La porta del capanno estivo era chiusa con il lucchetto. Dalla veranda lei guardò la casa principale attraverso la pioggia sottile che bagnava il giardino. L’edificio sembrava inconsistente, uno schizzo abbozzato dietro le macchie pastello dei lillà e dell’amamelide, i boschetti bronzei dei meli cotogni in fiore. Quaggiù il sentiero di pietra era coperto dai rovi e dall’ortica. Sopra di lei frusciavano le foglie di un acero. Le campanule si accalcavano esauste intorno alla veranda. Un’ora prima avevano subito una grandinata.
Rosalita doveva avere la chiave. Ma forse avrebbe voluto sapere perché Yasmin la chiedeva. Nessuno andava nel capanno estivo. Era fatto di mattoni gialli, e le tegole di cedro cominciavano a scheggiarsi e imbarcarsi. Dalla finestra Yasmin vide due sedie reclinabili in legno, una panca imbottita, un cucinotto con le tende dal motivo a rami fioriti scostate. E un tavolo apparecchiato con teiere e tazze e piattini, come se un tea party fosse stato abbandonato all’improvviso durante un’emergenza passata. L’idea era stata di incontrarsi al parco. Il treno da Berwick-upon-Tweed arrivava a King’s Cross intorno a mezzogiorno, e da lì lui sarebbe venuto direttamente. Ieri le previsioni del tempo avevano promesso sole, con al massimo un paio di rovesci.
Doveva rientrare in casa a chiedere la chiave a Rosalita perché voleva sistemarsi prima dell’arrivo di Joe. L’altra non le avrebbe fatto domande: era tutta concentrata su Harriet.
Che cosa succede a tua madre? aveva chiesto Yasmin al telefono. “Non può trattarsi soltanto di quello che lui le aveva raccontato della psicoterapia. Certamente, pensò fra sé, a quel punto avrebbe dovuto superarlo. Le critiche alle sue capacità materne non potevano essere così devastanti e inoltre lei stessa lo aveva detto subito: la colpa è sempre delle madri.”
Non le succede niente, disse Joe.
Era sbronza alle due del pomeriggio.
Rimane in vestaglia tutto il giorno.
Si chiude in camera sua e piange.
Non preoccuparti, disse lui. Sta bene.
Non mangia.
Non si spazzola più i capelli.
Non ha detto nemmeno una frase più lunga di cinque parole.
Joe disse: Non posso parlarne al telefono.
Quindi c’è qualcos’altro. Dimmi la verità, è ammalata?
No, niente del genere.
Lo capirai quando... ascolta... incontriamoci al parco. Voglio dirti tutto ma al telefono è difficile. Incontriamoci dove vuoi, ma non in casa.
Joe, è perché sei andato da tuo padre?
Se piove, disse lui, troveremo un altro posto. Un posto riparato.
Domani c’è il sole, disse lei. Così dicono le previsioni.
Ma se piove.
D’accordo.
Domani ti devo dire una cosa.
Anch’io. “Non c’era motivo per rimandare ancora. Non ci sarebbe mai stato un motivo abbastanza valido. Ed era contenta, anzi contentissima che Pepperdine l’avesse respinta, perché non aveva niente a che vedere con lui. Le aveva fatto un favore. Lo aveva sorpreso in compagnia di una donna, il che andava bene, perché almeno chiariva la sua posizione. Questo riguardava soltanto loro due: Yasmin e Joe.”
È importante.
Anche quello che ti devo dire io.
Se piove...
Un posto riparato. Ho capito. Vediamoci nel capanno.
Lasciò la porta aperta per far entrare un po’ d’aria. Armeggiando con la chiave e il lucchetto si era sporcata le dita di olio e ruggine, e nel respingere il catenaccio si era fatta un taglio sul pollice. Il pavimento era coperto di polvere ed escrementi di topo. Le travi erano coperte di ragnatele. Guardando dalla finestra non si era resa conto che fosse così sporco. La pioggia che cadeva dalla sua giacca trasformò in fanghiglia la polvere sul pavimento.
Non poteva finire qui.
Eppure era necessario. “Ci vediamo tra quindici minuti” diceva il suo messaggio.
Questo dieci minuti prima.
Si sfilò la giacca, la gettò su una delle sedie reclinabili e sedette ad aspettare al tavolo apparecchiato con le belle porcellane coperte da un velo di sporcizia. Succhiò il sangue dal taglio nel pollice.
Lui appoggiò lo zaino sopra la giacca di Yasmin e si chinò per darle un bacio sulla fronte. «Come sta Coco?»
«Ha ripreso a mangiare. Cresce. È una gioia per tutti, come avevi previsto.»
