con la scoperta galileiana della traiettoria parabolica dei proiettili.
Gli encomi di Viviani non finiscono qui. In uno stile che ricorda da vicino quello del primo storico dell’arte, Giorgio Vasari, nelle sue biografie dei più grandi pittori,13 Viviani scrive che Galileo era un eccellente suonatore di liuto, «superando nella gentilezza e grazia del toccarlo il medesimo padre». Questo apprezzamento sembra almeno un po’ fuori luogo: per quanto sia vero che il padre di Galileo, Vincenzo Galilei, era un compositore, un liutista e un teorico della musica, e che Galileo stesso suonava il liuto piuttosto bene,14 era suo fratello minore Michelangelo a essere un vero virtuoso di quello strumento.
Infine, come ciliegina sulla torta, Viviani ci riferisce che Galileo era in grado di recitare a memoria gran parte delle opere di Dante Alighieri, Ludovico Ariosto e Torquato Tasso.15 In questo caso, non si tratta di un eccesso di adulazione. Galileo, il cui poema preferito era proprio l’Orlando furioso, dedicò un serio lavoro di analisi letteraria a un confronto tra Ariosto e Tasso, esaltando il primo e criticando pesantemente il secondo. Una volta disse al suo vicino (e, in seguito, biografo) Niccolò Gherardini che leggere il Tasso dopo l’Ariosto era come mangiare aspri limoni dopo un delizioso melone. Fedele al suo spirito rinascimentale, Galileo continuò per tutta la vita a coltivare un profondo interesse per l’arte e la poesia contemporanea; i suoi scritti – compresi quelli su questioni scientifiche – rispecchiavano la sua erudizione letteraria e ne erano permeati.
Oltre a questo splendido background artistico e umanistico, alcuni importanti progressi scientifici – in certi casi davvero rivoluzionari – contribuirono ad aprire la strada a quel genere di innovazioni concettuali che Galileo stava per introdurre. Nel 1543, in particolare, videro la luce non uno ma ben due libri che avrebbero cambiato le idee degli uomini sul microcosmo e il macrocosmo. Copernico pubblicò infatti il De revolutionibus orbium coelestium («Sulle rivoluzioni delle sfere celesti»), in cui la Terra veniva a perdere la sua posizione centrale nel sistema solare, e l’anatomista fiammingo Andreas van Wesel – meglio conosciuto come Andreas Vesalius, o Andrea Vesalio – diede alle stampe il De humani corporis fabrica («Sul modo in cui è costituito il corpo umano»), in cui presentava una nuova visione dell’anatomia umana. Questi saggi sfidavano convinzioni ormai comunemente accettate e risalenti all’antichità. Il libro di Copernico fu d’ispirazione per altri pensatori – come il filosofo Giordano Bruno e, in seguito, astronomi quali Keplero e Galileo – che spinsero ancora più in là la sua visione eliocentrica. In modo analogo, il volume di Vesalio – nel quale venivano accantonate autorità del mondo antico come il medico greco Galeno – spronò William Harvey (il primo anatomista a descrivere il sistema circolatorio che conduce il sangue in ogni parte del corpo) a difendere il primato dell’evidenza osservativa. Anche in altri rami della scienza ci furono notevoli progressi: nel 1600 il fisico inglese William Gilbert pubblicò il suo importante libro sui magneti, e nel XVI secolo il medico svizzero Paracelso introdusse una nuova prospettiva sulle malattie e la tossicologia.
Tutte queste scoperte vennero a creare un clima di apertura alla scienza che non si era mai visto nei cosiddetti Secoli oscuri.16 Ciononostante, alla fine del XVI secolo la prospettiva intellettuale delle persone – comprese quelle più istruite – aveva ancora un’impronta perlopiù medievale; le cose sarebbero cambiate in modo drastico soltanto nel corso del XVII secolo. Ci devono quindi essere stati ulteriori fattori alla base di quello che potremmo chiamare il «fenomeno Galileo». Per preparare un terreno fertile pronto ad accogliere il grande astronomo e promuoverlo allo status di protomartire e icona della libertà scientifica furono dunque necessari altri cambiamenti radicali.
Un nuovo e importante elemento sociopsicologico che segnò il periodo tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII fu l’ascesa dell’individualismo: l’idea secondo cui una persona può realizzarsi pienamente a prescindere dalle circostanze sociali.17 Questa nuova prospettiva si manifestò in tutta una serie di aree: dall’acquisizione della conoscenza all’accumulo di ricchezza, dalla determinazione delle verità morali alla valutazione del successo imprenditoriale. L’atteggiamento individualista si distingueva profondamente dai valori ereditati dalla filosofia dell’antica Grecia, che considerava le persone più come membri di una comunità che come individui: per esempio, lo scopo di Platone nello scrivere La Repubblica era definire – e aiutare a costruire – una società superiore, non una persona migliore.
Nel Medioevo, l’emergere dell’individualismo er...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Galileo
  4. Prefazione
  5. 1. Un ribelle con una causa
  6. 2. Uno scienziato umanista
  7. 3. La Torre pendente e i piani inclinati
  8. 4. Un copernicano
  9. 5. A ogni azione corrisponde una reazione
  10. 6. In un campo minato
  11. 7. Tale proposizione è stolta e assurda in filosofia
  12. 8. Una battaglia di pseudonimi
  13. 9. Il saggiatore
  14. 10. Il Dialogo
  15. 11. La tempesta si avvicina
  16. 12. Il processo
  17. 13. Io abiuro, maledico e detesto
  18. 14. Un vecchio uomo, due nuove scienze
  19. 15. Gli ultimi anni
  20. 16. La saga di Pio Paschini
  21. 17. I pensieri di Galileo e Einstein su scienza e religione
  22. 18. Un’unica cultura
  23. Ringraziamenti
  24. Note
  25. Bibliografia
  26. Crediti delle immagini
  27. Inserto fotografico
  28. Copyright