Quando i medici sbagliano
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Quando i medici sbagliano

E come discuterne in pubblico

  1. 136 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Quando i medici sbagliano

E come discuterne in pubblico

Informazioni su questo libro

La medicina non ha da offrire verità assolute: si nutre del confronto e trae forza dal dubbio. Una critica puntuale alla banalizzazione mediatica della scienza.

Da quando la pandemia è diventata protagonista delle nostre vite e del dibattito pubblico, assistiamo continuamente a discussioni, spesso dai toni molto accesi, in cui medici e scienziati esprimono pareri diversi o addirittura opposti su questioni di importanza vitale. Il rischio è non solo di far aumentare la confusione tra i cittadini, ma anche di far perdere fiducia nella scienza. Ed è un rischio che non possiamo permetterci di correre. Ecco perché Giuseppe Remuzzi ricostruisce con ordine in questo libro le certezze fin qui acquisite sull'origine del virus e sui metodi per contrastarlo, sottolineando la natura empirica della scienza e spiegando il suo specifico modo di procedere autocorrettivo, che non aspira a conclusioni certe o stabilite una volta per tutte. Sbaglia dunque chi chiede alla medicina verità assolute. In queste pagine, una guida d'autore che ci rassicura sui risultati eccezionali che la ricerca ottiene ogni giorno e ci suggerisce alcune strategie per orientarci nell'incertezza. Alla base, una convinzione di fondo: la lezione che la pandemia ci sta lasciando è che la salute degli uomini è strettamente collegata a quella degli animali, delle piante, insomma del pianeta.

