Elisabetta
Quando comincia la fine di un amore?
Esiste un momento preciso in cui qualcosa si rompe ed è già troppo tardi?
Ricordiamo perfettamente tutte le prime volte che lo hanno costruito, mattone dopo mattone, ma mai quelle che hanno cominciato a distruggerlo.
Siamo sempre molto concentrati a fare in modo che l’amore nasca, e poi però spesso non ci occupiamo di fare in modo che l’amore resti.
Ce li abbiamo scolpiti nella memoria il primo sguardo, la prima volta che ci siamo presi per mano, il primo bacio, la prima notte insieme, il primo viaggio, il primo litigio, la prima volta che abbiamo fatto la pace, la prima volta che abbiamo preso in considerazione l’idea di vivere insieme, il primo trasloco, il momento in cui l’ipotesi di un figlio ci è parsa improvvisamente più concreta, l’attimo in cui è venuto al mondo per davvero.
Tutto questo rimane incastrato dentro di noi sotto forma di piccole nostalgie che restano immacolate negli anni, come delle polaroid da sfogliare e a cui aggrapparsi quando quella magia è andata persa e abbiamo bisogno di convincerci di poter tornare ancora lì, all’inizio di tutto.
Scordiamo, invece, tutte le nostre prime mancanze, quelle che si ricoprono silenziose della polvere del tempo: il primo giorno in cui non abbiamo portato il caffè a letto, la prima volta senza stappare il vino la sera, la prima notte che non siamo andati a dormire assieme, ma uno dei due è rimasto sul divano, la prima volta che, dopo un litigio, non ci siamo sforzati di chiarire trincerandoci nel silenzio, la prima volta che ci siamo sentiti soli, la prima volta che cenare insieme la sera, dopo una giornata di lavoro, ha smesso di sembrarci un miracolo e ci è parsa solo routine.
Siamo abituati a dirci quando siamo felici e a nascondere quando siamo tristi per paura di ferire l’altro, siamo abituati a vedere le crepe che inevitabilmente si formano in una storia come un motivo per allontanarci e non come un motivo per ricordarci che, nonostante tutto, siamo stati bravi a essere ancora qui.
Io non lo so quando io e mio marito abbiamo smesso di riconoscerci, so che un giorno ci siamo trovati ai lati opposti della stanza, senza riuscire a capire dove si erano smarriti quei due ragazzi pieni di graffi che avevano sfidato il mondo pur di stare insieme.
Io e Alessandro avevamo sempre creduto di essere invincibili, perché il nostro è stato un amore che per tanti anni era riuscito a resistere, dandoci un motivo per restare.
Per questo quando è successo anche a noi, di specchiarci negli occhi dell’altro e non trovare più un appiglio al quale aggrapparci, abbiamo distolto lo sguardo e abbiamo continuato a vivere come prima, senza il coraggio di ammettere che forse quella non era più la vita che desideravamo, e da quel momento abbiamo vissuto fingendo che andasse tutto bene, anche se non andava bene per niente.
È cambiato tutto la sera in cui è rientrato a casa dal lavoro, ha lasciato cadere la sua ventiquattrore sul divano e senza dire niente è venuto dietro di me e ha posato delicatamente le dita sui miei fianchi, come faceva quando aveva voglia di fare l’amore.
Io stavo preparando la cena, Virginia e Federico erano andati in vacanza con la famiglia del piano di sopra, e Alessandro non faceva quel gesto da oltre cinque mesi.
All’inizio ho avuto un attimo di esitazione dovuta alla sorpresa, poi però ho chiuso gli occhi, ho stretto con forza i bordi del lavandino e mi sono abbandonata alle sue mani.
Il suo respiro sul mio collo nascondeva i brividi di un amore sfinito e, quando ho inarcato la schiena e ho passato un braccio dietro la sua nuca, ho afferrato i suoi capelli come se stessi stringendo la nostra vita.
Avevo bisogno di fare l’amore con mio marito, avevo bisogno di ricordarmi delle linee che le sue dita sapevano disegnarmi addosso, avevo bisogno di guardare i nostri corpi coincidere perfettamente come avevano sempre fatto e soprattutto scoprire che ne erano ancora capaci.
