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L'amore ai tempi della pietra
Informazioni su questo libro
2008, deserto giordano. Edith partecipa a uno scavo archeologico in un villaggio dell'età della pietra.Dà un nome a quel luogo, che piano piano riemerge alla luce del sole: la casa di un'altra Edith, sua sorella di nome, vissuta in un altro tempo della storia dell'uomo.Sotto l'effetto del veleno di uno scorpione, nella sua mente levite delle due donne si fondono, in un racconto che è insieme poesia ed erotismo, storia presente e passata
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Informazioni
Argomento
LetteraturaCategoria
Letteratura epistolareCapitolo 1.(Dove Edith ha circa 26 anni) Introduzione
Edith è seduta sulla roccia scaldata dal sole fra due stranieri quasi nudi e si gode il calore che si attenua. Il cielo si arrossa, come se fosse percorso da una gazzella sanguinante che scivola sul fango del crepuscolo. Edith ha nel palmo della mano alcuni granelli e li guarda.
“Sono solo semi”, dice.
“Non sono come quelli che conosci”, dice uno degli stranieri. È un uomo alto e dinoccolato, quando cammina sembra spinto avanti dal vento. Ha due code di leopardo annodate alla vita e una collana di denti di squalo. Fra i capelli ricci sono infilate delle lunghe piume d’aquila, ha braccia e gambe coperti di tatuaggi geometrici. Si è presentato come Aquila, il suo compagno come Verde, e così è chiaro che tipo di gente sono, per chi non lo ha già indovinato dalle numerose borse di pelle che portano alla cintura e sulle spalle. Gente che va in giro senza famiglia né clan, gente che pratica il baratto per tirare avanti e conosce il valore delle cose. Gente al cui arrivo gli abitanti del villaggio sono contenti, ma sono anche contenti quando se ne vanno e li salutano con la mano mentre accarezzano i nuovi gioielli o le armi. Uomini che conoscono sempre le novità, pieni di storie sulle vicende nel vasto mondo.
“Piantarli”, ripete Edith. “Che cosa hanno di speciale?”
“Danno un raccolto maggiore”, spiega Verde. È più piccolo di Aquila e porta delle lunghe collane di turchesi che gli pendono dal collo. Ha due topi bianchi nei capelli e sui lombi un pezzo di lino verde intessuto.
“La spiga non si apre durante la mietitura. Questo rende più facile mietere e più facile battere. E ha un sapore migliore”.
Edith fa scivolare di nuovo i semi nel sacchetto di pelle di Verde, uno dopo l’altro.
“Come posso essere sicura che ciò che dite è vero?” chiede abbassando lo sguardo sul villaggio rotondo coricato su una piana sotto la rupe dove sono seduti.
(Pre Pottery Neolithic a/b, abbreviato in ppn a/b. Si trovano stoviglie, contenitori e figure di argilla cotte nel fuoco, ma poca ceramica. Il periodo è caratterizzato dal cosiddetto addomesticamento, ovvero il processo con cui vengono rese domestiche specie vegetali e animali e costruite abitazioni.)
Edith vede i bambini del villaggio, sette in tutto, che saltellano lungo il corso d’acqua, in fila come rane, finché uno cade. Le donne sul piazzale davanti alle abitazioni tengono d’occhio la carne di gazzella sul fuoco mentre, accovacciate, fanno dei fori nelle piccole pietre verdi che scambieranno con Verde e Aquila. Gli uomini sono seduti in circolo e parlano in modo concitato, apparentemente di un uomo anziano sdraiato su una stuoia fuori dal circolo. Edith ha partorito due figli e così il peggio è passato. Molte donne muoiono su quello che è impossibile definire un letto per il parto: è una tavola tagliata in modo grezzo con un buco in basso per far scorrere via sangue e liquido amniotico nel tentativo di soddisfare l’avidità di carne umana della terra. In fondo alla tavola c’è intagliata l’immagine del volto di Alazar, lo spirito che divora le anime delle partorienti. Su quella tavola la statistica è difficile da calcolare. Quante partorienti siano sopravvissute, quante si siano lacerate le corde vocali, quante siano morte. Lo stesso vale per i bambini: quanti sopravvissuti, quanti morti prima, durante, dopo il parto, a quanti è mancato l’ossigeno costringendoli ad attraversare l’esistenza a un ritmo lento, come in un acquario. La statistica deve essere calcolata partendo dalle ossa dei sopravvissuti, e sembra che dopo aver partorito un paio di figli ed esserne uscite vive, gli ultimi siano più facili. Del resto le donne del neolitico non hanno molti figli. Perché questo è quello che chiamiamo un popolo primitivo: controllano il loro rapporto con la natura e sanno che c’è una relazione fra il seme maschile e il ciclo femminile, anche se a questa relazione danno delle sembianze precise e un nome, Ilis. In generale sono piuttosto interessati al ciclo, ed è proprio quell’interesse a spingere Edith a studiare i semi portati dai due mercanti. Perché tre settimane prima si trovava insieme a Aloë e Ornella sul pendio sotto le case bianche, dove cresce il grano selvatico, e riempivano ceste di spighette scintillanti che pungevano le dita.
