Appendice.
Il «crudo» e il «cotto»: fare pneumatici tra anni Settanta e anni Zero
1. Processo e prodotto
Ci sono alcune coordinate, relative al processo e al prodotto nella fabbricazione di pneumatici, che risultano utili, se non necessarie almeno ai non addetti ai lavori, per una maggior comprensione dei contenuti di questo volume. Le prime hanno a che fare con le distinte fasi del processo di produzione dei pneumatici.
1.1. La sala mescole. Il punto di partenza è la sala mescole. Le materie prime che si utilizzano per fare pneumatici vengono messe insieme qui: polimeri (gomma naturale o caucciù e gomma sintetica, che a sua volta può essere di diverse tipologie), cariche di rinforzo (silice e nerofumo), altri ingredienti chimici e olii, i quali servono rispettivamente per la prestazione, la protezione e la vulcanizzazione delle gomme.
Le materie prime sono trasformate in mescola da macchinari detti banbury che sono in grado di imporre loro sforzi molto elevati attraverso la masticazione e «rammollimento» della gomma stessa, la dispersione e incorporazione delle cariche di rinforzo, l’omogeneizzazione e distribuzione delle diverse particelle. Il banbury è infatti un miscelatore chiuso: contiene una camera, equipaggiata con due rotori, nella quale vengono appunto introdotti la gomma, le cariche e gli altri ingredienti, i quali saranno portati ad una temperatura che arriva a 150-160 gradi in pochi minuti e soggetti al miscelamento: è a questo punto che si forma la mescola propriamente detta (oppure l’impasto, masterbatch, che a differenza della mescola non contiene vulcanizzanti). L’introduzione del banbury risale al 1916 e prende il nome dall’ingegnere inglese che lo ha inventato. La principale evoluzione della tecnologia del mescolatore ha riguardato il disegno dei rotori: da rotori tangenziali con due ali, a rotori più complessi con quattro ali, ai rotori interpenetranti, cioè vincolati l’uno all’altro, detti intermix. Se nei rotori tradizionali la miscelazione avviene tra i rotori e la parete della macchina, negli intermix avviene principalmente tra i rotori stessi, dove si sviluppa una maggiore energia e quindi una migliore dispersione e omogeneizzazione degli ingredienti.
Lo scarico di impasti e mescole dal banbury può, infine, realizzarsi in due modi: attraverso un mescolatore aperto oppure attraverso la più recente tecnologia «twin screw»: in questo caso, degli estrusori con doppia vite sostituiscono il mescolatore aperto, con il vantaggio di garantire una maggiore rapidità di svuotamento e un maggior controllo sia delle temperature sia delle pressioni di estrusione, con minore impegno e presenza dell’operatore.
1.2. I semilavorati di rinforzo. La mescola è la materia prima del processo. Accanto ad essa, gli altri materiali di base sono i materiali di rinforzo: tessili e metallici.
I rinforzi si dividono in tessuti tessili e cord metallici; essi vengono trasformati in semilavorati mediante il processo di calandratura a caldo, grazie al quale la mescola penetra nei fili in modo da formare una superficie compatta, che a sua volta diventa la struttura del pneumatico. Dopo la loro produzione, i rinforzi gommati devono essere prima tagliati (il taglio va fatto a 90 gradi per i rinforzi tessili denominati «tele di carcassa», cioè in direzione perpendicolare al tessuto stesso, e ad angoli più bassi per i rinforzi metallici denominati «cinture» ), e poi accoppiati per formare bobine continue.
Tessuti tessili e tessuti metallici hanno usi diversi: se un tempo esisteva solamente il semilavorato tessile, adesso il secondo non ha del tutto soppiantato il primo, ma presenta la particolare caratteristica di garantire alla copertura una determinata geometria/rigidezza, e quindi di permettere al pneumatico quelle prestazioni sotto sforzo e sotto sollecitazioni che sono richieste dalle automobili delle ultime generazioni: maggiore velocità , miglior tenuta alle temperature ecc.
Ci sono poi semilavorati di rinforzo ulteriori, prodotti con delle trafile: i cerchietti; il cerchietto è un semilavorato metallico che inserito nel tallone del pneumatico è l’elemento che permette alla copertura di fissarsi al cerchio. Nel nuovo polo il processo di produzione dei cerchietti cambierà passando, su pneumatici per automobile, al cerchietto single wire bead, con il vantaggio di ottenere forme più adatte a sposarsi con il cerchio, eliminando quel sormonto dei fili che rende meno uniforme e più fragile il cerchietto classico rettangolare (tipo Alderfer).
1.3. I semilavorati di sola mescola. Una volta pronte, le mescole vanno modellate nella forma necessaria per la confezione del prodotto; il processo di lavorazione principale è quello di estrusione svolto tramite le trafile: portata a 120 gradi, la mescola diventa fluida e viene costretta a passare per un particolare bocchettone che ne determina appunto la forma finale. Il procedimento è continuo, dunque altrettanto continuo è il materiale estruso, che per questo deve essere poi raccolto in bobine; i semilavorati principali che si ottengono dall’estrusione sono: le fasce battistrada, i fianchi ed i riempimenti tallone. Un altro processo a caldo per la lavorazione delle mescole è quello delle calandre Liner, ossia le macchine adibite alla preparazione di foglie costituite da una mescola impermeabile all’aria, che permette di tenere il pneumatico in pressione senza che sia più necessaria la vecchia camera d’aria (oggi tutti i pneumatici moderni sono realizzati senza camera d’aria).
