Incendio sul mare
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Incendio sul mare

  1. 400 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Incendio sul mare

Informazioni su questo libro

Ognuno di noi fa i conti con l'eden della propria infanzia. Per Riccardo Manes quel paradiso perduto è un luogo - selvaggio, incontaminato - da cui è rimasto lontano per troppi anni: le isole Tremiti. Per quasi un ventennio, all'estero, ha lavorato ai massimi livelli come esperto di sicurezza per social media e istituzioni internazionali nel contrasto ai crimini on line. Una carriera logorante, che però lo ha già reso ricco a sufficienza per lasciare tutto e inaugurare una nuova stagione della sua vita. Così, con la compagna Jasmin, decide di fare ritorno a casa. Grazie a Iano, zio e mentore di Riccardo, e alla sfuggente guida locale Emma, la coppia si immerge nella bellezza abbagliante della natura, nei miti e nelle storie isolane. L'idillio con l'arcipelago tuttavia si infrange presto. I sospetti della gente del posto, i silenzi sui traumi del passato e una serie di rivelazioni pericolose obbligano Riccardo ad affrontare le proprie fragilità, mentre si riaccendono antichi e terribili rancori in un crescendo di tensione, fino all'imprevedibile epilogo. Nella scrittura di Pier Paolo Giannubilo sfavillano la luce e i colori del Mediterraneo, e i temi più attuali si fondono con i nodi eterni della grande letteratura: l'amore, il peso dei segreti e delle verità negate, la colpa e il riscatto.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2022
Print ISBN
9788817161695
eBook ISBN
9788831807838
Parte seconda

I CATTIVI PENSIERI

9

Agli scheletri, ai pirati e al gommone dei carabinieri non ci pensammo più. Furono giornate eccitanti, con sempre tante cose da fare, baciate dal caldo alito tardo estivo dell’Adriatico e assaporate ancora più intensamente dopo la nostra riconquistata intesa a letto.
Prendemmo parte a due battute di pesca con Emma, che a bordo si mostrava sempre più socievole, lasciandosi persino andare a qualche spiritosaggine, e catturammo cernie, ombrine e saraghi.
Una mattina salvammo una tartaruga marina agonizzante, che rigurgitava frammenti di shopper di plastica ingerite scambiandole per meduse.
Jasmin, dopo laboriosissimi tentativi, riuscì a indossare delle lenti a contatto per la prima volta in vita sua, e facemmo snorkeling fra sciarrani giganti dalle squame marmorizzate e palamiti a coda falcata. A Cala del Caffè, un tempo luogo di appostamento dei contrabbandieri, vedemmo da vicino le tane di aragoste e astici.
E poi le immersioni con Tommaso Caserio, il Maciste, per tre mattine consecutive, cominciando dall’imponente statua sommersa di Padre Pio vicino agli Scoglietti. Col vascello romano carico di anfore sul fondo delle Tre Senghe non tentammo neppure, la profondità di ventiquattro metri era fuori dalla nostra portata. Scesi però, da solo, a Punta Secca di Caprara, dove girai un lungo video al doppio arco tappezzato di gorgonie dai colori mutanti, un popolamento unico in tutto il bacino del Mediterraneo, dominio di barracuda e tonni, in parte danneggiato da una barca strascicante anni fa. Scesi a Punta della Stracciona, sotto la quale la vita sommersa esplodeva in un tropicale rigoglio corallino: alghe a palla verde, spugne a candelabro, diverse specie di Axinella, di colore giallo e arancio.
La prima notte illune, alle 2 spaccate, Iano ci portò ad ascoltare il verso delle diomedee, gli uccelli padroni dell’arcipelago, simile, come si dice qui, a vagiti affannosi di neonati, che si levano più striduli quando la superficie lunare è invisibile.