Domande frequenti

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Informazioni

1.
Aiutiamo il pubblico
ad apprezzare gli scienziati

C’è l’idea che gli scienziati non siano apprezzati dal grande pubblico. Non è vero. Medici, ingegneri e scienziati sono al primo posto per le categorie più stimate, in Europa. In fondo ci sono i giornalisti e i politici. Ma molti (il 40% dei cittadini europei) pensano che gli scienziati possano fare cattivo uso delle loro scoperte e l’80% vuole che l’attività degli scienziati sia soggetta a più controlli. La gente stima gli scienziati, ma ha paura delle novità. Di fronte a una novità è quattro volte più probabile che la gente reagisca in modo negativo, più che positivo. Gli OGM che salveranno il mondo dalla fame sono visti come al servizio delle multinazionali. La ricerca sulle cellule staminali ed embrionali si pensa possa tendere a creare uomini tutti uguali al servizio dei militari. Gli studi sul genoma, che sono il primo passo per capire la natura delle malattie e curarle, sono visti come un modo di modificare la natura.
Perché? Perché la società non capisce la scienza, si è detto per anni, “non c’è abbastanza cultura scientifica”. Il giorno in cui i cittadini avranno abbastanza cultura scientifica, tutto sarà risolto. Non è così. Va fatto lo sforzo da parte degli scienziati di capire il pubblico e portarlo man mano ad apprezzare la scienza e i suoi metodi. Lo si può fare raccontando delle storie piuttosto che con lezioni accademiche. Una delle più straordinarie, quella che ha cambiato il corso della scienza, è la storia di Charles Robert Darwin e della sua teoria sull’evoluzione raccontata in un libro meraviglioso – Darwin era anche uno scrittore sopraffino –, L’origine delle specie, del 1859. Darwin da studente è un disastro, passa il tempo a cacciare, bere e giocare d’azzardo (“Cambridge è troppo divertente”, scriveva). La passione per la scienza gli viene da William Darwin Fox, un cugino che collezionava scarabei, e da due suoi professori, John Henslow e Adam Sedgwick. E da un viaggio intorno alle coste del Sud America. Negli anni che seguono soffre di una malattia misteriosa, ma intanto le sue idee si diffondono. La fama di Darwin viene dai suoi libri. È scrittore sofisticato e ha il gusto di esserlo (è un peccato che nessuno lo consideri un letterato). L’origine delle specie ha un successo enorme. È piacevole e chiaro, pieno di esempi e riflette la grande onestà intellettuale di Darwin che gli argomenti li usa tutti, non solo quelli che gli servono. Le sue idee hanno pervaso la scienza, e la scienza medica, ma anche l’arte, la filosofia, la politica e molto altro.
Regali di Darwin all’umanità che nell’occasione del bicentenario della sua nascita il “Lancet” ha raccolto per farne omaggio ai suoi lettori. “Perché l’orecchio medio è innervato da due nervi separati?”. È perché i pesci primordiali da cui veniamo avevano due ossa mandibolari distinte. “Artrite reumatoide, asma o sclerosi multipla colpiscono solo l’uomo, mai le scimmie”. Perché? Cominciamo a capirlo solo adesso a partire dalle intuizioni di Darwin. Ansia e depressione non sono malattie, ci difendono da tanti pericoli e ci evitano guai peggiori. Quello che ha suggerito Darwin per l’origine delle specie si applica anche ai tumori. Quando i geni di una certa cellula si modificano così da indurla a proliferare, come succede nel cancro, subito si attivano altri geni capaci di riparare il DNA che rimettono tutto a posto. Ogni giorno nel nostro organismo migliaia di cellule subiscono alterazioni del DNA (succede alle cellule del polmone in chi fuma, per esempio). Se i sistemi di riparazione non funzionano capita che qualche cellula cresca in modo incontrollato. All’inizio prevale la riparazione e i giovani sono protetti dal cancro. Col passare del tempo però è sempre più probabile che qualcuna sfugga ai meccanismi di difesa, ed è tumore. L’uomo è programmato per passare i suoi geni a chi viene dopo, fin qui sono tutti d’accordo. Poi però, sostiene Jarle Breivik che è professore dell’Università di Oslo, noi non serviamo più. Appena i nostri ragazzi sono capaci di prendersi cura di loro stessi noi diventiamo sempre meno interessanti per i nostri geni. “I nostri geni non si curano di noi, a loro interessa passare ai nostri figli e per farlo non esitano ad eliminarci”.