1.4. La confezione. I vari semilavorati vengono poi assemblati in confezione e, per ottenere i risultati voluti, devono essere assemblati con elevata precisione: le macchine confezionatrici servono esattamente a questo. Dieci-dodici componenti (battistrada-sottostrato, cintura zero gradi, cinture metalliche, tallone, tele di carcassa, liner-sottoliner-fianco-antiabrasivo...) usano altrettanti tipi differenti di mescole e quattro-sei differenti materiali di rinforzo.
Il modo in cui questi elementi sono messi assieme (building) può essere automatico o tradizionale. Le macchine confezionatrici a loro volta si definiscono infatti su tecnologie successive e attualmente coincidono con tre principali famiglie. La prima è quella delle macchine di confezione in due tempi (con una prima e una seconda fase, separate e preparate su macchine diverse), la seconda quella delle confezionatrici a stadio singolo (che prevedono le due fasi realizzate dalla stessa macchina). A Settimo, nello stabilimento Vettura, le due modalità di assemblaggio del prodotto finito hanno convissuto: la confezione di pneumatici per il mercato car è stata infatti automatizzata a partire dalla seconda metà degli anni Novanta quando sono state introdotte le confezionatrici VMI di fabbricazione olandese (e la nuova tecnologia a tamburo piatto), mentre nel reparto impieghi sportivi è rimasta manuale. L’organizzazione su due macchine separate per fase (e sulla vecchia tecnologia con tamburo «a spallina») prevede molti più interventi da parte dell’operatore. La terza generazione di confezionatrici corrisponde invece alla tecnologia Mirs (Modular integrated robotized system), un’applicazione lanciata da Pirelli all’apertura degli anni Duemila che ha raggiunto alcuni siti produttivi esteri (Germania, Inghilterra e Stati Uniti), ma non lo stabilimento di Settimo Torinese, il quale tuttavia, con il nuovo polo, passerà direttamente alla evoluzione successiva dei processi di confezione, il Next Mirs. Si tratta di un processo molto diverso da quello tradizionale, con il quale ha in comune solo i banbury. Nel processo Mirs non solo non esiste più la differenziazione della lavorazione in due fasi (questa è affidata a un unico robot, che controlla ogni manovra e passaggio ed è programmato con ricette complesse di deposizione e manipolazione dei singoli elementi, attraverso manovre controllate da un computer), ma si integra anche la confezionatrice in senso stretto: le confezionatrici Mirs incorporano infatti anche una fase di preparazione di semilavorati, i quali non passano più dalle tradizionali operazioni di trafilatura e calandratura in bobine.
1.5. La vulcanizzazione. Dall’assemblaggio si ottiene quello che viene chiamato «crudo», ossia il pneumatico non ancora vulcanizzato. A questo punto la «carcassa finita» (il pneumatico crudo) viene boiaccata, ossia spruzzata dall’interno con una particolare sostanza che la prepara al processo di vulcanizzazione. Semplificando, vulcanizzare vuole dire «cuocere» il pneumatico mentre viene portato a pressione contro lo stampo: ciò che vi entra come una sorta di ciambellone informe, esce con le fattezze che siamo abituati ad associare al pneumatico in senso proprio, con tutti i pieni e le scolpiture che fanno parte del disegno del battistrada. In termini tecnici, vulcanizzare significa trasformare tutte le parti in gomma dallo stato plastico (uno stato in cui la gomma è ancora modellabile) ad uno stato solido (dopo il quale non può più essere ulteriormente trasformata), sfruttando quella particolare proprietà della gomma stessa che è detta «deformazione elastica». La vulcanizzazione quindi è una reazione chimica che avviene a specifiche temperature e sotto pressione, nelle presse di vulcanizzazione: portate ad alta temperatura, le superfici dei vari elementi si legano fra loro. Alcuni ingredienti, come lo zolfo e gli acceleranti, reagiscono con i polimeri, che costituiscono la matrice gommosa della mescola, e formano dei «ponti» che uniscono le singole unità di questi polimeri. In tal modo, lo scorrimento della matrice gommosa viene impedito, mentre mantiene la caratteristica di potersi deformare sotto sforzo; si tratta però di una deformazione che la vulcanizzazione rende reversibile: tolto lo sforzo, la gomma ritorna alla dimensione precedente.
1.6. Il controllo. Mentre con la vulcanizzazione si chiude il processo di produzione propriamente detta, nel senso che il prodotto non viene più modificato, quello che rimane da svolgere a valle è il controllo di qualità (final inspection). L’ispezione finale implica una serie di fasi distinte e complementari: i controlli visivi e ai raggi x da parte dell’operatore verificano che il pneumatico non presenti difetti di integrità e di aspetto; i controlli d’uniformità (strumentali) verificano la possibilità , da parte del pneumatico, di generare vibrazioni una volta in esercizio sul veicolo: i valori di determinati parametri devono essere entro le tolleranze, in caso contrario il prodotto ...