Per il compleanno ho ricevuto lo smartphone sbagliato.
Giusto per chiarire che i miei non mi ascoltano mai, avevo detto: «Quello con la mela morsicata».
Sarebbe stato inutile specificare la marca, dato che mio padre d’inglese non ci capisce un’acca. Così, quando ho scartato il pacco con gli occhi di amici e parenti puntati addosso, devo aver fatto il mio muso da cane rabbioso.
«Non è questo, pa’» ho detto. «Non ci si avvicina nemmeno.»
Mamma se ne è uscita che invece i telefoni si assomigliano tutti.
«Anche i gemelli, ma non sono la stessa persona.»
Pure mia sorella Beatrice, che di anni ne ha otto, conosce la differenza tra una mela morsicata e un robottino verde. Così ho scatenato l’ennesimo dramma: sono un ingrato, mi hanno regalato lo smartphone che chiedevo da mesi e, anziché accontentarmi, faccio storie e mi impunto… Insomma, fine della discussione.
In ogni caso è un telefono, il mio primo telefono. I miei compagni ce l’hanno da un secolo, mancavo solo io ma mia madre è stata categorica: «Prima dei tredici te lo scordi! Gli altri facciano quello che vogliono…».
E comunque non mi posso lamentare: tripla fotocamera, connessione veloce e schermo ultrasottile da sei pollici e mezzo. Il genere di cose che fanno colpo all’uscita da scuola, cioè proprio adesso, che con i miei compagni aspetto nell’atrio che suoni la campanella, pronto a scattare incontro al sole malato di inizio ottobre.
Fingo di sgranchirmi il braccio e faccio roteare il telefono neanche fossi un karateka. Scommetto che ora l’hanno visto tutti, pure la prof Franceschini di matematica, con i suoi fondi di bicchiere e il naso affondato nel fazzoletto.
«Wow, posso vederlo?» chiede un tipo con i jeans stretti.
«È quello della pubblicità?» fa un altro da dietro il ciuffo.
Poi una stangona di terza mi chiede: «Ce l’hai WhatsApp?».
La mia testa scatta su e giù. Ovvio che ce l’ho. È la prima cosa che ho scaricato appena mi sono connesso alla rete.
Memorizzo subito un paio di numeri, compreso il suo.
Okay non diventerò popolare tutto d’un colpo, non lo sono mai stato e forse mai lo sarò, ma almeno per messaggio non faccio figuracce, tipo che mi fanno una domanda e io non so che cosa rispondere.
La campanella stride nell’aria. A testa alta, scendo gli scalini e raggiungo il cortile.
«Ciao Fra’, ci vediamo stasera in piscina!» mi dice Doris, il mio amico dell’altra sezione.
Ricambio il saluto, ed è allora che vedo Mariana. Capelli biondo platino e occhi grandi da cerbiatta, mi fa cenno da lontano inclinando la testa in un modo curioso. Se poi sbatte le ciglia, il resto del mondo sparisce, almeno per me. Mi piace da un po’, in segreto, per ora. Devo solo trovare il coraggio di…
«Vorresti il suo numero, Ciccio?»
Mi giro di scatto. Alle mie spalle c’è Giampy “sono il più figo” De Luca. Ovviamente ha una smorfia sprezzante sulla faccia. Mi guarda come si guardano i foruncoli, tipo quelli che ha disseminati per la faccia: sul naso, sulle guance, sulla fronte. Ma guai a farglielo notare.
«Certo che lo vuole» risponde lo spilungone accanto a lui. «Non vedi la bava alla bocca? Sembra un cane con la lingua di fuori.»
Chiudo gli occhi per un istante. Certe volte mi fanno proprio perdere le staffe. Solo che quando li riapro sono ancora lì. Giampy e Secco, i ragazzi dell’ultima fila. Rompipalle professionisti che non perdono occasione per sfidarmi. Per loro ogni cosa è una prova di coraggio: dal fregare le mentine dalla borsa della prof d’inglese al segnare più goal durante le partite di calcetto. Per i numeri delle ragazze, poi, hanno una vera fissazione. E io? Non posso certo tirarmi indietro.
«Ciccio, mi senti?» Giampy schiocca le dita davanti alla faccia, a fatica annuisco tenendo a freno la lingua. «Lo vuoi o no?»
«Be’, se lo vuoi devi guadagnartelo» aggiunge Secco con un sorriso da so-tutto-io che mi fa salire i nervi fin sopra i capelli.
«Sentiamo: cosa volete che faccia?»
Giampy sorride. «Lo sapevo.»
Cala una delle sue mani pesanti sulle mie spalle e poi mi stritola contro il petto.
«Dietro quest’aria da cocco dei professori, calmo e ubbidiente… be’, sei uno di noi. Basta toccare i tasti giusti.»
«Allora?» taglio corto.
«Allora» continua lui con voce divertita. «Ci dimostri che sei uno con le palle e Mariana te la meriti, oppure ti attacchi. Ci stai?»
Scrollo le spalle, liberandomi dalla sua presa.
«E bravo, Ciccio!»
«Ora me lo dite cosa devo fare?»
Giampy si fa dannatamente serio. «Devi scrivere a una tipa che sembra uscita da un film dell’orrore. Sul serio. Ci devi parlare anche se ti manda delle maledizioni o ti minaccia di morte, chiaro?»
«Una sfida da paura. Ottima idea!» esclama Secco.
«Perché mai dovrebbe farlo?» chiedo.
«Perché è Momo, l’incubo di WhatsApp!»
«Momo?» ripeto titubante.
«Possibile che non la conosci?» si stupisce Secco.
Lui e Giampy mi fissano come sfidandomi a rispondere. Lo faccio. Non con la bocca, ma sostenendo gli sguardi, quanto basta per dimostrare che non ho paura.
«Meglio così» dice Giampy. «Vuol dire che sarà una sorpresa. Devi solo contattarla, è semplice. Ti passo il numero, le scrivi, flirti un po’ con lei e cerchi di piacerle. Insomma ti metti alla prova.»
«Con un vero mostro…» aggiunge Secco.
La cosa comincia a spaventarmi un po’…
«Perché lo fate?»
«Fare cosa?» chiede Giampy.
«Lo sai.»
«Ti vogliamo aiutare» mi sorride portandosi una mano al petto. «Non troverai mai il coraggio di chiedere a Mariana il numero, si vede da un chilometro.»
«Okay» taglio corto.
«Comunque, Ciccio» aggiunge a voce bassa, «quello che ci interessa sul serio è che tu stia bene. Se hai paura basta che lo dici.»
I due amichetti ridono dandosi di gomito.
«Che c’è da aver paura?»
Giampy stringe forte il pugno. «Allora ci stai, è fatta.»
Annuisco e basta.
«Vedrai, dopo averle scritto la tua vita non sarà più la stessa.»
Mentre ride mi strappa il telefono di mano e ci memorizza il numero di questa Momo.
Fa per andarsene ma dopo due passi si volta di nuovo verso di me.
«Poi ti darò l’altro… se sopravvivi.»