Sono solo pochi esempi, ce ne sono moltissimi d’altri. Perché il cuore si scompensa, per esempio, oppure perché invecchiamo o perché i germi diventano resistenti agli antibiotici. Regali di Darwin – che di medicina sapeva poco – alla medicina.
Più tardi Darwin ha influenzato Gauguin, Rodin e Klimt, Munch e Beardsley. Ai primi del Novecento George Frederic Watts dipinge l’origine dell’uomo e Fernand Cormon uomini delle caverne. Arnold Böcklin e Franz von Stuck dipingono metamorfosi e brutali incontri, e scontri, fra creature. Gli artisti presi dalle idee di Darwin cominciano ad occuparsi di quanto la specie umana sia fragile e ad averne paura. John Collier, genero di un discepolo di Darwin, dipinge The Land Baby, una sirena per metà dentro l’acqua e per metà fuori che guarda con stupore una bimba nuda sulla terraferma, che però ha le gambe. La marcia del progresso, fatta di individui in fila da sinistra a destra, una sorta di cammino dell’evoluzione, da scimmie a scimmie-uomo all’uomo di oggi si vede per la prima volta nel 1970. È un’immagine che abbiamo tutti negli occhi senza nemmeno sapere chi l’ha disegnata.
Confrontarsi col dato scientifico oggi, dopo che Francis Collins e Craig Venter nel 2000 hanno decodificato l’intero genoma – tre miliardi di lettere che contengono le istruzioni per creare quelli che si pensava fossero 35 mila geni – dell’uomo prima e poi del topo nel 2002, vuol dire confrontarsi con la struttura e la funzione del DNA da cui dipende tutto quello che siamo. “La più grande rivoluzione dopo Leonardo”, ha detto qualcuno. Il 26 giugno 2000 Francis Collins e Craig Venter erano alla Casa Bianca vicino al presidente Clinton. “La scienza del genoma cambierà la nostra vita e ancora di più la vita dei nostri figli. Sarà una rivoluzione per la diagnosi, la prevenzione e il trattamento della maggior parte se non di tutte le malattie dell’uomo”. Questo, fra l’altro, nel discorso del presidente di quel giorno. Sono passati oltre vent’anni, conosciamo i geni responsabili della depressione, dell’insonnia, del fatto che un individuo sia religioso o no, e sappiamo che chi ha certi geni ha più possibilità che il matrimonio duri a lungo, chi ne ha altri di separarsi. Ma da allora la nostra vita non è cambiata e nemmeno lo stato di salute.
Anche Collins aveva fatto le sue previsioni quel giorno. “Nel giro di dieci anni – aveva detto – si potranno prevedere certe malattie rare, i test genetici saranno disponibili ai medici di medicina generale e per qualche malattia si potrà fare la diagnosi prima di impiantare un embrione in utero (e questo solleverà tante discussioni)”. Collins ci aveva visto giusto, tutto quello che aveva previsto quel giorno è successo davvero, compreso che la medicina genetica “almeno all’inizio sarà soprattutto per i ricchi e chi vive nei paesi emergenti non ne avrà grandi benefici”.
Ma nemmeno Clinton ha sbagliato poi così tanto. La scienza del genoma la cambierà davvero la nostra vita e anche presto. Oggi sequenziare il genoma costa 14 mila volte in meno che dieci anni fa (adesso lo si può fare con meno di 1000 dollari). L’intero genoma di 1000 persone era già stato sequenziato nel 2011, americani, ma anche europei, asiatici, africani.
E tutto questo a cosa serve? A capire – si pensava – chi rischia di più per malattie comuni come il diabete, l’autoimmunità, il cancro, le malattie del cuore. I progressi più straordinari sono stati nel campo delle malattie rare. Lì è più facile perché per la maggior parte si tratta di mutazioni di singoli geni. “Ho impiegato vent’anni e speso 50 milioni di dollari per trovare il gene responsabile della fibrosi cistica, quel lavoro lì adesso lo potrebbe fare un bravo studente che abbia un sequenziatore (serve per mettere in fila i geni che ci sono nel nostro DNA) e accesso a Internet in modo da poter confrontare le sequenze che trova con quelle già pubblicate”, ha scritto Collins su “Nature” nel 2010.
