Gennaio, 1945 Attacchi frontali
Mario deve incontrare alcuni compagni a Treville, un piccolo paese nei dintorni di Casale. Sono giovani che stanno per unirsi alle formazioni partigiane della zona.
Il viaggio da Asti sembra interminabile. Ha dovuto prendere un sacco di precauzioni. Anche stavolta è costretto a cambiare il suo itinerario. Da Asti è andato a Casale dove Giuseppe aspetta con il compito di accompagnarlo per un certo tratto.
Ha impresso nella memoria il luogo dell’appuntamento e le indicazioni per arrivarci, in tal modo deve evitare di chiedere informazioni e creare sospetti.
È una casa fuori paese, c’è una strada sterrata, poco frequentata. Giuseppe, prima di congedarsi, ha descritto minuziosamente ogni cosa. Non può sbagliare. La incrocia dopo dieci minuti circa di buon passo dalla piazza principale dove la corriera fa capolinea.
Si avvicina lentamente alla porta e sta per bussare quando sente l’abbaiare di un cane alle sue spalle. Il cane si ferma a pochi metri da lui e lo osserva, ringhiando. Mario resta immobile, mentre il cane lo annusa circospetto, girandogli intorno. È una voce all’interno della casa che pone fine a questa stressante attesa.
“Bon! Cuccia!”
Il cane improvvisamente sembra dimenticarsi di lui e si muove in direzione di una finestra sul lato sinistro della casa da dove proviene la voce.
Come da istruzioni ricevute bussa tre volte, due adagio e la terza, l’ultima, un po’ più forte. Ad aprire la porta è il compagno Placido che Mario conosce benissimo, dai tempi degli incontri clandestini di Via Ettore Muti.
“I compagni dovevano essere qui da due ore, ma non si è visto nessuno”.
Placido è il collegamento tra Mario e le nuove leve del fronte antifascista.
“A mio parere non si presenterà più nessuno. Sono qui perché come tutti volevo sentire quello che avevi da dirci, scusa se te lo dico così, brutalmente, ma girano strane voci sul tuo conto e alcuni compagni non si fidano”.
Mario scrolla la testa sconsolato.
“Proviamo ad aspettare ancora un po’, può darsi che qualcuno si faccia vedere”.
“Aspettiamo ancora un po’ compagno, ma non troppo. È pericoloso. Solitamente i compagni sono puntuali. È certo che non vogliono incontrarti”.
“Vi hanno lavato la testa per bene, perché i ragazzi non mi vogliono ascoltare?”
“Vuoi che ti dica cosa penso? È già tanto che non vengano a farti la pelle. Io sono un comunista convinto e fiero di esserlo. Ma la storia di finti compagni al servizio della Gestapo non è una storia buttata lì tanto per dire. Io conosco il tuo passato di uomo onesto e irreprensibile. Non come quelli che hanno servito dall’altra parte fino a ieri e adesso si fanno chiamare compagni”.
“So dove vuoi andare a parare. Ti riferisci al compagno Omero?”
“Certo, proprio lui. Mentre sfilava a passo romano io stavo in galera come te, Paolo. Solo che io sono un semplice operaio, ma mi vanto di essere più intelligente di lui perché ho capito subito cosa era il fascismo, una maschera di delinquenti senza arte né parte”.
“Trovo che sia autorevole e onesto riconoscere i propri errori, tornare sui propri passi, non è giusto quanto dici”.
“Avrebbero dovuto fucilarlo nel ’37 quando combatteva con i franchisti in Spagna. Ma tu sai che il Partito Comunista può essere generoso e riconoscente con i giovani che hanno sbagliato perché si sono fatti prendere dall’entusiasmo. Per questo, Paolo, dovresti rientrare e fare all’interno questa battaglia, saresti più credibile dentro e molti giovani militanti si schiererebbero dalla tua parte”.
“Sei un bravo compagno, preparato e intelligente. Sono certo che saprai dare un contributo alla lotta. Ti ringrazio anche a nome di tanti compagni perché hai rischiato la tua vita per essere qui. Ma io non posso più far parte di un partito che ha smarrito la sua identità riconoscibile nella lotta di classe. Senza contare che ho subito un’espulsione e per i servi di Mosca io non sono più in linea. Chi non è in linea sarà eliminato, con i sistemi del Signor Baffone”.
Placido sbotta in uno scatto d’ira. “Stai infangando un partito di militanti che sta rischiando la vita per liberare il paese, mentre voi intellettuali state in disparte e riempite l’aria con le vostre parole. Mosca è lontana. Togliatti adesso è qui e sta incitando la lotta”.
“Già, Togliatti! Lui non è in montagna per liberare il paese. Mosca comunque è più vicina di quello che possiate pensare. Sono convinti che con la morte di Trotzkij abbiano chiuso la bocca al dissenso, ma non hanno fatto altro che alzare il volume della voce. L’unico sistema che conoscono è l’eliminazione diretta”.
“Tutte balle, non sai quello che dici e io ho perso un sacco di tempo per starti a sentire”.
“Siete ciechi e sordi. Ve ne accorgerete. Io non so se potrò vedere l’esito di questi eventi perché prevedo un piccone che mi aspetta…”
Placido lo guarda dritto negli occhi. Mario ha avuto un impeto rabbioso che non è nel suo carattere.