Mai paragone fu più calzante. Io e Jasmin avevamo accompagnato Roger al parto della moglie, e quando udimmo il canto delle berte pensammo contemporaneamente alla medesima cosa: i gemiti disperati del piccolo Peter appena estratto dal ventre materno, traumatizzato dall’esposizione alle fonti di luce violenta, dal volume di ossigeno pompato dai polmoncini poco capienti, dai suoni non più filtrati dalla placenta, che laceravano le sue esili membrane auricolari.
La settimana volò in fretta. Avevamo calendarizzato quotidiane spedizioni in mare e itinerari culturali. Nuotavo ogni giorno, con grande beneficio per la schiena. Passavamo del tempo con isolani ospitali e desiderosi di conoscerci che ci regalavano cestini di fichi, cachi e fichi d’India.
Ci onorò con un invito a cena al suo ristorante anche Arturo Santoro, la leggenda vivente di Tremiti, oggi proprietario di strutture ricettive e dell’unica pompa di benzina dell’arcipelago, e una delle indiscusse autorità morali delle isole.
Ottuagenario, il sigaro sempre fra i denti, lo sguardo maliardo e il fisico asciutto di un atleta con la metà dei suoi anni, non si sottrasse alle nostre curiosità, e ci raccontò diffusamente della sua vita negli anni ’60 e ’70, quando era una celebrità internazionale, giramondo e apneista da record, sodale dei colleghi Maiorca e Mayol, e degli oceanografi Cousteau e Piccard (l’esploratore che scese col batiscafo Trieste a undicimila metri sul fondo della Fossa delle Marianne), nonché attore di fotoromanzi di successo e modello di pubblicità.
Jasmin si alzava prestissimo e andava a fare corsa campestre alternando i circuiti delle due isole. Le facevo trovare la colazione pronta e poi calavamo al porto. A volte ci dividevamo, lei a prendere il sole, io a ispezionare i siti che dovrebbero ospitare i progetti di Trimeros. Riandò a Napoli e si fermò per tre notti. Le faceva bene fare il pieno dell’affetto paterno e salutare amici e vicini a Posillipo; tornava ritemprata e felice.
Il primo dei due giorni di festeggiamenti per la ricorrenza della nascita della Riserva naturale, l’arcipelago si riempì fin da metà mattinata.
I visitatori affluirono a frotte grazie alle corse speciali istituite nei porti garganici. Vennero giovani, comitive, nuclei familiari, rappresentanti dell’Ente Parco Nazionale del Gargano, politici regionali in pompa magna. Il calendario delle iniziative era molto fitto, e seguimmo quasi tutti gli appuntamenti.
A tarda sera, dopo il concerto e il commosso ricordo di Lucio Dalla dal palco, scendemmo in massa al molo inghirlandato di luminarie. Si beveva e si ballava con musica popolare sparata da grandi casse poste su due pick-up, in un clima di spumeggiante convivialità fra stand e bancarelle di mandorle caramellate.
Lo zio ci portò in giro su e giù per la banchina per introdurci ad alcune figure di spicco dell’arcipelago. Era il momento che attendevo. Ricevemmo un’accoglienza cordiale da parte di tutti, amministratori compresi.
Jasmin, che per l’occasione speciale aveva messo un abitino fasciante con paillettes color oro che le stava d’incanto, e sfolgorava in quel pigia pigia notturno come un topazio imperiale, prese subito il centro della scena. Però quel valzer di strette di mano e cerimonie la stancò presto, e si sganciò da noi per andare a salutare Tommaso e sua moglie Mariella coi bambini.
«Ci vediamo fra un po’ davanti alla boutique?» dissi, e mi spostai con Iano e altri tre uomini sulla veranda di una trattoria poco più su, dove il trambusto era ridotto al minimo.
I miei ospiti proponevano un cin cin ogni cinque minuti e io non potevo sottrarmi, perché su questo Iano aveva ragione: alle nostre latitudini rifiutare un brindisi è un pessimo biglietto da visita, un non-bevitore viene guardato con un certo sospetto.