Ma trovare un gene è solo il primo passo, non vuol dire ancora aver trovato la cura della malattia, anche se in qualche caso dal gene si è già passati alla proteina e dalla proteina al farmaco. È il caso di una decina di malattie, proprio come aveva previsto Collins. Aver sequenziato il genoma aiuterà anche a poter curare il cancro. Qui stanno muovendo i primi passi trastuzumab, imatinib, gefitinib, erlotinib, nomi astrusi per altrettanti farmaci biologici che si legano ad un certo recettore con la precisione di una chiave che si infila nel buco della serratura e impediscono a certe forme di tumore di crescere. Quei recettori e la loro funzione si sono potuti scoprire grazie a tutti quelli che hanno lavorato al progetto genoma. E la cosa nuova – e bellissima – di questo tipo di ricerca è che tutti hanno accesso ai dati degli altri.
Insomma a dieci anni dall’aver sequenziato il genoma qualche passo avanti si è fatto, con vantaggi reali per certi ammalati di malattie rare e per poche forme di tumore. Ma le speranze che conoscere il DNA aiutasse a capire le cause del diabete, dell’Alzheimer, dell’infarto del cuore e di tante malattie comuni non si sono trasformate in niente di rilevante sul piano clinico. Forse le malattie comuni sono causate da tante varianti (polimorfismi), ciascuna relativamente rara in tanti punti del DNA. Allora si capisce perché è così difficile trovare cure che vadano bene per tutti gli ammalati di malattie molto comuni. E c’è di più. L’essere stati capaci di sequenziare il genoma ha fatto capire che adesso per avere i benefici che tutti ci aspettiamo per la salute dell’uomo servono conoscenze nuove soprattutto di bioinformatica ed esperti che sappiano ricavare dall’enorme quantità di informazioni che derivano dall’analisi del nostro DNA i soli dati rilevanti a capire la causa delle malattie. L’errore che è stato fatto dopo l’annuncio della sequenza del genoma è stato forse di pensare “adesso sarà facile capire le cause delle malattie e trovare i farmaci per curarle, sarà solo questione di pochi mesi o pochi anni”.
Non è stato così, anche se certamente succederà, ma non sarà subito. Ci vorranno decenni. E poi si dovrà capire come, perché e dove si esprimono certi geni e chi contribuisce a conservarli o a modificarli (nel bene e nel male). E la prossima sfida sarà comprendere il rapporto tra i geni e le condizioni ambientali. Molti di quelli che fumano si ammalano di cancro del polmone e quasi tutti vivono meno di chi non fuma, ma qualcuno no, non si ammala e vive a lungo, perché? Per certi tumori, una volta considerati incurabili, qualcuno guarisce già oggi con certi farmaci biologici, ma la maggior parte di quelli che si ammalano dello stesso tumore muoiono, perché?
“Abbiamo già visto cose straordinarie in questi dieci anni – hanno chiesto qualche tempo fa a Francis Collins –, forse il più è stato fatto?”. “Sono pronto a scommettere che le cose più importanti le dobbiamo ancora vedere”.
COVID-19 non è il primo coronavirus che l’umanità si trova ad affrontare e non sarà nemmeno l’ultimo, viene dagli animali, ma di sicuro non si sa quando abbia fatto il “salto di specie” per arrivare all’uomo e nemmeno come. Non lo sappiamo e comunque è una domanda a cui è molto difficile rispondere, forse possiamo riferirci alle epidemie precedenti anche perché COVID-19 è solo uno dei tanti coronavirus che hanno già circolato fra gli uomini in passato. Due di quei virus (OC43 e 229E) sono stati scoperti solo negli anni Sessanta ma circolavano da centinaia di anni fra i bovini – il primo – e i pipistrelli – il secondo – prima che arrivassero all’uomo. Ci sono stati coronavirus anche dopo la SARS, molti circolano negli animali. Quando arrivano nell’uomo provocano malattie lievi, raffreddore soprattutto, eventualmente un po’ di tosse, salvo HKU1. La cosa più interessante però è che l’andamento di tutti questi coronavirus come della maggior parte delle infezioni virali respiratorie è stagionale, i contagi tendono ad aumentare d’inverno mentre in primavera e in estate la curva di solito scende. Non è una regola assoluta ma qualcosa che va tenuto in considerazione per prepararsi a eventuali nuove pandemie e per mettere in atto misure di salute pubblica più efficaci.
Sarebbe bello se fra un paio di anni anche COVID-19 finisse nel dimenticatoio, ma non chiedetemi di fare una previsione: non lo so, non lo sa nessuno, anche perché questa volta siamo di fronte a un virus che il nostro sistema immune (forse, ma non siamo sicuri nemmeno di questo) non ha mai visto prima.

