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eBook - ePub
Il creatore
Informazioni su questo libro
Una scrittura potente che sembra scorrere indolore e invece sconvolge il lettore. Un artista fuori dal comune crea bambole a grandezza naturale di una bellezza struggente quanto artificiale. L'incontro con una donna che soffre lo costringerà ad abbondonare la sua vita da eremita per addentrasi nella Reykjavík più plumbea ed autentica.Un'esperienza introvabile altrove, nella penna della giovane promessa della letteratura islandese nel mondo.
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Informazioni
Argomento
LetteraturaCategoria
Letteratura epistolareIX Da domenica a lunedì
La domenica fu vuota e stonata come un coro di poche anime raccolte in una chiesa di campagna, e Sveinn la trascorse seduto davanti al computer nell’angolo nord-ovest del laboratorio. La sera precedente era stato mandato a casa con l’unico taxi della città, il braccio fasciato, il ginocchio stretto in un tubo elastico e degli analgesici nella tasca della giacca da gentiluomo inglese. Sul bugiardino, tra gli effetti collaterali, figuravano difficoltà di digestione, sonnolenza, spossatezza, ansia, cefalea, cambiamenti repentini di umore e secchezza delle fauci. Lárus era andato a prendergli le medicine in farmacia, ed era stato anche a casa sua a prendergli la giacca e le scarpe.
Aveva ancora addosso il pigiama a righe, non aveva i calzini ed era a torso nudo, benché provasse quasi un mezzo brivido. Il telefono e l’analgesico a portata di mano, così non era costretto ad alzarsi senza motivo. Aveva già preso ben più della dose giornaliera, nonostante fossero appena passate le due del pomeriggio ma se la sentiva tutta addosso – ingobbito dal sonno e con la testa piena di bioccoli di lana sporchi.
Il pensiero di non poter fare la doccia per un’intera settimana gli dava un senso di claustrofobia. Quando si era alzato si era lavato con un asciugamano umido, come fanno i vecchi, ma non gli bastava; aveva bisogno di acqua bollente in quantità, che gli si rovesciasse addosso e che precipitasse con uno scroscio purificatore sul pavimento del bagno.
Il display del telefono si illuminò e il morbido squillo che imitava quello dei telefoni di un tempo suonò più penetrante del solito alle sue orecchie. Uno stridio nauseante si insinuò sotto lo squillo e vi danzò sopra a lungo, correndo con un paio di scarpe chiodate sulla superficie vitrea della percezione.
Era Kjartan.
Sì, rispose Sveinn.
Eh eh eh eh, ciao vecchio mio, disse Kjartan.
Ciao.
Sei riuscito ad atterrarti con la presa del tallone e metterti al tappeto da solo? A romperti qualche osso?
Pare di sì, sospirò Sveinn. Ma un osso solo.
Non sapevo che ti piacesse tanto la lotta libera, disse Kjartan. A me personalmente piace più la lotta delle società giovanili islandesi. C’è da dire che è uno sport davvero maschio. Quello che praticate tu e i tuoi simili mi pare davvero roba da pervertiti. Mi vengono i brividi freddi lungo la schiena. Eh eh eh eh, ma io sono solo un sempliciotto di campagna, non ho studiato all’estero come te.
È un bene che ti diverta con le mie disgrazie, disse Sveinn. Almeno non mi sono capitate per niente.
Appunto, proprio così, disse Kjartan. Come stai, per il resto, vecchio mio? Stai morendo di fame? Devo portarti qualcosa?
No, grazie, non mi manca niente.
Sei sicuro?
Sì.
Bene, bene. Non voglio disturbarti. Mi pare di capire che devi solo riposare, farti la piega, come si dice, eh eh eh. Ma chiamami se hai bisogno di qualcosa.
Ok, ok.
Bene, amico mio, bene. Allora per il momento ti saluto, disse Kjartan e riagganciò prima che Sveinn riuscisse a dirgli ciao e grazie.
Un dolore freddo e sordo si fece sentire nella spalla e Sveinn istintivamente si allungò a prendere la boccetta delle pastiglie. Un’altra soltanto, pensò. E poi basta fino all’ora di cena.