«Grazie al cielo.» Bagnati dalla pioggia, i capelli di Joe sembravano scuri. Indossava una felpa blu sopra una T-shirt bianca. La parte inferiore della maglietta era asciutta. Occhiaie profonde. Aveva l’aria di non dormire da giorni.
«Sei sfinito. È stato faticoso?»
«Sai qual era la cosa più strana? Neil aveva la barba. Non me l’aspettavo. Non so perché ma mi ha fatto girare le scatole.» Rise. «Alla fine l’ho capito. È per via della fossetta che ho anch’io sul mento.» Vi premette il pollice. «Ho sempre detto che era l’unica cosa che mi aveva dato, e immagino che la volessi vedere. È così stupido come funzionano certe cose! Però quando le capisci...» Lasciò la frase in sospeso.
«Di che cosa avete parlato? Dev’essere stato difficile scegliere da dove cominciare.» Adesso che ce l’aveva seduto davanti, Yasmin non sapeva se ce l’avrebbe fatta. Era la cosa più difficile della sua vita.
«Alleva api» disse lui. «E polli. Si fa il pane in casa, belle pagnotte a treccia e a spirale, con semi e cose così. Sua moglie coltiva l’orto. Ha le mani ruvide e le guance rosse. Non si tinge neanche i capelli.»
«E ti è piaciuta.» Così le aveva detto al telefono. «Anche lui ti è piaciuto?»
«Non saprei. Forse. In un certo senso mi sono sentito un po’ ingannato. Come se avessi fatto tutta quella strada per andare a trovarlo, e mio padre non ci fosse... L’uomo che pensavo essere mio padre non c’era. Ti suona sensato?»
«Credo di sì.»
«Pensavo che l’avrei affrontato e che poi o avremmo fatto pace, oppure che me ne sarei andato sbattendo la porta. Invece abbiamo finito per parlare dei suoi nipoti. Due nipoti della moglie, Lily ed Ethan. Mi ha fatto vedere come si raccoglie il miele dall’arnia. Abbiamo portato il cane a fare una passeggiata.» Joe aveva gli occhi spalancati, come se raccontasse riti misteriosi.
«Hai provato a chiarirti con lui?»
Lui scosse il capo. «Mi ha detto di essersi comportato male, quando Harriet era rimasta incinta. Da bastardo egoista. Dei rimpianti che ha sempre avuto... nei miei riguardi.» A Joe si arrossarono le guance e sorrise tra sé per questa piccola vanteria. «Tiene una scatola di mie foto in camera, e ne ha una incorniciata vicino al letto.»
«Joe» disse lei «sono felice per te.»
«Be’, non è certo un padre perfetto.»
«No. Neanche il mio.»
«Ma è l’unico che ho.»
«Esattamente» disse lei.
Il sole spuntò stampando sul muro di fronte l’ombra delle foglie degli aceri. La stanza brillava dorata, polvere e terriccio in una miscela alchemica. Doveva dirglielo adesso. Lo guardò negli occhi e sentì un pugno allo stomaco. Quando lui faceva nascere un bambino con il cesareo e infilava le mani nel ventre per tirarlo fuori, nonostante l’epidurale la madre lo sentiva. “Come se qualcuno le facesse il bucato nella pancia.” Così lui le aveva riferito che dicevano le partorienti, poco dopo che si erano incontrati. Ed è così che Yasmin si sentiva quando lui la guardava. Come se l’avesse aperta per infilarle dentro le mani. Una sensazione di paura. E amore.
«Da piccolo dormivo qui, a volte» disse Joe. «Mi portavo una coperta e un cuscino e mi mettevo su quella panca. Venivo con una torcia e leggevo i fumetti.»
«Sembra divertente.»
«Non proprio. I ragni mi facevano paura e anche tutti i rumori strani, e finivo sempre per cadere sul pavimento. Una volta ricordo di avere gridato a lungo, ma nessuno mi ha sentito.»
«Perché continuavi a venire allora? Avendo la tua grande casa tutta per te?» “Domani ti devo dire una cosa. È importante.” Doveva riguardare Harriet. Dato che le aveva chiesto di incontrarla fuori, lontani da lei.
«Harry dava delle feste.»
«Giusto. Venivi a cercare un po’ di pace e tranquillità. Joe, devo...»
«Non è questo» la interruppe lui. «No. Venivo perché l’avevo vista con qualcuno. A volte la spiavo. Ovviamente rimanevo sconvolto. Allora correvo qui con la mia coperta, sperando che lei impazzisse di dolore, quando si rendeva conto che non c’ero più. Invece non succedeva mai.»
«Non è mai impazzita di dolore?»
«...