Avevo bisogno di vedere nei suoi occhi che poteva desiderarmi ancora come in passato, nonostante il mio corpo fosse cambiato nel tempo e non fosse più quello che aveva conosciuto.
Avevo bisogno di sentire nei suoi respiri una connessione con i miei, e di sentirlo più che altro dentro la testa, e di sentire me dentro la sua, per cercare, in qualche modo, di trasmetterci ancora una volta l’esistenza di quelle briciole d’amore che erano riuscite a sopravvivere ai nostri silenzi.
Alessandro è stato fin da subito diverso dagli uomini che avevo frequentato prima di incontrarlo, perché aveva il dono di dirmi “ti amo” e farmi sentire ovunque, dentro e fuori, che era vero.
Mentre mi toglieva i vestiti ho avuto l’improvvisa sensazione che mi stesse scivolando via di dosso anche la routine della nostra quotidianità, e la mia stanchezza di mamma, e il timore consolidato di conoscerci da così tanto tempo che a volte mi sembrava di non aver più niente da scoprire.
Ho spogliato mio marito come se stessi sfogliando un album di vecchie fotografie, con quel misto di nostalgia e malinconia che provocano le cose belle che non tornano più, ho accarezzato il suo corpo come se stessi accarezzando ogni istante della nostra storia e mi sono sorpresa a sentire nel petto un’emozione vera e pura a pensare che quel corpo è diventato adulto e imperfetto di fianco al mio, e di essere l’unica donna al mondo a poter dire di conoscerlo a memoria, e lui l’unico uomo al mondo che possa dire di conoscere a memoria il mio.
D’un tratto mi ha voltato lentamente verso di sé e abbiamo fatto una cosa che non facevamo davvero da troppo tempo: ci siamo guardati negli occhi.
I suoi sembravano due torce, le stesse che tanti anni fa mi avevano fatto venire voglia di restare per sempre a guardarle.
Con quello sguardo silenzioso prima di fare l’amore io e Alessandro ci siamo scambiati tutti i nostri magoni, i desideri di aggiustare le nostre paure, i timori di essere arrivati troppo lontano per poter tornare quelli che siamo stati.
Le sue braccia mi hanno sollevata come avevano fatto tante altre volte e le mie gambe si sono attorcigliate attorno alla sua vita come se volessero stringere più amore possibile.
Siamo scivolati in camera da letto e quando mi ha appoggiato delicatamente sulle lenzuola, mi sono emozionata come se mi stesse sfiorando per la prima volta, e per una frazione di secondo ci ho rivisti giovani e spensierati a immaginare la vita che avevamo davanti, sudati e ribelli in quella stanza illuminata appena, dove, dopo aver fatto l’amore, mi aveva detto “è stato bello essere dentro di te per la prima volta” e io gli avevo risposto “ci eri già”.
Ho avuto un gemito di piacere incontrollato quando ho sentito le sue mani stringermi i fianchi con una forza che avevo quasi dimenticato.
La stessa forza che per tanto tempo avevo desiderato usasse per tirarmi fuori quel piccolo bagliore che avevo sempre avuto negli occhi, che, qualche volta, erano ancora capaci di brillare per lui, la stessa forza che aveva smesso di utilizzare per salvare noi, ma mai per salvare tutto il resto.
Non sono arrabbiata con Alessandro per non essere riuscito a portarmi dentro la vita che mi aveva promesso, sono più arrabbiata con me stessa per non essere riuscita a condurre entrambi dentro la vita che avevamo in mente.
Qualche volta mi domando quando abbiamo cominciato a sbagliare, quando a perderci, e dove ci siamo persi, e dove finiscono le sue colpe e cominciano le mie.
Qualche volta l’amore inizia a lasciarsi dietro l’entusiasmo iniziale e a fare a spallate con la vita vera, quella fatta da giornate stancanti e spesso tutte uguali. È allora che bisogna essere bravi a conservare la magia, soprattutto se il mondo attorno sembra dirti che non c’è più.
Non esistono rapporti perfetti, ma solo rapporti imperfetti da tenere insieme ricucendoli e rattoppandoli se si strappano qua e là, fino a quando dentro di noi esiste ancora un motivo per non mollare la presa.
