I. L’eredità inattesa
1. La spartizione dell’impero a Babilonia
Seleuco e Lisimaco erano a Babilonia al momento della morte di Alessandro: i loro nomi, infatti, sono citati nell’elenco dei personaggi più autorevoli che agirono da protagonisti all’indomani della scomparsa del re, quando i Macedoni dovettero affrontare la spinosa questione della successione al trono rimasto improvvisamente vacante37. Non vi era infatti un erede diretto in grado di prendere in mano le redini del potere: Rossane, la moglie persiana di Alessandro, era incinta, di altri figli legittimi non vi era traccia, mentre il fratellastro Arrideo, figlio di Filippo II e di una donna tessala di nome Filinna, all’incirca coetaneo del defunto sovrano, era un minorato mentale, che tutti i Macedoni ritenevano incapace di governare in maniera autonoma, pur essendo in grado di condividere la normale quotidianità della vita di corte.
Alessandro, già moribondo, aveva affidato il suo anello-sigillo a Perdicca che, dopo la morte dell’amato Efestione, era uno dei suoi più stretti collaboratori e, con l’ultimo filo di voce, aveva sussurrato che l’anello era destinato al “migliore” dei suoi. Con in mano il sigillo del re appena defunto, Perdicca si assunse l’onere e l’onore di trovare una soluzione dignitosa, che salvaguardasse sia la continuità (almeno formale) della sovranità della dinastia dei Temenidi (o Argeadi), che guidava i Macedoni dagli albori del regno38, sia le ambizioni di potere dei più eminenti ufficiali dell’esercito, i quali, con l’assenso della cavalleria, sostenevano la necessità di aspettare la nascita del figlio di Alessandro e Rossane. Di diverso parere, invece, la fanteria che, appoggiata da un unico alto ufficiale, di nome Meleagro, voleva acclamare re Arrideo, ultimo erede diretto di Filippo II, il sovrano che tutto il popolo dei Macedoni ricordava con struggente rimpianto. Lo scontro, di grande asprezza e non solo a livello verbale, tra la cavalleria e la fanteria rischiò di degenerare in guerra civile ma, dopo molti contrasti, la frattura nell’esercito macedone fu infine ricomposta grazie a un compromesso basato sul riconoscimento delle posizioni di entrambe le parti: Arrideo, ribattezzato Filippo (e ancor oggi comunemente noto come Filippo III Arrideo), ottenne il titolo regio, ma con l’obbligo di condividerlo con il figlio postumo di Alessandro, se questi fosse stato di sesso maschile; condivisione che, in effetti, si verificò di lì a tre mesi, quando Rossane partorì il piccolo Alessandro, in genere citato come Alessandro IV.
Ma la sovranità reale sull’impero, che né Filippo III Arrideo per il suo handicap, né Alessandro IV per la sua tenerissima età, erano in grado di esercitare, fu spartita fra tre “grandi” dell’aristocrazia macedone. Perdicca, acclamato reggente dell’impero come tutore dei re, Antipatro, confermato governatore d’Europa, e Cratero, nominato «protettore della regalità di Arrideo», anche se soltanto il primo era presente a Babilonia. Antipatro, infatti, era a Pella, capitale della Macedonia, dove esercitava le sue funzioni di governo, mentre Cratero era in viaggio verso occidente, perché Alessandro, pochi mesi prima di morire, gli aveva affidato il compito di riportare in patria i veterani macedoni congedati dall’esercito.
Al di là delle molte discussioni sul significato e la valenza del ruolo affidato a Cratero – che, morto prima di poter rientrare in contatto con il neo-sovrano, non esercitò mai in alcun modo la carica ricevuta –, l’assenza sia di Cratero che di Antipatro da Babilonia fece di Perdicca il vero arbitro della situazione: egli, infatti, procedette a una vera e propria spartizione del potere tra i collaboratori del defunto sovrano, che da quel momento in poi furono convenzionalmente chiamati Diadochi di Alessandro. Alla maggior parte di loro fu assegnato il comando di un vasto territorio che, nella zona orientale, corrispondeva in genere a una delle satrapie in cui era stato diviso l’impero persiano, mentre nella zona europea e micrasiatica si richiamava alle tradizionali divisioni geopolitiche di matrice greca39: tutti gli assegnatari si videro comunque riconosciuto il titolo persiano di satrapo, già ampiamente utilizzato da Alessandro durante il suo regno.
