Suor Teresa è al telefono, si lascia prendere dall’entusiasmo. Dall’altra parte della cornetta il padre ascolta felice di sentire la figlia, è voglioso di abbracciarla, rivederla: sono mesi che non capita. Vorrebbe riempirla di baci.
La suora parla tutto d’un fiato, non fa pause e spiega i motivi di quella gioia.
«Non puoi capire, pa’, la madre superiora cosa mi ha chiesto, devo accompagnarla a un incontro strano, riservato, di quelli importanti, mi ha preso da parte e mi ha domandato come sto messa con la guida, io le ho detto che sto messa bene, e ha voluto sapere se posso farle da autista, che preferisce non fare tutto il viaggio da sola, che i viaggi da sola le fanno paura, dice che una volta ha rischiato il colpo di sonno, ma che poi devo aspettarla in macchina, è un viaggio lungo, importante, andiamo in Toscana, a Principina a Mare, pensa che buffo nome, sta vicino a Grosseto, dice che non posso proprio entrare, posso farmi un giro di un’ora non di più, ma è un incontro riservato, di raccoglimento e riflessione, vuole che poi non ne parlo troppo in giro, ci andrebbe con suor Cecilia, ma chilla tiene il mal di schiena, non sai che mal di schiena, a volte la trovo che si assenta per il dolore che si tiene la schiena con le mani, le altre stanno impegnate o non guidano, come suor Angelina, che ha la patente ma non la usa, e allora ha chiesto a me. Sono felice, pa’, felice. È la prima volta che facciamo una cosa assieme noi due sole, io e lei, la prima volta. Potevamo andare in Giappone, ti ricordi, ed è saltato il viaggio, a Genova, uguale, e per fortuna che poi sono volate tante mazzate, ma oggi so’ felice, davvero felice, mi ha detto anche che è una bella responsabilità perché di quel viaggio vuole che io non parli in giro, spiega solo che siamo andate a una riunione, se ti chiedono, solo questo, spiega questo. Quasi quasi mi faccio un giro e dopo ti dico per la villeggiatura, che lì c’è il mare, è bello, e magari ti piace cambiare il mare, anche se non sarà mai come il tuo.»
Arrivate a destinazione, Teresa parcheggia la vecchia Duna di fronte a una villetta in via del Tirreno. Madre Giuliana la ringrazia, le suggerisce di fare una passeggiata, le indica il viottolo che porta alla spiaggia: «Il mare d’inverno conserva sempre il suo fascino».
Teresa dopo pochi istanti, tenendo le scarpe in una mano e sollevandosi la tonaca con l’altra, affonda i piedi nella sabbia, che è morbida e fredda.
Ci sono i gabbiani, un odore intenso di pesce e delle coppiette che si tengono abbracciate teneramente, ai bordi del bagnasciuga.
Sono le due del pomeriggio, il viaggio di andata è stato quello che desiderava: un lungo scambio di aneddoti, ricordi, riflessioni.
È una giornata mite, il sole riscalda e ristora, Teresa si siede, si leva il velo e guarda la grande distesa d’acqua che ha di fronte. Dove il blu si confonde con il grigio.
L’incontro si svolge in uno degli appartamenti di proprietà della Comunità di Ezio Cardamè, appena vede Giuliana Ezio l’abbraccia forte, lei contraccambia, come sempre. Il sentimento che li lega è potente, e non si esaurisce mai.
Ci sono anche alcune donne, una è suor Ingrid, una suora elegante e dai modi fieri che viene dal Nord e che Giuliana conosce da una vita, un’altra è colei che guida quello strano raduno clandestino. Si tratta della teologa Ana Ferrando, per i presenti un punto di riferimento assoluto.
«Siamo» dice «nel momento del passaggio.»
Giuliana vorrebbe farle mille domande, ma gliene vengono in bocca molto poche, sostanzialmente banali. Durante il viaggio, mentre suor Teresa la riempiva di parole, ha riflettuto su quel momento, quell’istante, le cose da domandare e sapere. Ma una volta che è lì si fa piccolina, si mette quasi da parte, in attesa che altri occupino la scena. Le manca Cecilia, lei avrebbe saputo sfruttare meglio l’occasione, maledetta lombalgia.
Suor Ingrid illustra il frutto del lavoro che la vede impegnata. È all’opera per consolidare «la presenza di alcuni nodi decisivi». Ana Ferrando annuisce, dice che il senso è giusto, lei lo condivide. Parlano alcuni minuti delle Torri Gemelle e della caccia a Osama bin Laden, la Ferrando raccomanda ponderazione, «non facciamoci prendere pure noi dal panico e cerchiamo di comprendere quel che si muove, non fermiamoci alla schiuma, alla superficie».
Suor Ingrid commenta che comunque a lei il mullah Omar provoca un forte ribrezzo e riceve reazioni d’approvazione, aggiunge che sta per partire per Kabul, mancano poche settimana, e lascia cadere la frase nel silenzio ammirato del gruppo.
Ezio Cardamè racconta qualche aneddoto sul G8, di alcuni mesi prima. Si ferma un momento, spiega che l’elicottero che vola nel cielo, quel rumore, lo immobilizza, annuncia una carica, non erano preparati.
Guarda il soffitto, come se l’elicottero fosse lì, a controllare il gruppetto dissidente.
La conversazione scivola via per qualche minuto, Cardamè tira fuori una bottiglia di sciacchetrà , si scusa perché non ha molto altro, aggiunge che ci vorrebbe suor Anita.
Giuliana si dà un piccolo colpo alla testa con la mano, spiega di essere una tonta che ha dimenticato i suoi dolcetti e li estrae dalla borsa. Si tratta di frollini con la marmellata e il cioccolato, preparati per l’occasione.