“A questo punto, Compagno Paolo, non abbiamo più niente da dirci. Ti conviene andare via al più presto. Questo posto non è così tanto sicuro”.
Detto questo Mario si richiude la porta alle spalle e si allontana. Rimane solo. Si guarda intorno. Il silenzio non è mai stato così pesante.
Quando esce, dopo aver camminato a lungo, riprende la strada sterrata che porta in paese, fermandosi ogni tanto a riflettere. Giunge sulla piazza, quella del capolinea, per aspettare la corriera che lo porta ad Asti. Visto che la giornata non ha prodotto nulla di positivo pensa di fare una sorpresa a Tina prima di tornare a Casale in serata.
Fa molto freddo, il bianco della neve sfavilla dentro questo mattino in cui il sole fa capolino dietro le colline. La corriera ha pochissimi passeggeri. Due uomini lo stanno osservando mentre si appresta a prendere posto. Lui si mostra indifferente, si siede dal lato del finestrino e finge di dormire.
Anche questo tentativo di parlare ai giovani compagni è andato a vuoto. Le pesanti accuse che gli internazionalisti hanno rivolto all’indirizzo dei centristi sono alla resa dei conti.
La risposta dei dirigenti comunisti è spietata, d’altra parte si rendono conto del pericolo rappresentato dai movimenti dissidenti di sinistra e impiegano tutti i mezzi a loro disposizione per contrastarli.
Onorato si è già messo in disparte da solo, Vaccarella ha continuato ad alzare la voce ed è stato eliminato, e poi c’è lui, che non vuole saperne di arrendersi, il Compagno Paolo.
Sa benissimo che Arturo Colombi, dirigente comunista del Piemonte, conosce il lavoro fatto da lui e da Vaccarella e suggerisce di fare il vuoto intorno. “Difficile staccare i compagni da elementi come Vaccarella e Acquaviva, perché hanno un forte seguito più o meno organizzato”, queste erano state le sue parole, parole come pietre. Ecco allora l’utilizzo della campagna diffamatoria feroce che non lascia margine di reazione anche pacifica per poter dimostrare la propria buona fede.
La diffamazione messa in atto dal centrismo è denigratoria e accusatoria. In un giornale locale, in un editoriale intitolato “Diffide”, Mario ricorda perfettamente le parole pesanti che screditavano un compagno come Temistocle: “Vaccarella, già in precedenza diffidato per i rapporti avuti in passato con la infame polizia fascista, oggi si smaschera come agente al servizio della Gestapo. Nel suo giornale ‘Stella Rossa’ insulta e infanga il partito della classe operaia impegnato nella dura e coraggiosa lotta contro il fascismo”.
La trova una manovra bieca e cinica messa in campo da Secchia e Togliatti. Anche se loro stanno ben attenti a muovere certe accuse, non risparmiano furibondi attacchi al fronte deviazionista. Togliatti, infatti, non ha mai fatto dichiarazioni pesanti sul sinistrismo e sul deviazionismo. Il suo intento è quello di consolidare una difesa del Partito Comunista dall’accusa di aver tradito il programma e di spiegare ai lavoratori che l’obiettivo principale è la sconfitta del nazismo.
Sono le quattro del pomeriggio. Asti è deserta. Pesa ancora il silenzio della solitudine. Nel giro di venti minuti circa Mario varca la porta di casa. Tina non c’è, d’altronde non era al corrente del suo arrivo.
Riprende per un istante possesso della sua abitazione, gira osservando attentamente ogni cosa. L’intimità riconquistata. Si versa un bicchiere di vino rosso e si accende una sigaretta.
Aspetta. È trascorsa circa un’ora da quando è entrato in casa e Tina non è ancora tornata.
In questi ultimi mesi Mario è stato assorbito con scarso successo dalla propaganda interna. È sempre più difficile per lui declamare nelle fabbriche e nelle officine le conquiste del mondo operaio a quei volti che gli stanno davanti per ascoltare parole che a volte forse non lasciano il segno. La maggior parte dei compagni spesso si rifugia in una passività inerte, forse per le barriere che la politica centrista ha messo in atto, forse per la situazione poco favorevole.
Tina fa il suo ingresso in casa che sono quasi le sette. Quando si trova davanti Mario si lascia andare in un abbraccio commovente, come se non lo vedesse da diversi anni. C’è qualche secondo di silenzio tra loro che sembra interminabile. È Mario a rompere ogni indugio stringendola ancora e guardandola dritto negli occhi.
“Cosa c’è, Tina? È successo qualcosa?”
“Mi hai fatto preoccupare, tu, con i tuoi spostamenti nella campagna. Guardati, come ti stai trascurando, hai bisogno di dedicarti un po’ di tempo, riposarti un poco”.
Non fa fatica a crederle. Immagina di guardarsi a uno specchio e vedersi ridotto a uno straccio, magro, la barba incolta, le occhiaie profonde. Anche Tina però gli sembra trascurata, ma non lo dice. Invece le chiede: “Dove sei stata tutto questo tempo?”
“Sono stata a Casale a cercarti, dopo quello che è successo. Sono andata alla Tazzetti e non ti avevano visto, alla pensione Paradiso mi hanno detto che...