A Lisimaco fu affidata la Tracia, unica satrapia europea che si affiancava alla Macedonia, rimasta sotto il governo di Antipatro: ancora una volta, dunque, accanto a Lisimaco appare la figura del vecchio compagno d’armi di Filippo II, l’unico dei grandi generali macedoni a non aver preso parte alla spedizione in Asia perché lasciato in patria da Alessandro come suo luogotenente con il titolo di «stratego d’Europa».
Seleuco, invece, non ricevette il governo di una satrapia, ma un incarico militare, quello di comandante della cavalleria degli Eteri (Compagni) del re, incarico che, pur essendo sicuramente di grande rilevanza, non gli concedeva di fatto quella autonomia operativa che, rispetto all’autorità centrale, era propria di tutti i satrapi, ognuno dei quali era pienamente responsabile del territorio assegnatogli: Seleuco, infatti, rimaneva comunque subalterno a Perdicca, che manteneva saldamente nelle sue mani il controllo delle truppe presenti a Babilonia.
Terminata la spartizione ufficiale Lisimaco, come gli altri neo-satrapi, partì da Babilonia per andare a prendere possesso della Tracia, mentre Seleuco rimase al fianco di Perdicca; dopo dodici anni in cui i due avevano condiviso le fatiche, i rischi e la gloria di una grande avventura militare, le loro strade sembravano prendere direzioni diverse, in una situazione la cui intrinseca fragilità era resa evidente dalla oggettiva debolezza dei sovrani ufficialmente regnanti: un portatore di handicap, come Filippo III Arrideo, e un fragile neonato orfano di padre, come Alessandro IV.
Tra la fine del 323 e l’inizio del 320 ognuno dei Diadochi dovette imparare a governare il territorio che gli era stato affidato: delle azioni e dei comportamenti di alcuni di loro non sappiamo nulla, perché le fonti si concentrano su alcuni avvenimenti di rilievo e, in particolare, per quanto riguarda la regione europea, sulla ribellione di Atene al governatore della Macedonia, l’ormai anziano Antipatro; a lui, nel giro di pochi mesi, si affiancò anche Cratero, appena rientrato dall’Asia alla testa dei veterani macedoni congedati da Alessandro e a lui affidati per il rimpatrio.
Questa ribellione, scoppiata non appena arrivò in Grecia la notizia della morte di Alessandro, sfociò nell’autunno del 323 in una vera e propria guerra, comunemente chiamata «guerra lamiaca», dal nome della città di Lamia, in Tessaglia, dove Antipatro trascorse l’inverno del 323/322 assediato dai Greci. In questa guerra un gran numero di comunità greche si schierò al fianco di Atene, il cui esercito fu rafforzato da molti Greci, ormai “mercenari” di professione40, che erano riusciti a rientrare fortunosamente in patria dopo grandi avventure: essi, infatti, già al soldo dei Persiani, dopo la sconfitta del re Dario erano stati arruolati, anche se controvoglia, da Alessandro, il quale però non era mai arrivato a fidarsi di loro, li aveva sempre tenuti in posizione marginale all’interno del suo esercito e li aveva obbligati, nonostante la loro contrarietà, a insediarsi in neo-fondazioni urbane ubicate nelle più lontane regioni dell’Asia, dalle quali molti erano fuggiti nel 324, quando si era sparsa la (falsa) voce della morte di Alessandro durante il ritorno dall’India.
I Greci infilarono una iniziale serie di successi ma, una volta morto, in un banale incidente, il valoroso comandante ateniese Leostene, furono duramente sconfitti: nell’autunno del 322, Antipatro entrò in Atene da vincitore e impose durissime condizioni di pace alla città, costretta a dismettere la democrazia, a organizzare un governo oligarchico filo-macedone, guidato dall’anziano Focione, e ad accettare la deportazione in Tracia di migliaia di cittadini nullatenenti filo-democratici, trattati come pericolosi sovversivi dai Macedoni.