Aprì il programma di posta elettronica e cominciò a scorrere pagine e pagine di posta non letta. Alcune ordinazioni più o meno stravaganti gli scorsero davanti agli occhi senza che vi prestasse particolare attenzione. Più tardi, pensò, risponderò appena mi sentirò un po’ meglio.
Le altre ordinazioni non ancora evase erano impilate in un mucchio vicino alla stampante e per la prima volta da quando aveva aperto la sua attività si chiese se non fosse il caso di assumere un assistente o una segretaria.
Il quinto messaggio di posta elettronica che aprì non era né un’ordinazione né una richiesta. Il mittente era [email protected].
Quante vite pensi di aver distrutto, a grandi linee? Scriveva Athena. Il mondo è un mucchio di merda e il presente una caricatura, figuriamoci per gli uomini come te, che si impegnano a fondo per sciupare tutto quello che c’è di bello e di buono nella vita.
Gli uomini come te? Che cosa c’era di tanto familiare, in questa frase? Sì, non era stato Kjartan a dirgli qualcosa di simile poco prima, quando gli aveva attribuito la passione per la lotta libera? Questa volta gli imputavano di essere la personificazione del male. Un bell’onore, per quanto dubbio. Sarebbe stato davvero potente, allora, se la signora Athena/Lóa Hansdóttir avesse avuto ragione. Sveinn il malvagio. Uah ah ah. E cosa voleva dire, la tipa, dicendo che sciupava tutto quello che c’era di bello e di buono? Secondo lei le donne erano il comune denominatore per il bello e il buono della vita? E lui allora le stava sciupando? Lui non sciupava le donne, il suo lavoro era farne delle belle riproduzioni. Ritratti. Nient’altro. Perché era del tutto normale dipingere il ritratto di una donna, e farne una copia invece no?
Un’altra domanda, e molto più impellente, era forse questa: perché doveva ragionare idealmente con degli squilibrati, quando bastava dedicare del tempo e delle energie a qualcos’altro? Per esempio, leggere le ordinazioni che gli erano arrivate durante il fine settimana. Oppure pensare alla questione della segretaria. Magari la sua amica Lóa sarebbe stata la persona adatta per l’incarico? Se non era troppo impegnata a scrivere schifosi messaggi di posta elettronica e annunci mortuari di persone vive.
In fondo alla pagina c’era un altro messaggio dello stesso mittente: Forse vivi nella certezza che tutti siano degenerati come te, ma non è così. Alcuni di noi non vogliono affatto avere a che fare con gli interessi malati di uomini della tua specie (eccolo di nuovo – gli uomini come te, tu e quelli come te), vogliono vivere una vita normale con la propria famiglia. (Pensa un po’!) Tu forse credi di essere un artista di gran livello, e perciò al di là del bene e del male, ma non sei altro che un reietto e un delinquente.
Un delinquente? Per la prima volta gli montò il nervoso. Se l’avesse avuta davanti le avrebbe urlato di dimostrare quello che diceva, o altrimenti chiudere la bocca per sempre, amen. Era ovvio che quella tipa era materiale da manicomio, e che doveva essere aiutata. Si ripromise di non leggere più altri messaggi inviati da lei, ma infranse subito la promessa. Se gli avesse proposto di andare a trovarlo, insieme ai suoi amici estorsori, era meglio che lo sapesse, almeno poteva prendere le dovute precauzioni, qualsiasi esse fossero. Prendersi un cane di grossa taglia? Chiamare quel cazzo di polizia?
Si appoggiò sulla sedia, chiuse gli occhi, sentì il respiro farsi più profondo e la percezione raccogliersi in un punto della fronte.
La mora era seduta davanti a lui e appoggiava le mani sulla sedia, proprio davanti all’inguine.
Non lo so, disse senza muovere le labbra. Non lo so. Non importa. A me non interessa.