Il rapporto tra me e Alessandro non era più così forte come la sua stretta che sentivo in quel momento attorno ai miei fianchi, e le sue labbra avevano perso la curiosità di percorrere ogni angolo del mio corpo per scoprire posti nuovi dove trasformarsi in un bacio in più.
Mi sono resa conto che stavamo facendo l’amore con tutta la testa e tutto il cuore e ho avuto paura che potesse essere l’ultima volta.
In quel momento ho aperto gli occhi per trovare in quelli di Alessandro una risposta che però non c’era, e così, alla fine, ho smesso di interrogarmi e mi sono concentrata solo sulle sensazioni: sono loro che sanno far durare gli amori.
Ho percepito che Alessandro stava per venire dentro di me dopo tanto tempo e, non appena ho avvertito il nostro piacere diventare uno solo, gli ho piantato le unghie nella schiena e mi sono abbandonata completamente. Io e mio marito non avevamo un orgasmo così da secoli: forse è per questo che non è uscito subito, ma è rimasto dentro di me per un po’, lui ancora sopra di me, io ancora con la schiena sul materasso e le gambe attorno alla sua vita che tremavano appena.
Mi succede sempre quando ho un orgasmo: mi tremano le gambe e mi cominciano a formicolare leggermente le punte dei piedi.
Ad Alessandro, invece, si arrossano tantissimo le orecchie e io l’ho sempre preso in giro e lui ha sempre preso in giro me.
Siamo rimasti così per una quantità di tempo che non saprei definire, poi ci siamo sdraiati a pancia in su con lo sguardo perso sul soffitto, e alla fine mi sono messa su un fianco, ho piantato un gomito nel materasso per sorreggermi la testa, e gli ho parlato sottovoce.
«C’è una cosa di noi che non dimenticherò mai, lo sai? Non è la prima volta che ci siamo visti, e nemmeno la prima volta che ci siamo baciati, e neanche la prima volta che abbiamo fatto l’amore. Ricordo solo che stavamo passeggiando e che a un certo punto ti ho guardato e ti ho visto così diverso e bello che ho sentito uno strappo allo stomaco, come se avessi riconosciuto qualcuno che cercavo da anni. Una parte di me rimarrà sempre a quell’attimo lì: quando sono diventata tua, all’improvviso.»
Lui ha sorriso impercettibilmente e io sono rimasta per un attimo a guardare il suo viso, la luce che filtrava dalla finestra e lo illuminava a chiazze, e a ritrovarmi a pensare che nonostante tutto Alessandro è ancora bello come una volta.
Sono rimasta a guardarlo silenziosamente per un po’: il profilo del suo viso e del suo corpo, i capelli arruffati sul cuscino, le braccia distese lungo i fianchi.
«Non sai da quanto aspettavo questo…» gli ho detto d’un tratto. La mia voce era un sussurro, e mentre parlavo ho sentito un macigno salirmi in gola e ho dovuto stringere i pugni per non scoppiare in lacrime.
È stato come se la fragile magia che ci aveva uniti pochi minuti prima all’improvviso si fosse sgretolata.
Alessandro ha spostato gli occhi su di me e io non ho spostato gli occhi da quelli di mio marito.
Avevo bisogno che li sentisse davvero addosso.
Fra tutte le risposte che avrebbe potuto darmi, mi ha dato l’unica che non mi aspettavo. Una domanda.
«Che cosa ti è mancato di più, in questi anni?»
Non avevamo mai ammesso la nostra crisi a voce alta, l’avevamo sempre taciuta per paura che potesse essere vera.
Con quella domanda, invece, diventava ufficiale.
Mio marito non mi stava chiedendo se mi fosse mancato qualcosa, lo sapeva.
Sembravamo due lottatori sfiniti da una battaglia troppo lunga; una battaglia senza esclusione di colpi, una battaglia in cui entrambi avevamo silenziosamente cercato di avere ragione sull’altro.
In quel momento, invece, sembrava improvvisamente poco importante chi aveva ragione.
Ho risposto alla sua domanda con i pugni chiusi stretti sulle lenzuola: «Mi è mancato sentirmi amata di nascosto, ricevere un caffè a letto solo per vedermi sorridere, ridere a crepapelle sotto le lenzuola e iniziare a far...