Lisimaco non partecipò direttamente alla guerra contro i Greci ma sicuramente garantì ad Antipatro il suo leale appoggio e accolse poi, senza proteste, nel suo territorio di competenza i deportati ateniesi; d’altra parte, egli aveva molti problemi in Tracia con le popolazioni indigene, visto che «a lui, come al più forte di tutti, erano stati assegnati i popoli più bellicosi»41. Lisimaco, infatti, dovette combattere duramente contro Seute, re del popolo tracio degli Odrisi, che rifiutava di sottomettersi all’autorità del satrapo, il quale, pur in inferiorità numerica, grazie al suo valore e alla sua abilità tattica riuscì a resistere agli attacchi dell’avversario: secondo Diodoro42, al termine di una cruenta battaglia dall’esito incerto, entrambi i contendenti rivendicarono la vittoria e si ritirarono in luoghi sicuri per prepararsi allo scontro decisivo, che Diodoro si limita ad annunciare, senza più tornare esplicitamente sull’argomento nel prosieguo della sua opera. Dato però che nel corso dei successivi quarant’anni il potere di Lisimaco sulla Tracia non fu mai messo in discussione, dobbiamo ritenere che nel giro di poco tempo egli sia riuscito a domare definitivamente gli Odrisi costringendoli a riconoscere, in maniera più o meno esplicita, la sua sovranità sul loro territorio.
Per quanto riguarda, invece, Seleuco il suo nome è totalmente ignorato dalle fonti: egli dovette limitarsi a obbedire a Perdicca e a eseguire i compiti affidatigli. Nulla vieta di pensare che abbia seguito il reggente durante la vittoriosa spedizione da lui intrapresa per sottomettere la Cappadocia, ufficialmente affidata al greco Eumene di Cardia, già segretario di Alessandro, ma di fatto ancora indipendente sotto il dinasta locale Ariarate43. Dopo la vittoria su Ariarate, Perdicca si fermò in Anatolia, ponendo la propria residenza temporanea a Sardi, con l’intenzione di costruire una complessa trama di alleanze matrimoniali che gli permettesse di rendere ancora più saldi i suoi rapporti con la dinastia dei Temenidi, attraverso il matrimonio con Cleopatra, unica sorella germana di Alessandro e già due volte vedova: del re Alessandro di Epiro, sposato nel 336, e di Leonnato, nobile macedone già guardia del corpo del re, sposato nel 323, pochi mesi prima che egli morisse durante la guerra lamiaca, nella quale stava combattendo al fianco di Antipatro.
Di questi giochi di potere fu vittima anche una figlia di Filippo II, di nome Cinnane, che era giunta a Sardi portando con sé la giovanissima figlia Adea, destinata in moglie a Filippo III Arrideo; il matrimonio fra i due, che erano zio e nipote, fu effettivamente celebrato e la sposa assunse il nome dinastico di Euridice, già portato dalla madre di Filippo II, ma Cinnane si mise in urto con Perdicca che decise di eliminarla, scandalizzando i Macedoni, ancora legati in maniera struggente al ricordo del padre di lei, il grande Filippo II44.
2. La prima guerra dei Diadochi
È proprio dopo la morte di Cinnane, nel 321 a.C., che cominciarono ad apparire le prime crepe nei rapporti tra Perdicca, da un lato, e gli altri Diadochi, dall’altro: in particolare, il satrapo della Frigia, Antigono, detto il Monoftalmo perché privo di un occhio a causa di una ferita subita durante il regno di Filippo II, sentendosi minacciato da Perdicca, fuggì in Europa insieme al figlio Demetrio, già suo collaboratore nonostante la giovane età, e denunciò ad Antipatro e a Cratero che il reggente mirava a usurpare, non solo di fatto, ma anche di diritto, il potere regale, estromettendo definitivamente Filippo III Arrideo e Ale...