Ma piuttosto che profondermi in spiegazioni sulla mia intolleranza agli alcolici (dovuta a un trauma da coma etilico sfiorato a Capodanno l’ultimo anno di liceo – episodio di cui mio padre, venuto ad assistermi in ospedale senza informare la mamma e zio Iano, custodiva gelosamente il segreto), ricorsi al solo stratagemma praticabile. Mi bagnavo le labbra appoggiandole alla flûte di plastica, fingevo di deglutire e svuotavo nelle piante il vino e il Ferrari quando gli altri si distraevano. Iano aveva capito, e quando mi univo ai loro corali «Salute!» rovesciava gli occhi ripugnato.
Jasmin faceva serpentine con una bottiglia di birra in mano da un capannello all’altro, su e giù fra la salitella e le lampare ondeggianti sulle barche, e dopo un po’ la persi nella ressa.
La conversazione verté su alcune criticità dell’arcipelago. La mancanza di un ufficio turistico. La negligenza verso i monumenti artistici. I rifiuti su alcune calette-immondezzaio. L’ammodernamento degli impianti per le acque reflue e dei moli, con la burocrazia che sbarrava il passo. La manutenzione dell’abbazia, ancora al palo per via del continuo rimpallo di competenze fra Comune, MiBACT, demanio, Ente Parco.
I tremitesi avevano conosciuto mia madre e i miei nonni, e rispettavano Iano, non diffidavano di me, esprimevano le loro opinioni a briglia sciolta. Lo zio, negli ultimi giorni, dovevo riconoscerglielo, si era dato parecchio da fare in vista di quella importante serata. Aveva incontrato le maggiori personalità delle isole – tre delle quali le avevo di fronte – e parlato loro del «nipote manager», della sua carriera, dei successi che aveva mietuto all’estero e della sua volontà di condividere con le Famiglie le proprie idee per salvare l’arcipelago dalla bancarotta e dagli «avvoltoi», e farlo decollare come meritava. Era stato convincente.
La discussione si fece vieppiù accalorata.
Mi raccontarono del milionario disavanzo di bilancio. Dell’ultimatum della Corte dei Conti: ripianare i debiti privatizzando al più presto il patrimonio pubblico e sette ettari di terra, o sarà tracollo finanziario.
Non li interrompevo mai. Elogiavo la loro perseveranza nel proteggere il territorio e mi dichiaravo ottimista circa la possibilità di individuare in tempi brevi le contromisure utili a venir fuori da quel pantano.
A un certo punto riavvistai Jasmin accanto a un quad. Discorreva con un giovane corpulento seduto al volante. Feci per inviarle un messaggio per segnalarle dove stavo, quando la vidi montare in sella all’amazzone dietro di lui e filare via su per la ripida chicane della strada principale.
Mi assentai con la scusa di un bisogno fisiologico e provai a telefonarle più volte, ma il cellulare risultava spento o non raggiungibile.
Tornai sulla veranda e andammo avanti per altri trenta minuti. Alla fine decidemmo di rincontrarci nel giro di qualche giorno. L’invito sarebbe stato esteso anche ad altri, avrei esposto il mio progetto (ne parlai in termini generici come di “pacchetti di interventi”) davanti a una platea più ampia. Buona la prima, eravamo partiti col piede giusto, ma Jasmin perché non richiamava?
Non era da lei concedere quel tipo di confidenza agli estranei. E il suo telefonino? La copertura del gestore era ottimale, a Tremiti. Lo aveva spento, quindi? Perché?
Accompagnai Iano al bar-chiosco accanto alle biglietterie. Sedemmo a un tavolo già occupato da un lato che affacciava su Cala delle Arene e lo zio ordinò da bere.
Scrissi un messaggio a Jasmin, Dove sei finita?, e attesi invano per qualche minuto che venisse consegnato, con un po’ di batticuore.