Ingrid ne addenta uno alla confettura d’albicocche e socchiude gli occhi: «Ah, Anita, quanto mi manca».
«La marmellata è fatta dalle nostre ragazze» dice Giuliana con orgoglio.
Ana estrae da una ventiquattrore dei plichi, uno per ciascuno di loro.
Si tratta di scritti a cui lei tiene molto, scritti inediti, li distribuisce e li invita a leggerli, spiega che potranno confrontarsi attraverso le caselle di posta elettronica, si raccomanda che ciascuna di loro ne attivi una propria, e aggiunge che è ansiosa di ricevere un loro contributo.
«Qualcosa sta precipitando, non capirlo sarebbe da sciocchi» commenta a voce alta mentre i plichi vengono sfogliati.
Suor Ingrid unge di marmellata i fogli e annuisce, aggiunge che va consolidata la rete, si sofferma sui passi successivi.
Il viaggio di ritorno lascia in Teresa l’amaro in bocca.
Vorrebbe capire e sapere molto di più rispetto a quanto le concede madre Giuliana. La superiora si limita a spiegare che le cose sono andate piuttosto bene, che c’erano persone a lei care, tra le quali Cardamè, quello della ristrutturazione di parecchi anni prima, che proprio lui è ancora sconvolto dai fatti di Genova e che hanno affrontato i temi riguardanti la grave crisi internazionale in atto
Aggiunge che un giorno magari ne parlerà di più in Comunità , della riflessione svoltasi tra quelle pareti, e che se vuole Teresa può pure dirlo in giro, del loro viaggio spirituale, «perché non ci sono segreti».
Teresa è indispettita, delusa. Per un momento si domanda se non sia il caso di scalfire in qualche modo la fermezza della superiora.
Supera un TIR a tutta velocità , Giuliana le dice di rallentare, Teresa accelera ancora, Giuliana le chiede cosa stia combinando, lei si calma, si riposiziona sulla corsia di destra, rallenta, rallenta ancora per virare verso l’autogrill, assecondando i desideri della madre.
L’aspetta in macchina, la osserva mentre va verso il bar e viene salutata da un gruppo di ragazzotti irriverenti. Vorrebbe parlare, capire di più, ma si chiede se ne ha il coraggio. È la questione che rimbalza nei dialoghi notturni tra lei e Jeannine, quei momenti irrinunciabili di confessioni tra amiche.
Madre Giuliana ritorna in macchina con dell’acqua minerale.
Il viaggio prosegue in silenzio, Teresa talvolta infila la mano nel sacchetto dei dolcetti di Anita avanzati dall’incontro, che Giuliana tiene adagiato sulle gambe.
La superiora tace, o alterna frasi stracolme di luoghi comuni sulla Pianura Padana, i capannoni industriali, la monotonia del paesaggio attraversato dall’autostrada.
Teresa non ce la fa, avverte un senso di pesantezza e solitudine crescente, vorrebbe rompere quel muro di incomunicabilità prima di arrivare, sfidando l’altra con una domanda inattesa, una domanda che la sveglierebbe d’improvviso, anzi di più, sarebbe un pugno dato al vetro che le separa. Ma non riesce a chiederle se sia vero che, parecchio tempo prima, padre Romero abbia avuto un figlio.
Giacomo Aspergi guida veloce, a scatti. Si agita nervoso, ha il cellulare in mano mentre ingrana la marcia e manda affanculo vistosamente un’altra auto.
È in ritardo, cosa che odia: elegante e firmato, fa della puntualità il suo credo. Ama profondamente sua sorella e vuole informazioni su di lei, vuole vederla, salutarla, capire come sta. Sono cresciuti insieme, hanno diviso tante cose, anche un appartamentino quando sono usciti dalla casa di mamma e papà . Lui si è iscritto a Economia e Commercio, lei a Lettere antiche.
Ora sta bene, vive dalle suore, ha tre figli meravigliosi. Ha un marito protettivo e accogliente. Che quando si vedono si abbracciano forte.
E invece no.
Non è vero niente. Quella troia.
Giacomo s’inventa sempre delle storie diverse sulla sorella. Lo psicologo gli ha detto che capita. È difficile pensare che la realtà abbia preso strade tanto lontane.
Quella troia pazza nullafacente.
Con i suoi cazzo di capelli rossi, le giornate a vomitare sul divano litri di vodka con dentro sciolte le pasticche.
Troia.
Giacomo Aspergi inchioda di fronte alla Comunità .
Vede Riccardino che lo guarda. «Ma chi è ’sto handicappato» dice a voce alta. Poi parcheggia l’auto e scende di fretta.
Gli squilla il cellulare. Riconosce il numero. Lo stanno chiamando da dentro. Risponde: «Sono arrivato, sono all’ingresso».
Riccardino gli sorride mentre si ravana in modo vistoso con la mano sotto i pantaloni. Giacomo Aspergi, l’avvocato Aspergi per la precisione, lo guarda schifato.
Una suora gli viene incontro. È una donna dal volto fiero e le spalle larghe. Si danno la mano.
«Piacere sono Giacomo Aspergi, scusi il ritardo.»
«Benvenuto avvocato, si accomodi.»
«Lei è?»
«Madre Giuliana, sono il direttore.»
Alcuni giorni prima, suor Teresa e Marina stanno di fronte all’ingresso della Comunità .
Con le scope danno una pulita.
«Oggi è il 20-02 del 2002. Un giorno palindromo», suor Teresa ricorda a Marina.
«È un giorno in cui può accadere di tutto» replica l’altra dirottando lo sguardo verso un pulmino che rallenta e punta verso l’edificio.
«...