L’ora era quella che noi chiamiamo le dieci del mattino, ma che per le donne era piuttosto: “siamo in piedi da molto tempo e abbiamo sentito gli ultimi residui della fresca oscurità della notte scivolare sulla nostra pelle, abbiamo visto la luce muoversi come una tempesta di sabbia nel cielo e abbiamo visto le rupi, le case e il corso d’acqua trovare di nuovo la loro forma dopo l’oscurità, e ora il sole scivola sul deserto mentre il caldo scivola dentro di noi e le lucertole, le salamandre azzurre, gli scorpioni e gli uccelli si mostrano e bisogna fare la pipì dietro una grossa pietra o un pistacchio per non essere viste e quando si cammina scricchiolano le squame di cipolle del deserto, e il sole fa spuntare il caldo e dobbiamo cercare di terminare prima che il caldo ci consumi, e abbiamo anche fame”. Sono le dieci. Ornella è la più anziana, Aloë e Edith sono cugine e coetanee. Intorno alle tre donne c’erano mucchi di spighe sparse sulla dura terra giallastra fra le stoppie. I gambi del grano li hanno tagliati con dei legni a forma di mezzaluna in cui sono stati fissati sei pezzi di selce a forma di rombo, e così somiglia a una falce come la conosciamo noi. Verdoni e ciuffoli scarlatti del Sinai saltellavano fra loro e becchettavano a terra. Il grano quest’anno era maturato al punto che le spighette si staccavano dalla rachide non appena una mano o un soffio di vento forte le sfiorava.
Era colpa di Ornella. Aveva detto: aspettiamo, aspettiamo, se aspettiamo diventerà più grande e più grasso, ma Edith pensava che fosse pigrizia. Ornella rinvia tutto a domani, anche la morte, sembra: nel clan non c’è più nessuno in grado di ricordarla bambina, e lei sfrutta la sua condizione di anziana del villaggio, donna di Stane e madre di Steen, per insistere nella sua pigrizia.
Pensa Edith. Ma potevano essere d’accordo sul fatto che le spighe messe nelle ceste erano in numero minore, ma almeno erano grandi. Edith notò dieci o dodici steli raccolti in mezzo al campo selvatico, poteva scuoterli senza che le spighette cadessero.
È una bella cosa, pensò. E se fossero tutte così? Quel giorno non era andata oltre col pensiero, ma evidentemente altri lo avevano fatto.
“Come posso essere sicura che cresceranno come dici?” chiede a Aquila. “Quando saranno cresciuti, voi sarete lontani”.
“Come si può essere sicuri di qualcosa?” risponde Verde. “Non posso prometterti che verrà la pioggia, che non grandinerà, che il sole non ci investirà con tanta forza da non lasciare altro che spighe secche. Non sono un indovino. Ma posso promettere che i chicchi saranno attaccati alla rachide come i neonati alla madre, e che saranno tondi e pieni se pioverà, se ci saranno giorni di nubi o foschia e tu ti occuperai di loro come ti occupi dei tuoi figli”.
Fa un cenno col capo verso due dei bambini che hanno rinunciato alla processione delle rane per saltare alla cavallina.
“Puoi anche dare alla terra l’acqua del ruscello, se non piove”.
Edith annuisce senza pensare ai problemi di irrigazione che milioni di contadini avranno dopo di lei.
“Non siamo stupidi”, dice in tono asciutto. “Questo lo facciamo già”. Non è vero, non ci aveva mai pensato.
Verde le tocca il ginocchio.
“So quanto siete avanti con le cose. È per questo che siamo venuti qui invece di andare lungo la costa e saziarci di pesce e molluschi”.
“Cosa volete allora per i vostri semi?” dice lei.
Ora le cose si fanno più complicate.