Non era come la ricordava. Il volto doveva essere arrotondato, l’espressione della bocca meravigliata e gli occhi dovevano comunicare un’espressione di tenerezza. Ma lei se ne stava lì seduta e lo guardava come se gli volesse male. Non era così che doveva essere, e non c’era altro modo di aggiustare le cose se non facendo un altro calco della testa.
Non lo so, disse senza che sul suo volto si distinguesse il minimo movimento.
Che cosa non sai? disse lui.
Non lo so, fece lei.
Non lo stavo chiedendo a te, disse lui.
Non importa, fece lei.
Ebbe paura, senza saperne perché, e poi provò un tale senso di disprezzo e di schifo che non riuscì quasi a respirare e si svegliò con la testa che ciondolava in avanti sul petto e indietro verso lo schienale della sedia, russando forte e con una coltellata in mezzo alla spalla.
Gesù Cristo, fece massaggiandosi il collo dolente.
Si spostò in camera da letto, ma ormai il sonno era svanito. Rimase disteso a lungo, completamente desto con gli occhi chiusi e il piumino tra le braccia. Il sole splendeva di sbieco dalla finestra, era quasi sparito dietro l’angolo; aveva molto male alla clavicola e sentiva una pulsazione spiacevole nel ginocchio. Poco lontano qualcuno avviò una falciatrice. I vicini avevano deciso di tagliare l’erba prima che crescesse – magari la consideravano una prevenzione. Interessante.
Il rumore della falciatrice gli comunicava un tremolio lungo la spina dorsale e gli solleticava piacevolmente le viscere. E quello cos’era? Un formicolio tra le gambe. Un’erezione inutilizzabile. Non aveva pensato ad altro che a quanto si faceva pena da solo, per essersi messo fuori gioco in quel modo ridicolo e ritrovarsi anche con tutto quel dolore. Per una lampadina che nemmeno gli serviva.
Sospirò e si massaggiò con il piumino. Servì solo ad accrescere il suo desiderio. Non voleva farsi una sega. Era troppo doloroso. Starsene lì disteso, imbottito di analgesici, dopo avere istigato tutto quello che c’era di bello e di buono nel mondo a rivoltarsi contro di lui, incapace di lavorare, e nessuno che lamentasse la sua perdita, se non forse sua madre, se avesse tirato le cuoia all’improvviso. E masturbarsi in quella solitudine tormentata? No.
Si trascinò in piedi a fatica, e poi di nuovo in laboratorio con il piumino sotto braccio. Lo distese per terra, andò a prendere lo sgabello nella rimessa, vi salì e staccò dal gancio una delle quattro che aveva appeso ad asciugare il venerdì precedente. L’asticella che teneva separate le gambe cadde per terra e rotolò fino alla parete.
La distese sulla schiena sul piumino, si abbassò le mutande fino alle cosce e chiuse gli occhi mentre si preparava a infilarsi dentro di lei. Ma riuscì a penetrarla solo per metà – era troppo appiccicosa, gli faceva quasi male. Riuscì a divincolarsene con le mutande sui talloni e si concentrò per cercare di non guardarsi dall’esterno, cercò di fingersi inconsapevole del fatto che quello era uno degli eventi che costituivano il corso della sua vita. La sua biografia.
Rovistò nel baule della mora finché non trovò lo scrigno con il lubrificante, se lo spalmò addosso, le palline di polistirolo si attaccarono al tessuto di coto...
Indice dei contenuti
- Prima parte
- I Venerdì e venerdì sera
- II Sabato mattina
- III Sabato
- IV Sabato e sabato sera
- V Sabato
- VI Da sabato sera a domenica mattina
- VII Sabato
- VIII Domenica
- Seconda parte
- IX Da domenica a lunedì
- X Lunedì
- XI Lunedì sera
- XII Da lunedì a martedì sera
- XIII Martedì
- XIV Mercoledì
- XV Mercoledì e mercoledì sera
- XVI Mercoledì sera
- Terza parte
- XVII Mercoledì sera
- XVIII Giovedì
- XIX Giovedì
- XX Giovedì
- XXI Giovedì
- XXII Giovedì e venerdì
- XXIII Venerdì
- Note