2.
Un percorso a ostacoli verso la verità

Su cosa si basa la convinzione che il virus SARS-CoV-2 sia emerso naturalmente e sia arrivato all’uomo dal pipistrello attraverso uno o forse due ospiti intermedi? L’evidenza più solida è una analisi dettagliata del genoma virale pubblicata da “Nature Medicine” del 2020 ad opera di Kristian G. Andersen. Sembrava la risposta più convincente, e probabilmente lo è ancora, all’idea che il virus possa essere sfuggito dal laboratorio (Wuhan Institute of Virology) che si trova proprio nella città dove il virus ha avuto origine e che fa ricerca di altissimo livello proprio sui coronavirus. Ci sono state speculazioni di ogni tipo intorno alla possibilità che il virus sia sfuggito da un laboratorio o addirittura sia stato creato in quel laboratorio attraverso esperimenti di ingegneria genetica. C’è chi ha parlato di un ruolo di Bill Gates o del partito comunista cinese per non parlare dell’infrastruttura di rete wireless 5G. L’obiettivo finale sarebbe quello di inaugurare un nuovo ordine mondiale. Le prove a sostegno di queste teorie sono basate per lo più su documenti “cherry-picked” che vanno da articoli “pre-print” successivamente ritirati a rapporti diplomatici segreti su vaghe informazioni di sicurezza di laboratori, a dati satellitari e di telefonia mobile interpretati grossolanamente: prove che non provano proprio nulla sulle origini di SARS-CoV-2.
La cosa più probabile è che il virus si sia evoluto nei pipistrelli fino a che non si è verificato il salto di specie (spillover), anche se non si sa quando, come e perché questo sia avvenuto. Ed è proprio per capire perché si sia verificato questo evento e per evitare che ne possano succedere altri che adesso (prima gli scienziati non sapevano nemmeno che esistesse SARS-CoV-2, secondo Angela Rasmussen del Center for Global Health Science and Security dell’Università di Georgetown, Washington, che ha scritto su questo nel gennaio 2021 su “Nature”) gli scienziati del Wuhan Institute of Virology stanno modificando geneticamente il virus come hanno fatto in passato con quelli della SARS e della MERS per cercare di capire qual è il rischio che questi virus riescano a compiere il salto di specie. Dato che queste manipolazioni possono essere davvero pericolose sono soggette a una estrema attenzione e vigilanza da parte di enti governativi per evitare incidenti, ma è grazie a questi studi che siamo riusciti ad avere su SARS-CoV-2 tantissime informazioni fondamentali per capire la biologia di questo virus, come e perché muta e cosa si può prevedere che possa succedere in futuro.
La teoria che sia stato un evento naturale a favorire il diffondersi di SARS-CoV-2 fra gli uomini è anche coerente col fatto che in passato ci sono stati moltissimi eventi naturali del genere: virus o batteri che dall’ambiente selvatico che rappresenta il reservoir naturale per questi patogeni arrivano all’uomo; basti pensare al virus dell’AIDS. Quello dell’AIDS è un virus come tutti gli altri, come quello del morbillo e della poliomielite. Ce l’avevano addosso gli scimpanzé e altre scimmie, ma le scimmie di solito non si ammalano. All’uomo il virus è arrivato dopo che in certi primati si sono ricombinati diversi ceppi di virus fino ad arrivare all’HIV-1. Deve essere successo dalle parti del Gabon e i primi ad infettarsi sono stati i cacciatori che uccidevano e scuoiavano le scimmie per mangiarle. Un tempo quei cacciatori vivevano in aree remote rispetto alle grandi città e anche poco popolate. E per moltissimi anni l’infezione è stata confinata in quelle aree lì. Chi si ammalava prima o poi moriva e con lui morivano i virus che aveva addosso. Poi con un po’ di progresso anche nelle aree più remote dell’Africa sono arrivate le strade che hanno portato piccoli insediamenti abitativi e mercati dove succede un po’ di tutto, fra l’altro si macella carne di scimmia e si fa del commercio di quella carne. E c’è molta più gente che vive i...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. 1. Aiutiamo il pubblico ad apprezzare gli scienziati
  3. 2. Un percorso a ostacoli verso la verità
  4. 3. Il dibattito pubblico fa bene alla scienza e riduce i pregiudizi
  5. 4. La mia salute dipende dalla tua e da tutti quelli (animali e piante) che popolano il nostro pianeta
  6. 5. Libera scelta e mercato: in sanità non funziona
  7. 6. Vaccini: uno, nessuno, centomila
  8. 7. COVID-19 e reni: chi l’avrebbe mai detto?
  9. 8. Mai successo prima: 8 su 10 non si ammalano, 2 si ammalano in modo grave e i più poveri muoiono
  10. 9. L’industria farmaceutica e il commercio della conoscenza
  11. Conclusione