Verde e Aquila potrebbero chiedere collane di perle verdi, da barattare sulla costa per un buon prezzo. Potrebbero chiedere corna di gazzella o carne, oppure ossa affilate dei grandi uri o aghi d’osso e abiti di pelle. Potrebbero chiedere asce di selce o punte, che sono apprezzate più all’interno del deserto, dove la qualità della selce è peggiore. Potrebbero chiedere i raffinati gioielli di madreperla di Stane o i bracciali di pietra di Ishi. Avrebbero potuto anche chiedere del tempo con una delle donne o un bambino come assistente e compagnia, magari un bambino che aveva difficoltà con la stretta convivenza del villaggio. Dio li fa e poi li accoppia. Ma i due mercanti sono persone moderne, ciò che desiderano è partecipare alla più alta esperienza collettiva che la civiltà possa offrire, nella quale il singolo si sente come una goccia di sangue in un organismo più grande. Verde e Aquila non hanno un clan, quello in cui sono nati lo hanno abbandonato e nella stessa occasione hanno assunto i loro nomi da vagabondi. E senza un legame di appartenenza a un clan non possono partecipare al grande incontro del solstizio, a cinquecento chilometri a nordovest, che ogni dieci estati raccoglie il mondo e sospende il tempo, risucchia la gente nell’ombelico del tempo, in modo che sanno cosa c’è dall’altra parte, dentro il corpo del tempo. È questo che Verde e Aquila desiderano. Non è ciò che vogliamo tutti?
Edith ascolta il desiderio dei due uomini. Se li immagina camminare da soli fra i bassi pistacchi e i mandorli, vede i branchi di gazzelle, sente il rumore di passi sulla terra pietrosa, nel silenzio assordante che si alza sulle rupi e sul deserto. Anche lei cammina, ha due vite che cambiano con le stagioni. Nella parte più calda dell’anno è ogni giorno in un posto nuovo. In quella più fresca dorme ogni notte nella sua casa rotonda, rotonda come le case di giunchi erette in fretta, che costruiscono d’estate quando camminano. La forma delle case è innanzitutto pratica, ma diventa anche un rapporto fra corpo, pensiero e ambiente, e a poco a poco tutto il mondo sembra rotondo. La casa è solo una versione più piccola della casa del cielo.
Dice che parlerà con gli altri. Poi vedranno.
Quella notte Verde e Aquila dormono nella casa di Edith. Srotolano le loro stuoie intrecciate sul pavimento bianco appena spazzato, mentre Edith e i bambini dormono da Tas, l’uomo che lei chiama suo. Prima di dormire lei e Tas parlano a lungo del desiderio dei due uomini in cambio delle sementi che hanno appassionato i pensieri di Edith. Lei vuole quei chicchi, immagina già le spighe che si muovono al vento, grandi e grasse, senza che l’aria porti via i chicchi. Gli steli sono alti come la casa, nella sua mente, ogni spiga è grande come la sua testa, può allungare la mano e coglierla come una noce e mangiarla, grande e tonda. Sì, non il pane, perché quel concetto non esiste nella coscienza di Edith, e le pagnotte che mangerà quando sarà una donna anziana e onorata saranno piatte e sapranno di fumo, ma immagina la spiga come una gigantesca mandorla. Tas vede il suo entusiasmo e si chiede se alla richiesta dei due uomini sia possibile dare una risposta positiva.
Edith, Tas e i loro clan appartengono ai gruppi che hanno accesso ai centri rituali che diffondono energia e raccolgono tutto il mondo conosciuto. Il mondo conosciuto è un’area di circa 180.000 chilometri quadrati. Il più grande centro rituale, quello verso il quale tutti i clan fra pochi mesi si muoveranno, si trova nell’attuale Turchia, nel Kurdistan, in un luogo che ancora oggi significa se non l’ombelico del mondo, almeno l’ombelico della collina, ovvero Göbekli Tepe.
Capitolo 2. (Dove Edith ricorda la migrazione avvenuta quando aveva 11 anni.) Importanza di Göbekli Tepe per la formazione dell’identità sociale e delle metafore nel primo PPNA
Si può paragonare l’importanza di Göbekli Te...
Indice dei contenuti
- Capitolo 1. (Dove Edith ha circa 26 anni) Introduzione
- Capitolo 2. (Dove Edith ricorda la migrazione avvenuta quando aveva 11 anni.) Importanza di Göbekli Tepe per la formazione dell’identità sociale e delle metafore nel primo PPNA
- Capitolo 3. Domesticazione I
- Capitolo 4. Il rituale di Göbekli Tepe: un'analisi sociale
- Capitolo 5. La discussione archeologica
- Capitolo 6. Le coppelle: un panorama
- Capitolo 7. Regole del matrimonio inviolabile, Shkârat Msaied 9032 a.C.
- Capitolo 8. I tabu
- Capitolo 9. Le nozze
- Capitolo 10. L’Astronomia
- Capitolo 11. Il tempo
- Capitolo 12. Il visibile e l'invisibile, l'immagine del demone
- Capitolo 13. La Narrazione del grano umano
- Capitolo 14. Mutazioni cromosomiche del grano nel passaggio da grano selvatico a domestico
- Capitolo 15. Sviluppo tecnologico e utensili composti nel passaggio dal Natufiano al ppna
- Capitolo 16. La rivoluzione dei prodotti secondari
- Capitolo 17. La rivoluzione delle bambine
- Capitolo 18. La teoria di Steven Mithen sulla fluidità cognitiva
- Note