I soldi non sono la sola risorsa di cui gli isolani fanno accumulo nella loro lunga estate. A partire dagli anni ’60, quando le Tremiti furono scoperte turisticamente, praticano una compulsiva pesca a strascico di vacanziere, che diventerà materiale di racconti piccanti e vanterie sessuali nelle neghittose serate da novembre ad aprile, quando si resta soli, le voci umane si dileguano e si odono solo quelle della risacca e del moto ondoso. Nella stagione degli amori non lasciano nulla di intentato, perché con i rigori dell’autunno inizia, per chi resta, un lungo letargo sessuale.
In Jasmin riponevo una fiducia senza riserve, ma le abitudini dei maschi locali, inveterati sciupafemmine da tre generazioni, mi tenevano sulle spine. Non avevo ancora preso una decisione sul da farsi (incamminarmi verso la parte alta dell’isola e andarla a cercare? ma cercarla dove? pazientare ancora? parlarne con Iano?), quando un lungo grido di dolore echeggiò dabbasso.
Alcuni avventori si alzarono e discesero alla spicciolata nella spiaggia per antonomasia di San Domino, l’unica con sabbia e minilidi. Lo zio fece un lungo sorso di rosso, posò il bicchiere e si tirò indolentemente in piedi, seccato dal fuoriprogramma. «Andiamo a vedere che è stato.»
Si stava già ammassando un sacco di gente, lì sotto. Iano si fece largo nel semicerchio di curiosi e io gli tenni dietro.
La zona fra il muretto in pietra e gli ombrelloni incappucciati era lumeggiata a giorno dai lampioni della pizzeria a ridosso della cala. Lo zio si arrestò a pochi metri da un giovane in costume e sneakers che giaceva in una posa scomposta, col braccio storto innaturalmente all’indietro come un burattino snodabile. Distolsi lo sguardo con orrore, arretrando di un passo.
Un lungagnone sulla sessantina con una barba alla Rasputin si era accovacciato su di lui e si adoperava per sedarlo con maniere inaccettabilmente rudi. «Non ti devi muovere, stanno arrivando!» gli ordinava, con una sigaretta pendula dalle labbra. «Cristo, non ti muovere, ho detto, stai giù!»
«Lo hanno picchiato?» domandai a una piccoletta mezza sbronza in salopette.
Lei mi indicò un altro ragazzo con le mani nei dreadlocks per la disperazione, vicino al grande masso a riva che divide la spiaggia in due. Il ferito, fino a poco prima, si stava esibendo con lui in una serie di acrobazie per un pubblico di coetanei. Salti, capriole, volteggi nel vuoto. Erano tracciatori, atleti di parkour, lo sport estremo diventato negli ultimi anni una moda planetaria. Si lanciavano sulla spiaggia dal muretto soprastante, diversi metri più in alto, dandosi la spinta sulla staccionata di legno dopo una rincorsa. Erano caduti male a causa di un’azzardatissima parabola con doppia piroetta eseguita in tandem. Avevano voluto strafare, e quello rimasto a terra non ci aveva rimesso l’osso del collo per un soffio.
Mi riaffiancai allo zio che, non capivo perché, se ne stava lì impalato senza fare motto.
Il burbero soccorritore, invece, continuava a tenere immobilizzato a terra in tutti i modi quel poveraccio per impedirgli di peggiorare la sua situazione agitandosi. Quando lo vidi sederglisi sul bacino non potei più trattenermi. Lo stava facendo a fin di bene, ma a tutto c’era un limite.
«Ma che diamine!» protestai. «Un po’ più di delicatezza, ha un braccio spezzato!», e mi inginocchiai anch’io sulla rena umida. In quel preciso istante il tracciatore svenne.
«Riccà, alzati» mi rich...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Incendio sul mare
  4. Paradiso ritrovato
  5. Parte prima. Nostos
  6. Parte seconda. I cattivi pensieri
  7. Parte terza. Com’è profondo il mare
  8. Copyright